La prima volta della Macedonia del Nord

Oggi la Nazionale di Pandev esordisce agli Europei: siamo andati a vedere come procede l'evoluzione calcistica – e non solo – di una nazione giovanissima, che attraverso lo sport vuole entrare nella comunità politica del Vecchio Continente.

In una frizzante mattina d’aprile, un’insolita frenesia attraversa le strade di Skopje. Un uomo parcheggia la sua auto su un marciapiede, poi si catapulta fuori senza nemmeno chiuderla. Una ragazza imbocca una scorciatoia nel vecchio bazar, controllando con la coda dell’occhio che nessuno la segua. Una coppia di adolescenti scende le scale di un centro commerciale tre passi alla volta, e procede correndo all’interno. Tutti si trovano in fila davanti a un’edicola. In poche ore, l’album Panini degli Europei è esaurito in tutta la città.

Non c’è da stupirsi. La squadra maschile di calcio della Macedonia del Nord ha raggiunto per la prima volta la fase finale della competizione continentale, e la popolazione freme. La qualificazione, tra l’altro, è arrivata in extremis, con una vittoria per uno a zero contro la Georgia, in una gara secca di playoff che si è svolta il 12 novembre scorso a Tbilisi. Il gol decisivo l’ha segnato il capitano Goran Pandev, uno degli eroi del Triplete interista del 2009/10, che in Italia ha giocato anche per Genoa, Napoli, Lazio, Ancona e Spezia, collezionando oltre 450 presenze e 100 gol. Intervistato a bordo campo dopo la partita, Pandev ha commentato commosso: «Abbiamo fatto una grande vittoria per il nostro popolo». E non era solo un modo di dire.

Europa, il luogo che ci spetta
Il calcio è politica, e nei Balcani lo è più che altrove. Durante il Regno di Jugoslavia, i membri del Partito comunista, da Lubiana a Spalato, cospiravano negli spogliatoi dei club operai. Nei decenni seguenti, Tito spedì i suoi campioni in giro per il mondo, dall’Egitto all’Indonesia, per stringere relazioni diplomatiche e fare propaganda al suo governo. Nel 1990, una partita di calcio tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado fu la scintilla che fece esplodere la guerra nei Balcani e, dopo che i confini furono ridefiniti, i successi delle Nazionali diventarono ragione di orgoglio patriottico nelle neonate repubbliche, come nel caso del terzo posto della Croazia ai Mondiali del 1998.

«D’ora in avanti, tutto il mondo saprà dove si trova il nostro Paese», dice Muamed Sejdini, presidente della Federazione Calcio della Macedonia, «così quando parlo con la gente che viene dall’estero non dovrò più spiegare che confiniamo con la Serbia, l’Albania, la Bulgaria e la Grecia». Quest’ultima è un vicino scomodo: da quando la Macedonia ha dichiarato l’indipendenza dalla ex Jugoslavia nel 1991, i greci hanno contestato l’utilizzo del nome Macedonia e di altri simboli che richiamano l’era gloriosa di Alessandro Magno, un patrimonio che secondo loro fa parte della cultura ellenica, non di quella slava. Dopo decenni di braccio di ferro, nel 2019 la Macedonia ha accettato di cambiare il suo nome in Macedonia del Nord e ha potuto finalmente avviare i negoziati per entrare nell’Unione Europea, che comunque si preannunciano lunghi e complessi. In questo senso, la partecipazione agli Eu- ropei potrebbe funzionare come una buona arma diplomatica.

«Questi calciatori hanno alzato di parecchio l’asticella», dice Sase Gjoles, 36 anni, cantante della band Vis Risovi, «non si può più tornare indietro. È un messaggio per le nuove generazioni». Per sostenere la Nazionale durante la competizione, Gjoles ha composto una canzone il cui ritornello recita: «Andiamo in Europa, il luogo che ci spetta». La Macedonia, in realtà, fa parte dell’Europa calcistica dal 1994 e ha saputo sfruttare al meglio i rapporti con la Uefa. Nel 2014 è stata selezionata insieme ad Armenia, Bielorussia e Georgia come nazione pilota per un programma di sviluppo destinato alle giovani promesse. Da allora, una trentina di teenager in tutto il Paese sono selezionati ogni anno per frequentare un’accademia calcio d’élite, in cui alternano la scuola agli allenamenti tenuti da coach con licenza Uefa, svolgono sedute speciali con esperti di fama internazionale e imparano, tra le altre cose, anche i fondamenti teorici della preparazione atletica, della dietologia e della riabilitazione.

