Tre cose sulla 36esima giornata di Serie A

La Juve e la storia, il Milan in trasferta, la calma di Ballardini.

 

La Juve si aggrappa alla storia
Quando Domenico Berardi si apprestava a battere il rigore che avrebbe potuto portare il Sassuolo in vantaggio sulla Juventus, erano passate poche ore dall’annuncio dell’addio di Gigi Buffon. Per la seconda volta, il portiere bianconero ha deciso di lasciare quella che è stata la squadra più importante della sua vita e della sua carriera. Sembrava una fine malinconica, è una fine malinconica, perché la partenza di Buffon coincide con la chiusura di un ciclo di vittorie che non ha avuto eguali nella storia del calcio italiano, ma che ora annaspa in una complicatissima lotta per la qualificazione in Champions League. Nonostante tutto questo, Buffon ha deviato con grande reattività il tiro di un giocatore che ha sedici anni meno di lui, che sta vivendo la sua miglior stagione da quando gioca in Serie A. Insomma, Buffon ha dimostrato in un attimo che ci sono ancora degli obiettivi da inseguire e da centrare, per lui e per la Juventus, nonostante la malinconia.

Pochi minuti dopo, Rabiot ha portato in vantaggio la Juventus e poi il Sassuolo ha ripreso a spingere forte sull’acceleratore, a schiacciare la Juventus nella sua metà campo. Finché Cristiano Ronaldo non è stato servito in profondità nel modo giusto, nello spazio giusto, con i tempi giusti. L’attaccante portoghese ha sterzato con il destro e ha chiuso l’azione con un tiro di sinistro che è sembrato facile solo a chi non ha contezza di certe dinamiche calcistiche. Lo 0-2 che ha indirizzato Sassuolo-Juventus porta la firma di un altro giocatore che ha vissuto una settimana mediaticamente turbolenta, che in questa stagione è apparso spesso poco brillante, eppure ha già segnato 35 gol in 42 partite di tutte le competizioni. Una media niente male.

Insomma, è evidente che la Juventus abbia vissuto una stagione al di sotto delle aspettative. La finale e l’eventuale vittoria della Coppa Italia saranno solo un palliativo, e l’unico modo per evitare il disastro è centrare la qualificazione in Champions League – l’unico obiettivo rimasto, quello che sembrava scontato. Per riuscirci, Sassuolo-Juventus ha detto che non ci sono alternative: la squadra bianconera deve affidarsi ai suoi senatori, ai giocatori che hanno fatto la storia di questo club e del calcio – mettiamoci dentro anche Dybala, autore del definitivo 1-3 e che ormai indossa la maglia bianconera da quasi sei anni. Ecco, magari Buffon e Ronaldo non saranno parte – o una parte centrale – del progetto pluriennale che verrà, ma in questo momento è a loro che può e deve aggrapparsi la Juve. Tante cose di questa stagione potevano andare decisamente meglio, certo, ma se proprio dovessimo stringerci a qualcuno per essere salvati, esisterebbero opzioni migliori di Buffon, Ronaldo & co.? Forse no, esatto. Ecco, in questo senso poteva andare peggio, all’universo bianconero.

Sassuolo-Juventus 1-3

Il Milan in trasferta è una macchina perfetta

Il risultato enorme col Torino è sicuramente viziato da condizioni – fisiche, emotive e di contesto – irripetibili. Sette gol in una partita sono un evento troppo raro per poter essere considerati un campione attendibile. Al netto di questa tara, il Milan ha dimostrato – per l’ennesima volta – di essere una squadra costruita bene, per seguire uno schema, anzi per interpretare al meglio un’idea. Perché se i sette gol segnati in trasferta sono un evento raro, come detto, il ruolino degli uomini di Pioli lontano da San Siro è troppo scintillante per poter essere ricondotto solo al caso. Con 14 vittorie esterne, i rossoneri hanno eguagliato il record storico della Serie A – fissato dall’Inter nella stagione 2006/07. E possono ancora superarlo nel match-spareggio contro l’Atalanta all’ultima giornata.

