La notte in cui Thomas Tuchel è diventato leggenda

Il tecnico tedesco si è preso una grande rivincita personale, ma soprattutto ha coronato un meraviglioso percorso di crescita.

Il racconto del calcio postmoderno tende a esagerare su tutto, ma più di tutto su una cosa: l’importanza degli allenatori. Dare tutte le colpe e/o attribuire tutti i meriti a quegli omini che si agitano a bordo campo, davanti alla loro panchina, è un’operazione piuttosto semplicistica e ingiusta, e anche un po’ vigliacca. Soprattutto se pensiamo a quanto possano pesare gli errori o le grandi prestazioni dei calciatori in campo, se pensiamo a quanto contino il lavoro e gli investimenti delle società, soprattutto se il giudizio è legato a un evento breve, a un periodo breve – una singola partita, ma anche una singola stagione. A volte, però, questo eccesso di enfasi e di significati non è proprio un eccesso, ma una semplice e inevitabile constatazione della realtà. Perché certi allenatori sanno essere decisivi, riescono ad avere un impatto enorme e anche immediato sul mondo che li circonda. Proprio come Thomas Tuchel, il grande trionfatore della finale di Champions League 2020/21.

Il Chelsea ha battuto per 1-0 il Manchester City di Guardiola al termine di una partita giocata in maniera perfetta. E se anche questa potrebbe sembrare un’esagerazione, in realtà non è così: perfetta è l’unico aggettivo possibile per definire la prestazione di una squadra che ha prodotto tre-quattro palle gol nitide, che ha concesso un solo tiro in porta a un avversario come il Manchester City, che ha fatto tutto questo in una finale di Champions League. Il Chelsea che ha compiuto questa impresa è un’invenzione di Tuchel: è una squadra nata a fine gennaio 2021, quando il tecnico tedesco ha sostituito Lampard e ha deciso che i suoi nuovi calciatori avrebbero giocato in maniera completamente diversa rispetto al passato; è una squadra che ha rinunciato a un uomo in attacco per schierarsi con una vera difesa a tre, ma non per questo ha affrontato le sue partite in maniera passiva, speculativa; è una squadra che ha (tante) qualità e (pochi) limiti evidenti, facilmente riconoscibili, solo che il lavoro dell’allenatore ha permesso di esaltare queste qualità e nascondere questi limiti.

Quest’ultima frase è la chiave di tutto. Per alcuni motivi molto semplici da individuare. Numero uno: perché all’arrivo di Tuchel il Chelsea era una squadra con un’enorme quantità di talento disposto – o meglio: buttato – in campo in maniera improvvisata per non dire casuale, senza una struttura difensiva che potesse davvero sostenerlo. Numero due: il Chelsea di Tuchel ha vinto la Champions League superando Atlético Madrid, Porto, Real Madrid e Manchester City nella fase a eliminazione diretta, e in queste sette partite ha segnato nove gol con nove giocatori diversi (Giroud, Ziyech, Emerson Palmieri, Mount, Chilwell, Pulisic, Werner, Mount e Havertz) subendone soltanto due – tra cui quello del tutto ininfluente del Porto a Stamford Bridge, a qualificazione già acquisita da un pezzo. Numero tre: il Psg che ha deciso di esonerare Tuchel si è fermato alle semifinali di Champions League e non ha vinto la Ligue 1.

Probabilmente siamo caduti di nuovo nella trappola dell’esagerazione: abbiamo detto, tra le righe, che il Chelsea ha vinto la Champions League solo grazie all’arrivo di Tuchel; inoltre abbiamo detto, sempre tra le righe, che il Psg ha perso la Ligue 1 e non è riuscito a raggiungere di nuovo la finale di Champions League solo perché ha esonerato Tuchel. Ma forse proprio questa assurda – irripetibile? – congiuntura di eventi e di narrazioni serve a spiegare il talento del tecnico tedesco, a mostrare la sua capacità di incidere subito, e in maniera profondissima, sul Chelsea, di bilanciare le sue idee con le esigenze del contesto, partendo da concetti semplici (il pressing selettivo, le transizioni veloci) e inserendo tutti i giocatori negli slot giusti. Guardando indietro, anche al Psg aveva agito in modo simile, solo che aveva diluito il lavoro in un arco tempo più lungo: arrivato a Parigi nel 2018, dopo circa un anno di sperimentazioni era riuscito a cambiare la vita di un gruppo di solisti assemblato in modalità arcade, trasformandolo in una squadra dalle caratteristiche ben definite, in una squadra che ha vinto per due volte la Ligue 1 in scioltezza e che nella Champions League 2019/20 è stata fermata solo in finale, e solo dal Bayern Monaco di Flick – una corazzata che, per inciso, ha perso solo sette partite su 86 disputate in un anno e mezzo.