Alcuni bambini giocano in un playground di Kavadarci, zona vinicola nella Macedonia del Nord centro-meridionale. Sono tifosi del Tikvesh, chiamati “Lozari”, ossia “vignaioli”

L’accademia Uefa è andata a installarsi su un programma simile, destinato a ragazzi poco più grandi, che la Federazione porta avanti da quasi dieci anni, in diverse città, insieme al Ministero dell’Educazione e all’Agenzia per i Giovani e lo Sport. Il cuore delle attività si svolge al Petar Milosevski Training Centre, a Skopje, un complesso sportivo che si trova proprio di fianco alla sede della Federazione e comprende uno stadio da 2500 posti e diversi campi da allenamento. Un’aggiunta recente è la Casa del Calcio, un edificio costato 990.000 dollari (quasi 750.000 sono fondi della Fifa) che è stato inaugurato nel 2018 da Marco van Basten e dal presidente della Uefa Aleksander Ceferin. Comprende due aule, una cucina, una mensa e trentacinque camere in cui i ragazzi alloggiano. «Crescono insieme, come fratelli», spiega Predrag Mitkovski, 39 anni, un mentore presso l’accademia, «sanno tutto dei loro compagni: qual è la loro squadra preferita, qual è il loro piede migliore, se negli ultimi tempi hanno avuto problemi in famiglia». I risultati si vedono. Nel 2017, la Nazionale macedone ha partecipato per la prima volta agli Europei Under 21, e i componenti di quella selezione costituiscono l’ossatura della squadra che si appresta a competere al torneo senior di quest’anno.

Investire nel calcio di domani

«Il primo obiettivo del mio mandato era qualificarci per una grande competizione e l’abbiamo raggiunto», afferma Sejdini, che è subentrato al precedente presidente della Federazione nel 2019 ed è stato riconfermato all’inizio di quest’anno. «Il secondo è migliorare le infrastrutture dedicate al calcio nel Paese, in modo che sempre più persone possano assistere alle partite». In Italia, la maggior parte degli stadi della prima e seconda divisione macedone sarebbero utilizzati per i campionati amatoriali. Spesso hanno una sola tribuna e una capienza che raggiunge a malapena i quattromila posti. Fa eccezione l’arena nazionale Tose Proeski, a Skopje, che è stata costruita nel 1947, ha subito recenti interventi di ristrutturazione e oggi conta più di 35.000 posti a sedere. Nel 2017, per la gioia degli abitanti della capitale, ha ospitato la finale di Supercoppa europea tra Manchester United e Real Madrid.

«L’idea è avere stadi in diverse città con una capacità che va dai 6.000 agli 8.000 posti», continua Sejdini, «in questo modo, non tutti i match internazionali dovranno essere giocati a Skopje». Al momento la Federazione sta supportando alcune amministrazioni locali nell’ampliamento delle tribune degli stadi e nel miglioramento del manto erboso. Altri si rimboccano le maniche, come Race “Rac” Cvetanovski, sessantaduenne presidente del Cool Football Club, che si occupa personalmente del mantenimento del campo, grazie a un rullo compressore che traina con una vecchia Zastava 750, una versione della Fiat 600 prodotta in Serbia negli anni Ottanta. Allo stesso tempo, Rac sta investendo in una tecnologia all’avanguardia che, indossata sotto le divise, monitora la performance e la salute dei giocatori durante le partite, e sta spingendo su un genere di calcio che nel suo Paese non è ancora molto popolare: quello femminile.

