Simone Inzaghi è l’allenatore giusto per l’Inter?

Dopo Conte, serviva un tecnico in grado di adattarsi, e di distendere gli animi di tutti. Inzaghi potrebbe essere l'uomo perfetto, ma dovrà fare il salto di qualità per guidare il nuovo progetto nerazzurro.

La storia di Simone Inzaghi allenatore della Lazio era cominciata con un imprevisto: dopo pochissimi giorni di conoscenza e convivenza, Marcelo Bielsa decise che di Claudio Lotito ne aveva già abbastanza, e allora lasciò una panchina sulla quale non aveva fatto in tempo a sedersi nemmeno una volta. A quel punto Lotito decise che Inzaghi era proprio quello giusto: uno con cui si può parlare senza avvocati e notai tutt’attorno, non il piantagrane che dà di matto perché siamo al 5 luglio e non sono arrivati i cinque giocatori promessi. Certe volte è vero che da necessità si riesce a tirar fuori virtù: nelle ultime cinque stagioni, Inzaghi ha fatto molto più di quanto avrebbe dovuto, pur avendo a disposizione molto meno di quanto si sarebbe meritato. Che è un’efficace e sintetica definizione dell’allenatore aziendalista, tratto della personalità ovviamente apprezzatissimo da Lotito. Pochi giorni fa, la storia di Simone Inzaghi allenatore della Lazio è finita con un imprevisto. Lotito si è riscoperto uomo d’altri tempi e la violazione del gentlemen’s agreement lo ha ferito profondamente: ma come, la cena l’abbiamo fatta, la mano ce la siamo stretta, i documenti sono pronti, manca solo la firma e tu alla fine non firmi? Ci lasciamo la sera prima che sei l’allenatore della Lazio e ti ritrovo la mattina dopo che diventi l’allenatore dell’Inter?

La storia di Simone Inzaghi allenatore dell’Internazionale Milano inizia come necessità, e chissà se anche questa volta riuscirà a farne virtù. Potrebbe essere una coincidenza fortunata, per lui e per l’Inter, come spesso si dimostrano le cose che succedono perché può succedere solo quello. Potrebbe essere una decisione sbagliata, quella sua e quella dell’Inter, come spesso si rivelano le cose fatte perché altro non si può fare. Dopo quattro anni equamente divisi tra Luciano Spalletti e Antonio Conte, la Milano nerazzurra ha bisogno di distendere i nervi. Dopo cinque anni di politica economica espansiva, però, l’Inter è pure costretta a un brutale taglio delle spese: devono arrivare 100 milioni di plusvalenze entro la fine dell’imminente sessione di calciomercato. Inzaghi potrebbe essere la risposta giusta a entrambe le necessità: niente polemiche e poche pretese, che nel calcio alla fine sono la stessa cosa. «Per nessun’altra squadra avrei aspettato 16 mesi per un rinnovo del contratto. Delle squadre agli ottavi di Champions League ero l’unico allenatore in scadenza a giugno, però sono sempre andato avanti». Questo il massimo della sfrontatezza mostrato in cinque anni laziali, nel mezzo di una stagione vissuta in pandemia e di una Champions League giocata (bene) con una squadra che l’estate scorsa aveva potuto contare sui seguenti rinforzi: Durmisi, Reina, Escalante, Muriqi, Fares, Pereira e Hoedt.

Di certo Antonio Conte lascia un’Inter migliore di quella che ha trovato, ma che sicuramente non sarà l’Inter che troverà Inzaghi. Un anno fa si spendeva per vincere e un anno dopo si vende per sopravvivere, nel mezzo c’è stato lo scudetto e davanti ancora non si sa: la differenza tra i momenti è tale e tanta che probabilmente il primo e principale compito di Inzaghi sarà capire quali sono gli obiettivi plausibili e raggiungibili. E poi dovrà riuscire a fare quello che ha già fatto alla Lazio: andare oltre la soglia del plausibile, superare il confine del raggiungibile quel tanto che basta da convincere tutti che più di così non si può fare, che un altro farebbe sicuramente meno. Dal punto di vista retorico, Inzaghi dovrà certamente migliorarsi: la lagna biancoceleste non basterà più e la polemica contiana non sarà più accettata (dalla società, dai tifosi), perciò gli toccherà inventarsi un discorso adatto a una squadra che porta lo scudetto sulla maglia e a una società con i conti in rosso. Dalla prima si può pretendere tutto e dall’altra niente. Il neo-allenatore dell’Inter, insomma, dovrà trovare la sua via alla sopravvivenza, consapevole che non si può più essere quello che costa tanto e pretende Kolarov, Vidal e Lukaku. Ma non si può nemmeno essere quello che costa meno e si accontenta di Campagnaro, Taider e Belfodil.

