Urbano Cairo non piace a nessuno

Tutti i litigi del presidente del Torino, da Ciro Immobile a Claudio Lotito fino ai suoi stessi quotidiani, arrivati in interviste, retroscena, televisioni e giornali. E naturalmente con i tifosi del Torino.

“Ciao come sto?” è una categoria umana così come dello spirito. È il timbro comune a tante persone, in particolar modo ai famosi, e Urbano Cairo non fa eccezione. Qualcuno suggerisce di dare uno sguardo al suo profilo Instagram per farsi rapidamente un’idea della personalità di uno dei pluripresidenti dell’economia italiana: Rcs, La7, il Torino. C’è lui, sempre lui. Solo lui protagonista degli scatti. In campagna, allo stadio, sulla neve, al Quirinale. È un tripudio di sé. Altri sostengono che sarebbe interessante collezionare gli articoli dei suoi giornali a lui dedicati. Ne verrebbe fuori una Treccani. Dalla mega-intervista, al francobollo, alla citazione, Cairo è onnipresente. Parla di tutto e immancabile è la sua foto. Imperdibile il video dello scorso anno, in piena pandemia, con cui motivava i suoi venditori ad afferrare le opportunità di business nonostante l’imperversare del Covid-19. Un video cult che rende perfettamente il personaggio, incluso il riferimento al passaggio in redazione al Corriere per “chiudere” il giornale col direttore. L’indipendenza dall’editore è un concetto che possiamo definire blando.

La tv. I giornali. La squadra di calcio. Proprio nel calcio, però, questo desiderio di grandeur è stato decisamente soppiantato dall’amore per la parsimonia. Ha acquistato il Torino nel 2005 e in sedici stagioni il suo miglior risultato è stato il settimo posto in Serie A. Il compianto Squinzi ha fatto meglio di lui pur partendo dalla C2: nel 2016 il Sassuolo è arrivato sesto in Serie A. La lunga fila di modesti risultati non ha impedito a Cairo di veder celebrati sui suoi giornali i primi quindici anni di presidenza del Torino come se avesse vinto cinque Champions League di fila. Molti tifosi granata lo detestano. È per loro un incubo destinato a durare ancora a lungo. E al presidente va riconosciuto anche un tentativo ambizioso pur se non ancora del tutto raggiunto: riuscire a rendere il Torino una squadra antipatica. Impresa difficile per una maglia che ha fatto la storia del calcio italiano e che emoziona da sempre quasi chiunque sia anche blandamente appassionato di pallone.

Cairo, probabilmente, se ne cura poco. Il mondo esterno, per lui, è quasi un rumore di fondo. Però ci resta male quando risulta evidente la differenza tra ciò che aveva immaginato nel suo universo cairocentrico e quel che gli accade attorno. Potrebbe essere questa la ragione alla base della sua litigiosità, tendenza che si è acuita col suo impegno nel calcio. L’episodio più recente è quello con Ciro Immobile. Un duello a colpi di Instagram, con l’attaccante che lo ha accusato di averlo seguito fino all’ingresso dello spogliatoio e di averlo insultato e infamato. Immobile è stato apostrofato in modo poco urbano (con la u minuscola) da Cairo per «aver giocato col sangue agli occhi», per essersi impegnato troppo contro il Torino. È una delle tante meraviglie del calcio italiano: da noi la notizia non è il tacito accordo tra due squadre, quello che viene comunemente definito biscotto. No, fa invece notizia e desta scalpore una squadra che si impegna, quindi onora lo sport, anche se non ha un obiettivo da raggiungere.

Ma torniamo a Cairo. Nella sua risposta a Immobile, il presidente del Torino non ha smentito le accuse ma, diciamo, ha contestualizzato la sua reazione e steso del centravanti un ritratto dell’inattendibilità: termine nostro per non scadere nel linguaggio. Nella contesa sono poi intervenuti la Procura della Figc, la moglie di Immobile e si potrebbe anche finire in tribunale. Pochi minuti prima, in Tribuna d’onore, sono dovuti intervenire gli steward per evitare il peggio tra lui e Lotito. E col presidente della Lazio, Cairo ha avuto numerosi e accesi scontri soprattutto nell’ultimo anno.

Quando litiga, il proprietario Rcs ha un vantaggio. Non è costretto a esporsi in prima persona. Basta sfogliare i suoi quotidiani per comprendere chi sia il malcapitato di turno. Diciamo che la sobrietà e la sottigliezza non sono caratteristiche della casa, e quindi è improbabile non accorgersene. Lo scorso inverno, sui giornali Rcs le paginate contro Lotito non si contavano più. Nacque una sorta di Lotito-story, si andò a pescare nel passato del nemico fino a trovare persino un arresto con la pistola. Attenzione però: non sono mai questioni di principio, Machiavelli regna sovrano nell’azione di Urbano. Vengono prima gli interessi e gli obiettivi. Proprio mentre finisce sui giornali per la lite con la Lazio, stringe un’alleanza con Lotito per il blocco delle retrocessioni nel campionato Primavera. Ovviamente è per salvare i rispettivi club.