 

 

Sua alleata in questo compito è Tanja Krstovska, ex giocatrice, oggi vice-allenatrice della Nazionale femminile macedone, oltre che delle giovani calciatrici del Cool Football Club: «Quando ero una ragazza, giocavo con i maschi per strada perché non c’erano squadre femminili», racconta la trentaquattrenne Krstovska. «Per promuovere il calcio femminile, abbiamo bisogno di più club e più visibilità per le calciatrici in tv». Sul primo aspetto stanno lavorando anche la Federazione, che ha annunciato un programma quinquennale di sviluppo, e alcuni club locali, che stanno implementando progetti specifici. Così può capitare, su un campo di provincia, di imbattersi in Taila Farias, giovane promessa ex Botafogo, che a gennaio ha accettato di trasferirsi da Rio de Janeiro a Tetovo, una città di 85.000 abitanti al confine con il Kosovo, nella speranza che questo possa essere il trampolino di lancio per fare il grande salto verso un club europeo. Per ora, la Nazionale femminile macedone viaggia al 131° posto del ranking Fifa su 159 nazioni, preceduta dal Gabon e seguita da Singapore, ma non si può dire che non abbia le risorse in casa per migliorare. Da due anni il coach della Nazionale statunitense, stabilmente al primo posto della classifica, è il macedone Vlatko Andonovski, che è stato centrale difensivo del campionato macedone, prima di trasferirsi in Kansas.

Pandev è diverso

La fuga dei giovani calciatori all’estero è un altro dei problemi che la Federazione cerca di arginare, obbligando i club a schierare almeno un under 21 al fischio d’inizio e per minimo 45 minuti. Una volta raggiunta la maturità calcistica, trattenere quelli più forti è quasi impossibile. Nella Prva Liga, la prima divisione macedone, il budget annuale di un club di metà classifica si aggira attorno ai 500.000 euro e la busta paga di un buon calciatore è di 3.000 euro al mese. Non a caso, dei 25 atleti convocati per partecipare agli Europei, solo tre giocano in Macedonia. Quelli che vanno a cercar fortuna in Italia, Spagna o Inghilterra, però, raramente si dimenticano della loro terra. Eljif Elmas, centrocampista del Napoli, torna spesso nella pasticceria di famiglia, a Skopje. Boban Nikolov, che gioca per il Lecce, ha aiutato suo padre ad aprire una ditta di trasporti a Stip.

Per quanto riguarda Pandev, nel 2010 ha fondato a Strumica, una cittadina di 55.000 abitanti nel sudest del Paese, una scuola nata per offrire ai giovani della provincia in cui è cresciuto l’opportunità di allenarsi in un contesto professionale. Oggi l’Akademija Pandev allena circa 300 ragazzi dai 7 ai 21 anni a Strumica, e altri 1000 sparsi in tutto il Paese. «Abbiamo una metodologia mista. Guardiamo alla Spagna per quel che riguarda il possesso di palla e all’Italia per la tattica», spiega Jugoslav Trenchovski, 44 anni, co-fondatore e direttore dell’accademia, che possiede una licenza Uefa Pro da allenatore e ha attivato programmi di scambio con scuole calcio a Milano, Napoli, Empoli e Firenze.

Una veduta dell’arena nazionale Tose Proeski a Skopje, che nel 2017 ha ospitato la finale di Supercoppa europea tra Manchester United e Real Madrid

Lo stile di gioco non è l’unica conoscenza che Pandev ha importato dall’Italia. Per costruire il centro sportivo dell’accademia, si è affidato all’architetto e docente all’Università di Firenze Stefano Lambardi, suggerendogli di ispirarsi allo Stadio Olimpico di Roma per alcuni dettagli, come le tribune coperte. Il cantiere dovrebbe essere chiuso entro la fine del 2021 e includerà, tra le altre cose, anche un hotel, una spa e un museo dedicato proprio a Pandev. «Tutti i bambini lo considerano un idolo», continua Trenchovski, 44 anni. E in effetti, la faccia di Pandev è dappertutto a Strumica: nei banner che circondano il campo, sui muri degli spogliatoi dell’accademia, nei bar che in città proiettano le partite del Genoa. Può capitare di imbattersi nella faccia di Pandev, o in qualcosa di molto simile, persino in campo: dopo aver giocato in Croazia e Azerbaijan, suo fratello minore Sashko ha deciso di chiudere la carriera nella squadra senior dell’Akademija Pandev, che da qualche anno milita nella Serie A macedone.