Potrà farlo sul campo. Perché, se la categoria esiste ancora, Inzaghi è un allenatore di campo: è bravo a vedere come si muovono le linee, a intuire come si aprono e si chiudono gli spazi, a capire come i giocatori si sentono a loro agio, come meglio si adattano, come portarli al di sopra delle loro capacità e qualità iniziali. È tutto incoraggiante, perché le uniche certezze dell’Inter della prossima stagione stanno proprio lì: in campo. Si ricomincerà da tre, cioè dalla difesa a tre, dal 3-5-2. Non c’è motivo di cambiare, d’altronde. Anche se dovesse andare via Skriniar, nella prossima stagione Inzaghi avrebbe a disposizione una linea difensiva più forte di tutte quelle che Lotito è riuscito ad assemblargli alla Lazio. Sarà l’occasione per dimostrare il torto di quelli che gli attribuiscono una interpretazione naïf della fase di non-possesso: linea bassa, alta densità, approccio posizionale, tutto pensato sul recupero del pallone appena possibile e ripartenza il più veloce possibile. I difensori a disposizione all’Inter gli daranno possibilità nuove, sfumature invisibili quando era alla Lazio: tutto starà nelle scelte, e scegliere cosa si vuole non è semplice per chi è abituato a capire cosa si può. Ovviamente si ripartirà da De Vrij, perché è sempre meglio avere uno lì in mezzo che già sa, come si fa.

La Lazio di Inzaghi è stata una squadra costruita attorno alle peculiarità dei suoi giocatori migliori, quindi dei suoi centrocampisti, di Milinkovic-Savic, di Luis Alberto e – anche se in minor misura e per meno tempo –  di Lucas Leiva. Giocatori unici al limite della stranezza, che hanno fortissimamente influenzato il processo di crescita del loro allenatore: se di Inzaghi si citano (come pregio o difetto a seconda del momento, del contesto, di chi parla, di chi ascolta) l’assenza di convinzioni ideologiche/filosofiche/estetiche e il talento nell’arte dell’arrangiarsi, è perché una squadra già tanto peculiare come la sua Lazio non avrebbe retto sotto il peso delle peculiarità aggiunte dall’allenatore. È il motivo per il quale, quando Conte è arrivato a Milano, tutti si chiedevano se e quando l’Inter sarebbe diventata una squadra di Conte, mentre adesso, ora che a Milano ci è arrivato Inzaghi, tutti si chiedono se e quanto l’Inter riuscirà a somigliare a quella Lazio.

I centrocampisti, si diceva: è attorno a loro che si costruisce l’unica Inter di Inzaghi che esiste in questo momento, ovvero quella della nostra immaginazione. Brozovic può fare quello che faceva Leiva? Tecnicamente può fare quello e anche di più senza nemmeno sforzarsi, fisicamente può fare quello e anche più se decide che ne ha voglia (tra i due ci sono sei anni di differenza). Però Leiva ha sempre giocato in un modo che Brozovic ha cominciato a fare suo solo quest’anno e, ancora una volta, certe cose richiedono tempo. Barella può fare quello che fa Milinkovic-Savic? La differenza fisica è talmente grande da diventare irrilevante, al serbo resta però una capacità pressoché solo sua (e forse del miglior Pogba) di mantenere l’equilibrio anche quando gli arriva un pallone sporchissimo e di non cedere mai il passo nei contrasti. Se c’è un gap tra Milinković-Savić e Barella, quest’ultimo lo può colmare solo grazie alla sua migliore qualità: la capacità di apprendimento, sia di nuovi fondamentali tecnici che di princìpi tattici. Barella non è solo un giocatore diverso rispetto a quello visto a Cagliari, è proprio un altro giocatore: tocca il pallone in modo più erudito e raffinato (basta riguardare l’assist di tacco contro il Real Madrid), si muove con una consapevolezza che ha ormai del tutto sostituito istinto e intuizione. Però sarebbe al terzo salto di qualità in tre stagioni, e prima o poi tutti i calciatori arrivano al confine del loro talento individuale.

