Uragano Osimhen

Ha travolto la Serie A con il suo fisico fuori scala, sta trasformando e trascinando il Napoli in una nuova era.

Ogni volta che un giocatore approda in Serie A dall’estero, scatta immediatamente la richiesta di sottoporlo al noviziato, che in realtà è una condanna comminata preventivamente, senza che venga celebrato un regolare processo. La motivazione più frequente è quella per cui «*nome giocatore* non è ancora pronto per il calcio italiano, gli servirà del tempo per adattarsi». Con Victor Osimhen le cose sono andate in maniera esattamente opposta: era – ed è – il calcio italiano a non essere pronto per Victor Osimhen; era – ed è – il calcio italiano ad aver bisogno di tempo per adattarsi a Victor Osimhen. Per rendersi conto che, almeno in questo caso specifico, chiedere di aspettare Osimhen sarebbe stata una sciocchezza, è bastato assistere ai primissimi minuti del centravanti nigeriano in Serie A. È il 20 settembre 2020, il Napoli gioca a Parma e sullo stadio “Ennio Tardini” risplende un sole ancora estivo, altro che autunno alle porte. Victor Osimhen entra in campo quando scocca il minuto numero 60′ e il risultato è ancora fermo sullo 0-0. Nel corso del minuto 63′ arriva il gol del vantaggio della squadra di Gattuso, e a propiziarlo è proprio Osimhen, che prova ad anticipare Iacoponi su un cross di Lozano dalla destra. In realtà Osimhen non salta nemmeno per andare a colpire il pallone di testa, perché sa che non potrebbe mai arrivarci; semplicemente, cerca di rendersi utile contrastando il difensore del Parma mentre cerca di interrompere l’azione con un colpo di testa; Iacoponi viene sbilanciato dalla presenza forte e perciò ingombrante di Osimhen, da un tocco legale inferto col braccio sinistro dall’attaccante nigeriano, e alla fine ribatte il pallone in maniera corta, maldestra, lasciandolo nella disponibilità di Dries Mertens. L’attaccante belga non si fa pregare e fulmina Sepe con un tiro di prima intenzione.

Neanche due minuti dopo, Elseid Hysaj gestisce un pallone sulla linea immaginaria della trequarti campo, poi vede – o sente – il movimento di Osimhen ad attaccare la profondità, e allora prova a servirlo sulla corsa; il lancio è largo, lungo, evidentemente sbilenco, Iacoponi è in vantaggio di almeno cinque o sei metri, eppure Osimhen li recupera tutti semplicemente scattando, brucia letteralmente il suo avversario e si appropria per primo della palla; la ferma, la difende, se la sposta sul destro e poi serve dietro l’accorrente Mertens, che stavolta è meno letale nella conclusione in porta, anche perché viene chiuso da un avversario. Nello stacco di inquadratura successivo, si vede Insigne che fa i complimenti al suo nuovo compagno di squadra. Tra i due c’è una differenza di statura impietosa, che sembra molto più ampia rispetto ai 23 centimetri “promessi” da Wikipedia (secondo cui Osimhen è alto 186 centimetri, contro i 163 di Insigne).

Victor Osimhen non è solo alto, non è solo potente, ma è anche molto veloce. Merito di un corpo slanciato, che manifesta la sua forza esplosiva soprattutto nelle corse in campo aperto. E inizia a farlo fin da subito, in maniera fragorosa, anche in Serie A. Alla terza partita giocata in questo campionato, infatti, il Napoli è già completamente assoggettato allo strapotere fisico del centravanti nigeriano: la squadra di Gattuso batte per 4-1 l’Atalanta al termine di una partita conclusa con 67 lanci lunghi tentati, il 20% in più rispetto alla media per match tenuta nella stagione 2019/20 (42 ogni 90 minuti). Osimhen segna il suo primo gol in Serie A ed è un gol brutto, frutto di un doppio errore di Romero e Sportiello. La realtà è che il mancato anticipo di testa del centrale argentino sull’ennesimo pallone lungo è frutto della tensione costante a cui lo sottopone Osimhen, dei suoi continui movimenti ad allungare il campo, dei suoi colpi di testa sui lanci di Ospina e dei centrali difensivi. Non a caso, a fine gara Osimhen ha accumulato due duelli aerei vinti, cinque falli subiti, ed è pure risultato il giocatore più veloce in campo, grazie a uno sprint che ha toccato i 34,3 km/h. Giusto per fare un paragone impegnativo: quando nell’agosto del 2009 Usain Bolt ha fissato lo storico record mondiale dei 9.58 sui 100 metri piani, la sua velocità media è stata di 37,52 km/h.