Per trovare un calciatore così idolatrato dai tifosi in Macedonia, bisogna riavvolgere il nastro fino ai primi anni Novanta, quando Darko Pancev partecipò ai Mondiali italiani con la Nazionale jugoslava e vinse la Coppa dei Campioni e la Scarpa d’Oro con la Stella Rossa di Belgrado. La sua brillante carriera da “cobra” dell’area di rigore si concluse di fatto lì: poi vennero il trasferimento all’Inter, i dissidi con l’allenatore Bagnoli e con lo spogliatoio, la fama di bidone appioppatagli da stampa e tifosi, l’esilio in una squadra svizzera e il ritiro. Oggi Pancev è proprietario di un bar a Skopje, che ha chiamato Cafe 9, come il suo numero di maglia. «Qui è comune per gli ex calciatori aprire un caffè o un ristorante e restare seduti lì tutto il giorno. Pandev è diverso», dice Mario Sotirovski, redattore della pagina sportiva del quotidiano Vecer e unico giornalista macedone a votare per il Pallone d’Oro. A suo parere Pandev, che ha annunciato che si ritirerà dal calcio giocato dopo l’Europeo, potrebbe essere il prossimo presidente della Federazione Calcio della Macedonia, ma la sua popolarità è così alta che qualcuno pensa che potrebbe persino ambire alla poltrona di Primo ministro.

Lo stadio tra due fuochi

In attesa di Pandev, a capo della Federazione c’è Sejdini, la prima persona di etnia albanese che sia mai arrivata a ricoprire questo ruolo. Gli albanesi, che hanno una lingua propria e sono prevalentemente musulmani, costituiscono il 25% della popolazione del Paese, ma la completa integrazione con la maggioranza di etnia macedone e la costruzione di un’identità nazionale condivisa è ancora lontana. «Nessuno di noi tifa Macedonia», dice Arijan Murtezani, 30 anni, «È il nostro Paese e lo rispettiamo, ma amiamo e onoriamo anche il nostro patrimonio culturale nazionale, che è albanese». Murtezani è uno studente di filologia e membro dei Ballistët, il gruppo ultras che supporta lo Shkëndija, una delle tre squadre della città di Tetovo, in cui la maggioranza della popolazione è di etnia albanese.

Lo Shkëndija, una parola che in albanese significa “scintilla”, è nato nel 1978 con chiari intenti politici. Non a caso, i suoi colori sociali sono quelli della bandiera dell’Albania: rosso e nero. I Ballistët raccontano che, per le primissime partite, i giocatori non possedevano una divisa ufficiale, quindi usavano le maglie del Milan, importate dall’Italia. Preoccupato dai successi che stava raccogliendo dentro e fuori dal rettangolo di gioco, il regime comunista sciolse il club nel 1981. Per tornare in campo, lo Shkëndija dovette aspettare fino all’indipendenza della Macedonia, nel 1992. Oggi è una delle squadre più forti e amate della massima divisione, con oltre 100.000 fan sul suo profilo Facebook, molti dei quali residenti all’estero. Il presidente è il magnate locale, che ha comprato il club e lo stadio cittadino, uno scheletro di cemento crivellato di fori di proiettili. «Di qua dallo stadio c’erano le forze del Governo, oltre lo stadio i ribelli albanesi», ricorda il barbuto Dejan Saveski, riferendosi al conflitto di un anno che si è svolto a Tetovo nel 2001, l’ultima fase della guerra del Kosovo. «Mentre giocavamo si sentivano gli spari sulle montagne». Vent’anni dopo, il trentanovenne Saveski, che è di etnia macedone, è il capitano del Ljuboten, un altro dei club di Tetovo, per cui ha giocato oltre seicento partite. Fondato nel 1919, il Ljuboten è la squadra macedone più antica ancora in attività e fa parte dell’organizzazione internazionale del Club dei Pionieri insieme, tra gli altri, al Genoa e allo Sheffield Fc. Oggi, però, viaggia in cattive acque, in terza divisione. «Dovrebbe esserci una legge per sostenere le squadre storiche», commenta malinconico Saveski.