Resta poi da capire quanto rimane dell’Eriksen del Tottenham dopo un anno e mezzo di trattative con Conte: il giocatore visto in Premier League sarebbe di certo la mezzapunta più forte della Serie A, ma, dopo 18 mesi passati ad autoconvincersi di essere una mezzala, quel giocatore esiste ancora? Se la risposta è sì, Inzaghi potrebbe essere finalmente costretto ad ammettere che Luis Alberto è stato il suo capolavoro di allenatore: è difficilissimo ricavare quel giocatore partendo da quel talento chiedendogli di fare quelle cose, la maggior parte dei colleghi preferiscono… uno come Eriksen, ecco. Uno che sia già Eriksen sin dall’inizio, non uno che tocca lavorare per farlo diventare il Luis Alberto di adesso, per di più senza nessuna garanzia di riuscirci. Si dirà: mica si può giocare solo al centro, ogni tanto bisognerà pure andare sulle fasce. Sugli esterni, Inzaghi dovrà fare di meglio di quanto si è visto fare a Lulić e Lazzari. Se Hakimi rimanesse, tutto questo potrebbe anche essere facile. Ma non è una cosa scontata, vista la situazione. Anzi.

Nelle sue cinque stagioni alla Lazio, Simone Inzaghi ha vinto una Coppa Italia (2019) e due Supercoppe Italiane (2017, 2019), e nel 2020 ha centrato la qualificazione in Champions League; il suo score totale è di 134 vittorie, 45 pareggi e 72 sconfitte in 251 partite ufficiali di tutte le competizioni (Paolo Bruno/Getty Images)

In attacco c’è una certezza talmente grande che riesce a coprire anche l’incertezza accanto a lui: Lukaku resta, e questo è bene, anche perché come si fa la plusvalenza su 70 e rotti milioni di euro? Lautaro chissà, e questo vedremo che significa, anche perché tra i 25 milioni spesi per prenderlo dal Racing Avellaneda e i 90 della valutazione attuale ci sta la definizione di “affarone” nel calcio moderno. Se Immobile e Correa sono (stati?) probabilmente i migliori attaccanti contropiedisti della Serie A, non è detto che, a partire dalla prossima stagione, questo titolo onorifico non possa passare alla coppia dell’Inter. Le transizioni in campo aperto sono un fondamentale importante anche del gioco di Conte, che però ha sempre avuto a disposizione squadre abbastanza forti e rose abbastanza ampie da non farne l’unico fondamentale. Non si può certo dire la stessa cosa per Inzaghi: finché ha potuto impiegare più soluzioni offensive (Keita Balde, Felipe Anderson) le ha pure usate, dando vita una fase d’attacco varia, appoggiandosi anche a un modulo diverso (il 4-3-3 visto nelle prime due stagioni a Roma) dall’ormai carissimo 3-5-2, giocandosi (e perdendo) la sfida tattica probabilmente più intrigante della sua carriera di allenatore, cioè il tentativo di mettere in campo Milinković-Savić, Luis Alberto, Felipe Anderson e Immobile e giocare comunque con un pallone soltanto. A un certo punto, però, Keita e Anderson sono andati via, e così il suo gioco offensivo è diventato monocorde al limite della monotonia, nonostante si sia ingegnato (e in certi casi sia pure riuscito) a far sembrare Caicedo un’alternativa valida anche oltre il quarto d’ora finale, al di là della palla in mezzo e del duello individuale in area piccola. A Milano, Inzaghi si ritroverà – paradossalmente – in una situazione simile, ma con ambizioni inevitabilmente più alte. Molto dipenderà dal mercato, certo, ma alla fine starà a lui trovare il modo di far combaciare i pezzi.

All’Inter, insomma, Inzaghi ha una grande occasione: potrebbe dimostrare di essere davvero capace di adattarsi a qualsiasi situazione e circostanza, di stabilire questa “malleabilità” come sua cifra da allenatore. Oppure potrebbe confermare un sospetto che a questo punto è legittimo, un fatto che alla fine sarebbe pure comprensibile: si è talmente adattato alla sua Lazio che alla fine quella squadra è diventata prima un’abitudine e poi si è trasformata in identità, invertendo il movimento e il senso di marcia attraverso cui le idee e le convinzioni vengono solitamente trasmesse nel mondo del pallone. Dal punto di vista del romantico, Inzaghi potrebbe rimanere per sempre l’allenatore della sua Lazio. Forse è un pensiero confortante per i tifosi biancocelesti, se non fosse che ora Simone Inzaghi è diventato l’allenatore dell’Inter.