Bar Italia – Turchia-Italia 0-3

Manuale di conversazione sulla prima partita dell'Europeo: dall'emozione per il ritorno degli Azzurri alle esultanze di Mancini, passando per Jorginho, Spinazzola e soprattutto Barella.

Bar Italia è una raccolta di spunti, riflessioni, idee e analisi non troppo approfondite a caldo dopo il fischio finale delle partite della Nazionale. Movimenti osservati per strada e tagli osservati in campo. Emozioni da divano ed emozioni viste oltre i cartelloni pubblicitari dopo un gol. Un manuale di conversazione da bar scritto dalla redazione di Undici e da occasionali ospiti.

Prologo
Sono arrivato al fischio d’inizio in ritardo, avevo del lavoro da finire. Uscito appena prima dell’inno nazionale, in bicicletta nelle strade vuote come vuole il cliché, ed erano vuote davvero, a Milano anche perché aveva appena piovuto un temporale estivo e refrigerante, e all’altezza di Porta Venezia passo sotto un salotto con le finestre aperte che sta cantando quell’inno lì a voce alta, nessuna particolare affezione in me per la canzone composta da Goffredo Mameli ma più che altro per le voci che dai salotti si riversano nelle strade, come vento all’incontrario, inversione degli equilibri normali. Siamo pronti alla morte, l’Italia chiamò, dicevano in un crescendo acustico, e poi quel “eh!” che Mameli non aveva previsto ma forse avrebbe immaginato se avesse soltanto conosciuto cosa vuol dire l’emozione di guardare di nuovo l’Italia dopo cinque anni di niente, dopo due Mondiali finiti troppo presto e troppo male e un terzo nemmeno iniziato, tutte le strade vuote e l’emozione di correre su per le scale sperando di non sentire nessun altro brusio prima di essere davanti alla televisione.

Spirito di squadra/1
All’inizio c’è stata un’apprensione – nostra, ma anche loro, certamente – del tutta naturale: e se le cose non andassero come sperato? E se le grandi aspettative, in fondo, non fossero così stabili come pensavamo? Sono interrogativi – a volte legittimi, altri dettati dal timore, da una sottile ansia, ma il fondo la psiche del tifoso è quella che è – che spuntano a ogni debutto in una grande competizione, e a maggior ragione in questa, in un grande torneo che all’Italia mancava da troppo tempo. Abbiamo visto un primo tempo in cui gli Azzurri hanno premuto tantissimo, ma di là c’era un muro: una squadra che ha basato sulla partita interamente sul non prenderle, e certo c’era da aspettarlo da una Nazionale che nel girone di qualificazione ha subito appena tre gol (nessuno ha fatto meglio, il Belgio è alla pari). L’Italia giustamente ha provato a fare quello per cui si era preparata, con questa «innovazione tattica chiamata divertimento», come ha scritto il New York Times, ma il rischio era che a forza di sbattere il muso contro i turchi prevalesse la frenesia di cambiare registro, di affidarsi ad altre soluzioni, in definitiva di affidarsi ai palloni speraindio. Invece siamo stati pazienti, abbiamo continuato a giocare a loro modo, e alla fine il gol è arrivato – e poi gli altri due, ma si sa, dal tubetto la maionese esce tutta insieme. E questo è un segnale importante: vuol dire che è una Nazionale convinta di quello che fa, che ha scelto di giocare così non per moda o per riscuotere applausi, ma perché è certa che è questa la strada maestra per mettere insieme i risultati. Il primo, nel frattempo, è già in cassaforte.

Spirito di squadra/2

L’esultanza di Mancini al secondo gol. Ok, non è Conte sanguinante a Euro 2016, ma è bello vedere un allenatore esultare come fosse uno dei tifosi.