La velocità di Osimhen è diversa rispetto a quella di Haaland o di Lukaku – un altro attaccante alto e rapido e ciclonico, un altro attaccante che avrebbe dovuto adattarsi alla Serie A e che mentre si stava adattando ha segnato 44 gol e servito 11 assist in 69 partite giocate nel nostro campionato. Il centravanti del Borussia Dormtmund e quello dell’Inter hanno leve lunghe e spalle larghe e prestanti, e questa loro conformazione li rende incontenibili sul lungo; il loro profilo molto muscolare, però, li porta ad assumere una postura di corsa tozza, ingobbita, che gli permette di respingere preventivamente, più che di seminare, i difensori che si parano davanti a loro o che provano ad affiancarli. Osimhen è più agile e scattante, ha un passo ancora più lungo, corre mettendo il petto in fuori e protraendo le spalle in avanti solo al momento del tiro; gli avversari possono anche provare ad avvicinarsi a lui, solo che proprio non ci riescono, non ce la fanno a raggiungerlo, è come se venissero travolti senza avere la possibilità di affrontarlo davvero.

Sembra incredibile che un calciatore possa essere descritto in questo modo, basandosi solo sulle sue doti atletiche, tralasciando completamente il racconto delle sue caratteristiche tecniche. Solo che quando si parla di Victor Osimhen è una situazione inevitabile, e non perché il centravanti del Napoli debba essere necessariamente vittima dei soliti, maleodoranti stereotipi razzisti sugli attaccanti neri e super fisicati, tantomeno perché si tratta di un attaccante poco dotato, con una qualità media o medio-bassa. La realtà è che Osimhen ha pregi e difetti che sono del tutto consequenziali al suo profilo antropometrico, come se il dio del calcio gli avesse dato il talento che gli serviva per essere travolgente in campo aperto e nei duelli corpo a corpo, e lui avesse deciso di coltivare solo quel talento lì, mettendo in secondo piano quasi tutti gli altri aspetti del proprio gioco: l’ex attaccante del Lille è bravissimo a tirare in corsa da qualsiasi posizione e in qualsiasi situazione dinamica; è furbo e intelligente quando deve proteggere la palla; non avrà un tocco vellutato, ma sa leggere gli inserimenti dei compagni negli spazi, e poi sa servirli con passaggi puliti; ha un buon tempismo negli stacchi e un discreto controllo del pallone quando deve giocarlo di testa. Allo stesso tempo, è piuttosto elementare quando deve dialogare rasoterra negli spazi stretti, non è sempre reattivo e preciso nelle conclusioni – più che nei tagli e nei movimenti – in piena area di rigore e tenta pochissime volte di saltare l’avversario diretto con un dribbling puro. Forse perché non ne ha quasi mai bisogno.

Lanciare Osimhen in profondità può essere davvero una buonissima idea

Forse anche il Napoli non era ancora pronto per Osimhen, per assorbire e gestire l’enorme impatto di un giocatore dal profilo tecnico-tattico così definito, così spigoloso. E infatti le sconfitte decisive e le brutte prestazioni della squadra di Gattuso sono arrivate in sua assenza, tra novembre e fine febbraio, quando il nigeriano non era disponibile e quando la sua condizione non era ancora tornata al top e la sua squadra stava imparando a giocare per lui. Agli azzurri è mancato Osimhen, ovviamente, ma è mancato soprattutto un attaccante di riserva che avesse le sue caratteristiche, che permettesse ai suoi compagni di continuare a stare in campo come se Osimhen non fosse infortunato o in forma precaria, e cioè alzando vertiginosamente il pressing offensivo, creando seconde palle pericolose, allungando il campo piuttosto che restringerlo – come fanno Mertens e Petagna, le due alternative al nigeriano.

Osimhen, quando c’è ed è in forma, offre soluzioni immediate per risolvere le partite, ed è proprio grazie alla sua immediatezza che ha travolto il calcio italiano come un uragano non appena ne ha avuto la possibilità – ha segnato un gol o servito un assist decisivo ogni 107′ di gioco, e con lui in campo dall’inizio il Napoli ha subito solo due sconfitte in 14 gare Serie A. Ma in realtà Osimhen ha travolto anche la sua stessa squadra, costringendola a metabolizzare un nuovo calcio, un calcio che non apparteneva ai vari Insigne, Mertens, Zielinski e che era impossibile da sostenere senza di lui. Ora che Osimhen è tornato, e che il Napoli sembra essere riuscito a capire come sfruttarne il potenziale, è ripartita la marcia sicura verso la Champions League, e forse verso un nuovo progetto tecnico. È inevitabile che questo nuovo progetto dovrà partire da lui, da Osimhen, non in virtù dei soldi investirli per acquistarlo, ma perché il campo ha detto che il futuro gli appartiene, ancor più del presente. Ed è un futuro potenzialmente grandioso.