 

 

Un altro club leggendario che quest’anno ha fatto flop è il Vardar Skopje. Il più titolato a livello nazionale, il Vardar vanta anche una doppia vittoria contro il Cagliari di Gigi Riva nei quarti di finale della Mitropa Cup 1967/68 e una partecipazione alla Coppa dei Campioni nel 1987, anche se ottenuta grazie ai sei punti di penalizzazione con cui l’Associazione Calcio Jugoslavia aveva punito altri sei club, tra cui il Partizan Belgrado, per scommesse. Il Vardar è probabilmente la squadra più amata in Macedonia del Nord. E la più odiata. I suoi ultras si scontrano spesso con quelli dello Shkëndija ma anche con quelli di altre squadre. A giugno 2018, un tifoso del Vardar è stato ucciso in pieno giorno, a una fermata dell’autobus, e due tifosi dello Shkupi, una squadra di un quartiere di etnia albanese a Skopje, sono finiti in prigione. In casi come questo, il confine tra la rivalità calcistica, l’odio etnico e l’interesse politico è molto difficile da tracciare.

La falange alla battaglia

Sejdini spera che la partecipazione agli Europei possa contribuire a riunire il Paese sotto una sola bandiera. Nella rosa della Nazionale, infatti, sono presenti sia giocatori di etnia macedone, come Pandev e Nikolov, che di etnia albanese, come Alioski del Leeds United e Bardhi, che gioca in Spagna per il Levante. Elmas fa parte di un’altra minoranza, quella turca, che vive in queste terre dai tempi in cui la Macedonia era una provincia dell’Impero Ottomano.

Un campo della Fudbalski Klub Akademija Pandev, fondata nel 2010, dotata di una squadra senior dal 2014. Nel 2018/19 ha vinto la sua prima Coppa della Macedonia del Nord, e anche nel 2020/21 è arrivata in finale

Il gioco della Nazionale negli ultimi anni si è evoluto: non più concentrati esclusivamente sulla fase difensiva, ora i calciatori giocano la palla, cercando di fare la partita. In marzo, una vittoria fuori casa per 2-1 contro la Germania nelle qualificazioni per i prossimi Mondiali ha rafforzato la sensazione che la Nazionale non sia necessariamente destinata a fare da cenerentola nel Gruppo C degli Europei, che comprende anche Olanda, Austria e Ucraina. Dagli uffici della Federazione ai campi di provincia, dalle strade di Skopje alle rive del lago di Ohrid, se chiedi ai passanti che risultato si aspettano, molti dicono che sarebbero più che felici di passare la fase a gironi, ma in fondo sperano di andare oltre e diventare la sorpresa del torneo. Nel frattempo gli ultras dei diversi club stanno cercando di organizzarsi per creare un gruppo unico che sosterrà la Nazionale. Il nome scelto potrebbe essere Falanga, come la formazione militare introdotta da Filippo II, padre di Alessandro Magno, più di 2300 anni fa.

Purtroppo solo poche migliaia di tifosi riusciranno ad assistere alle partite dal vivo: a causa della pandemia da Covid-19, la Uefa ha messo pochi biglietti a disposizione per ciascuna Nazionale e imposto misure sanitarie molto restrittive, aggravate dal fatto che i macedoni dovranno recarsi a Bucarest e ad Amsterdam per seguire le partite del girone, ma non possiedono un passaporto Schengen. L’entusiasmo non accenna comunque a calare. E chi non riuscirà a fotografare la squadra allineata sul campo, prima dell’inno nazionale, cercherà di schierarla almeno su carta, a pagina 42 dell’album Panini.

Da Undici n° 38, foto di Matteo de Mayda