Jorginho, Spinazzola e gli altri

L’ideale polaroid del dominio tecnico dell’Italia avrebbe potuto essere scattata nei minuti recupero del secondo tempo, in occasione di quello che, nella percezione comune, è stato il primo passaggio sbagliato da Jorginho. Il regista del Chelsea ha interpretato la partita come avrebbe fatto Chris Paul: semplicemente, gli altri 21 giocatori in campo sono andati al ritmo che ha deciso lui, di volta in volta. Per capire questo concetto, basta andare a controllare su Whoscored: 92 tocchi, 81 passaggi, 94% di precisione negli appoggi, per il regista del Chelsea. Quindi sì, quello era stato realmente uno dei primissimi – e quindi pochissimi – errori di un giocatore che, col suo modo unico di stare in campo e trattare il pallone, ha elevato a forma d’arte contemporanea il saper scomparire all’interno di un sistema che lui stesso contribuisce a far funzionare. Un sistema che si regge sui suoi passaggi, ma anche su altri pilastri, e si è visto chiaramente nel corso di Turchia-Italia: si regge sulle corse senza palla di uno Spinazzola di nuovo in versione “esterno di Gasperini”, fonte di gioco preziosa in sovrapposizione e pure uomo decisivo in fase conclusiva; sull’attacco della profondità di Immobile, che per una sera ha allontanato il fantasma di Kean; sulla capacità di Insigne di essere l’uomo di trama e ordito nell’ultimo terzo di campo, lasciando Berardi libero di esprimere il suo talento più immediato, diretto, verticale, istintivo; sul fosforo di Locatelli, venuto fuori alla distanza insieme ai suoi compagni, nella seconda parte di una notte bellissima.

Nicolò Barella non è per tutti

Nicolò Barella passa le partite a dimostrare che è praticamente invulnerabile, nel senso che è impermeabile a tutto: al caldo (ma vale anche per il freddo d’inverno), alla fatica, all’emozione, persino ai problemi fisici. Per tutta la fase finale del primo tempo e per tutto l’intervallo, i telecronisti Rai hanno raccontato che il centrocampista dell’Inter forse sarebbe uscito per via di un piccolo infortunio. Quando l’Italia è entrata in campo nella ripresa, Barella era al suo posto e Florenzi no, sostituito da Di Lorenzo. Un po’ di minuti dopo è arrivato il gol di Immobile, ma riguardatevi cosa fa Barella a inizio azione: tiene il pallone a centrocampo, arretrando di qualche metro mentre due avversari lo tallonano da vicino; in quel momento, tra Barella e Donnarumma ci sono solo tre difensori dell’Italia, un pallone perso innescherebbe un contropiede pericolosissimo, eppure Barella non perde il controllo della situazione e del proprio corpo; poi, piuttosto che alleggerire l’azione con un retropassaggio banale, serve Locatelli con un pallonetto d’esterno destro: è un’idea geniale che taglia fuori tre giocatori della Turchia impegnati nel pressing e dà il via a un’azione quattro contro quattro, che poi diventa cinque contro quattro, perché proprio Barella, ancora lui, sempre lui, va a ricevere il pallone da Insigne, grazie all’ennesima corsa che copre tutto il campo, in pratica. Dopo, cross di Berardi, tiro di Spinazzola, respinta e tap-in di Immobile: è ingiusto, ma probabilmente nessuno ricorderà che quest’azione è frutto della presenza onnisciente di Barella, del suo dinamismo, della sua qualità, per di più espressa al meglio in condizioni – presumibilmente – non ottimali.

Il gol di Immobile (ma prima c’è l’azione di Barella)

Subito dopo, un messaggio in chat: «Lo notiamo in pochi, ma Barella ❤️». Tutto quello di cui abbiamo parlato – ovvero giocate così utili e belle e intelligenti di Barella – è avvenuto molte altre volte nel corso di Turchia-Italia 0-3. È questa la forza del centrocampista dell’Inter e della Nazionale: è sempre lì, è sempre decisivo, ci sono delle volte in cui lo è di più, delle volte in cui esplode e allora molti notano che è un grandissimo calciatore. Solo che lui è un grandissimo calciatore per la totalità del tempo, e forse questo lo notano in pochi. Quelli giusti. Perché Barella non è per tutti. Per fortuna.

Spirito di squadra/3

Minuto 92, niente più da giocare, Calhanoglu con una delle poche giocate davvero buone della partita, palla dentro per Yilmaz, leggermente spostato sulla sinistra dell’area piccola, tira, ma Chiellini non l’aveva perso, e in scivolata contrasta il tiro potente, calcio d’angolo. Era 0-3 per l’Italia, rimane 0-3 per l’Italia, ci sono solo pochi secondi da giocare, eppure Donnarumma allarga le braccia e urla di gioia, e anche Chiellini si rialza e fa il pugno stretto e con il braccio imita un montante a colpire l’aria, come se fosse un gol, e invece è la volontà di non sbagliare niente, di rimanere a zero gol subiti, ed è rabbia e testardaggine, niente di più. Diverso dalla voglia di vincere: è la voglia di vincere bene, che è un gradino in più, è un po’ crudele, ma è necessaria per poter andare avanti. L’arbitro nel giro di pochi secondi fischia la fine. Con questi indizi si può andare avanti. Si vede.