A Londra, questa abilità nel riscrivere completamente il destino e il presente e il futuro di una squadra, di un gruppo dei giocatori, si è manifestata in poche settimane: un mese dopo l’arrivo di Tuchel, il Chelsea aveva già giocato contro Tottenham, Atlético Madrid, Liverpool e Manchester United e aveva subito zero gol in queste quattro gare; un mese dopo l’arrivo di Tuchel, il Chelsea era già diventato la stessa squadra che ieri ha annullato completamente il Manchester City in finale di Champions League, tra l’altro dopo averlo battuto altre due volte – sempre senza subire gol – in FA Cup e in Premier League. Insomma, per dirla in poche parole: al Chelsea, Tuchel ci ha messo un attimo a individuare il vestito migliore per la sua creatura, gliel’ha cucito addosso e gliel’ha fatto tenere su fino alla fine, fino al termine della finale di Champions League. E proprio grazie a questa sua fedeltà – e alla qualità enorme dei suoi giocatori, ovviamente – è riuscito a vincere il trofeo che gli era sfuggito nove mesi fa. Come se la sua bravura fosse aumentata quanto e come serviva rispetto al 2020, come se questo successo – così grande, così meritato – fosse una rivincita nei confronti di chi non ha creduto in lui. Tutto giusto, tutto vero, ma poi c’è la cosa più importante: per Tuchel, questa vittoria è il coronamento di un percorso di crescita personale evidente, esploso in maniera fragorosa negli ultimi due anni.

Come contraltare perfetto, poi, vanno considerate anche le scelte cervellotiche di Guardiola: mentre Tuchel ha vinto la Champions League scommettendo tutto sull’identità di gioco costruita in questi mesi, così come sugli uomini che l’hanno forgiata, Pep ha deciso di mischiare un po’ le carte (Rodri, Cancelo e Fernandinho fuori dall’undici iniziale, con Zinchenko e Sterling titolari) e alla fine il suo Manchester City si è smarrito proprio nella notte più importante. Come detto in apertura, è semplicistico e ingiusto e anche un po’ vigliacco pensare che tutte le colpe e tutti i meriti siano degli allenatori, però va anche detto che, in certe partite, sono i dettagli più piccoli a fare la differenza tra vittoria e sconfitta. Un po’ come succede nella finale dei 100 metri alle Olimpiadi, quando anche l’uomo o la donna che vincono la medaglia d’argento disputano una gara meravigliosa, fanno registrare un tempo incredibile, al limite dell’umano, ma intanto hanno perso l’oro per qualche centesimo di secondo. Il City ha perso nello stesso modo, e a Porto ha dato la sensazione di essere una squadra tatticamente insicura, prima ancora che tesa ed emozionata.

Thomas Tuchel ha guidato il Chelsea in 30 partite da gennaio a oggi: il suo score è di 19 vittorie, sei pareggi e cinque sconfitte, con 37 gol fatti e 16 subiti (David Ramos/Getty Images)

Alla fine, dunque, resta che Thomas Tuchel ha vinto la competizione più bella e più prestigiosa. L’ha fatto da sfavorito della vigilia, da underdog di lusso ma pur sempre da underdog. L’ha fatto inducendo Guardiola a cambiare il suo Manchester City, e poi l’ha battuto sul piano tattico ed emotivo. La cosa più significativa, però, è che è riuscito a fare tutto questo guidando una squadra che ha ereditato a stagione in corso da un altro allenatore, gestendo una rosa che non ha costruito lui e che non è stata costruita per lui, e che perciò va considerata come il frutto di un progetto a metà, a cui manca un fondamentale pezzo di programmazione. Eppure il suo Chelsea non è mai stata una squadra scheletrica e fortunata come il Chelsea di Di Matteo nel 2012. Basta riguardare la finale per rendersene conto.

Nel calcio postmoderno, è difficile pensare che qualsiasi club, anche un club grandissimo come il Chelsea, possa vincere i trofei più importanti senza lavorarci per anni e anni, senza avere alle spalle una pianificazione solida e strutturata. A meno che non trovi un allenatore in grado di cambiare tutto in poco tempo, di far rendere i calciatori oltre il loro valore, di farli giocare bene e di farli vincere. Ovvero tutto ciò che è riuscito a fare Tuchel da gennaio a oggi, fino a sollevare meritatamente la coppa della Champions League sul prato dello stadio Dragão. Un momento che gli ha permesso di entrare nella leggenda, che gli ha assegnato un posto nell’élite degli allenatori contemporanei, forse non solo di quelli contemporanei. E c’è da fidarsi: neanche questa è un’esagerazione, anche se a prima vista potrebbe sembrarlo.