Ma il Cairo furioso non si ferma al calcio. Ogni tanto riemerge la sua passione per la politica, il sogno proibito di servire il Paese. Due anni fa ha concesso un’intervista al Foglio in cui ha lanciato il proprio manifesto politico. “Scende in campo senza scendere in campo” è stato lo slogan coniato; Caironomics uno dei termini utilizzati. Per nulla egocentrico, come sempre. Proprio pochi giorni fa, è stato protagonista di un fuorionda con alcuni tifosi granata che gli chiedevano del centro sportivo di Robaldo. In quella occasione ha espresso il suo pensiero sul sindaco di Torino, Chiara Appendino: «La colpa è tutta del Comune, hanno trovato mille scuse. Quella sindaca lì è una deficiente. Non so se voi abbiate mai votato i Cinquestelle, ma quella li è veramente una deficiente. Appena andrà via lei, avremo subito le autorizzazioni». Dopo la pubblicazione del video, ha provato a mettere una pezza: «Si tratta di un video rubato, di una conversazione privata con poche persone. Non ho mai mancato di rispetto a nessuno, se l’ho fatto in questo caso con la sindaca Appendino chiedo scusa». Rimanendo in politica, non ha mai avuto troppa simpatia per Renzi: «Ha più parlamentari che voti».

Un altro momento da barricate, seppure da osservatore molto esterno, sono stati i giorni caldi della Super Lega. In Italia la protesta è stata blanda, un bel po’ di presidenti sono rimasti acquattati per vedere come finisse la vicenda. Lui, vista l’impossibilità del suo Torino di accedervi, è invece stato barricadero da subito. Ha dato del Giuda ad Andrea Agnelli. A onor del vero non è stato il solo in questa occasione. «Come puoi venire qui a parlare di solidarietà quando hai sabotato la trattativa coi fondi, sapendo già che stavi facendo la Super Lega? Come puoi andare a trattare per l’operazione fondi quando stai già lavorando alla Super Lega?”. Ma come si fa? È un tradimento, è da Giuda». Eppure Cairo è sempre stato accusato dai tifosi del Toro di essere troppo compiacente con il mondo Juve. Ne ha avuto pure per Marotta e, come di consueto, anche in questa occasione i suoi giornali hanno cominciato a picchiare duro finché poi la Super Lega non si è spiaggiata.

Urbano Cairo è proprietario e presidente del Torino dal 2005. Il miglior risultato raggiunto – in due occasioni – è la qualificazione all’Europa League: nel 2014/15, i granata arrivarono fino agli ottavi di finale, poi vennero eliminati dallo Zenit; nel 2019/20, invece, non riuscirono a superare il Wolverhampton nei playoff estivi (Tullio M. Puglia/Getty Images)

Nel calcio italiano è impresa ardua imbattersi in un amico di Cairo, che riesce a essere antipatico pur non avendo mai vinto nulla. La settimana scorsa, nel suo show contro i giornalisti, ci ha pensato Commisso. Il presidente della Fiorentina, oltre a dimostrare di essersi subito adeguato all’andazzo italiano, di fatto ha accusato i giornali Rcs di aver deliberatamente scritto notizie false per destabilizzare la sua società: «Non rispondo al Corriere Fiorentino. Sia loro che la Gazzetta hanno sbagliato perché sono controllati da Cairo. Fino a che non riceverò delle scuse scritte e diranno la verità sull’incontro con Sarri, se c’è stato o non c’è stato, non parlerò con questo giornale». Urbano non ha reagito, ha lasciato che fossero i suoi a farlo per lui.

Cairo, però, litiga anche con i suoi dipendenti. Perché se a Commisso i giornalisti hanno replicato con una nota in cui hanno rimarcato la loro indipendenza dall’editore, lo stesso non è accaduto un anno fa quando si è inasprito lo scontro con i dipendenti della Gazzetta dello Sport. A loro ha rinfacciato di affollare le stanze della redazione la domenica per guadagnare di più: «È stato chiesto alla redazione semplicemente di adeguare le presenze domenicali alla situazione e alla conseguente diminuzione di pagine: non si può essere 110 giornalisti per far uscire un quotidiano in cui sono sufficienti la metà delle presenze, le stesse magari che si registrano al sabato. La difesa del privilegio di accumulare liberamente le presenze domenicali, solo perché pagate quasi il triplo, nonostante il lavoro non ci sia, appare incomprensibile e grave. Anche per rispetto di quelle persone che hanno visto azzerare le loro attività e i loro redditi». È stata una risposta definita avvilente e offensiva dal corpo redazionale. Ma nulla ha fatto imbestialire Cairo come il nomignolo che gli hanno affibbiato: editorino. Una sintesi di rara perfidia. Nel suo mulinare tra un litigio e l’altro, non poteva ovviamente mancare un confronto con Cruciani: è stato uno scontro tra veterani, un allenamento.

A volte, però, l’essere irascibili può rivelarsi un boomerang pericoloso. È il caso della vicenda-Blackstone, il gruppo americano che aveva acquistato il palazzo Rcs di via Solferino a 120 milioni per poi riaffittarlo a 10,4 milioni annui alla stessa Rcs. Cairo li ha accusati di usura, di aver approfittato delle condizioni di difficoltà del gruppo editoriale. Li ha portati in tribunale. E ha perso. Adesso rischia di doverli risarcire per 300 milioni di euro. Altro che Immobile e la minaccia di causa per aver giocato col sangue agli occhi.