Il gioco ha un ruolo importante in tutto questo. Anche in casa del Torino, così come in casa della Juventus e di tutte le altre squadre del campionato, il Milan non ha mai rinunciato alla propria identità, a cercare di aggredire la partita, di determinare il risultato attraverso la velocità, la verticalità, l’immediatezza delle giocate: tutte cose che richiedono un grande sforzo fisico ai giocatori, e che evidentemente funzionano meglio quando gli avversari sono più propensi a scoprirsi, a lasciare un po’ di spazio in più. Nel match contro la (bruttissima copia della) squadra granata, questa anima offensiva è sopravvissuta ad assenze importanti e a scelte tecniche di rottura: Pioli ha dovuto o voluto fare a meno di Ibrahimovic, Saelemaekers, Tonali e Rafael Leão, ha scelto di inserire Castillejo e di provare a far convivere Brahim Díaz, Cahlanoglu e Rebic. Insomma, a Torino è andato in campo un Milan diverso rispetto alla versione (più) classica, eppure la squadra rossonera ha giocato come sempre, come una perfetta macchina da trasferta, non ha tradito i suoi riferimenti e ha chiuso la pratica in pochi minuti, esaltando i suoi punti di forza – primo tra tutti il formidabile Theo Hernández. Ora la Champions è davvero vicina, se non fosse per lo scontro diretto contro l’Atalanta basterebbe davvero fare un ultimo e piccolissimo passo, ma è evidente come il progetto di Pioli abbia tirato fuori il meglio possibile da questa squadra. E poi si gioca a Bergamo, non a San Siro. Per altre squadre sarebbe stata una notizia più cattiva che buona, ma per questo Milan no, non è così.

Torino-Milan 0-7

La calma con cui Ballardini ha salvato il Genoa

Quando Scamacca ha segnato il rigore che ha consegnato la salvezza al Genoa, Ballardini è stato inquadrato dalle telecamere. Sembrava che il tecnico del Genoa avesse appena finito di compilare il modulo per spedire un pacco alla posta, oppure di guardare un film già visto mille volte in passato. Per lui, quello che stava avvenendo era normale. In realtà non è così, il Genoa 2020/21 aveva iniziato la stagione con Maran in panchina ed era sembrata una squadra allo sbando, in confusione. Il cambio di allenatore alla 14esima giornata, una specie di tappa obbligata al Genoa di Preziosi, era stato accolto e raccontato come un tentativo disperato – e quindi inevitabilmente improvvisato per salvare la stagione. Era senza dubbio così, tranne che per Davide Ballardini. Per lui si è trattato di fare semplicemente il suo lavoro.

In effetti il Genoa 2020/21 non era per niente una squadra allo sbando, quanto un gruppo di buoni giocatori da amalgamare bene. Prima del mercato di gennaio, c’erano già Perin, Badelj, Zappacosta, Zajc, Destro, Shomurodov, Pandev, Scamacca, Rovella, Pjaca. Sì, certo, dopo  è arrivato Strootman, un gran colpo. Ma la rosa rossoblu era già di molto superiore a quella delle altre squadre impegnate nella lotta per non retrocedere. Serviva solo qualcuno che fosse in grado di razionalizzare la squadra e l’ambiente, di riportare la calma in una società che sembra inevitabilmente votata al caos. Ballardini ha saputo fare esattamente tutto questo, e nel mixer ci ha messo pure il suo consueto atteggiamento tranquillo, distaccato. Il fatto che il Genoa si sia salvato agevolmente, a due giornate dalla fine, non può che essere legato a questa sua calma, a questa sua abilità di gestire tutto senza scomporsi mai: non sarà gratificante, quantomeno dal punto di vista emotivo, vedere un allenatore che non esulta dopo il gol più importante dell’anno, ma se questo modo di essere contribuisce a determinare buoni risultati, anzi è decisivo in questo senso, allora Ballardini è proprio l’uomo giusto per il Genoa.

Bologna-Genoa 0-2