Bar Italia – Italia-Galles 1-0

Spunti di conversazione sulla terza partita degli Azzurri agli Europei: i 26 titolari, Marco Verratti, l'Atalanta e il momento giusto per cantare Gianna Nannini. tutti insieme.

Bar Italia è una raccolta di spunti, riflessioni, idee e analisi non troppo approfondite a caldo dopo il fischio finale delle partite della Nazionale. Movimenti osservati per strada e tagli osservati in campo. Emozioni da divano ed emozioni viste oltre i cartelloni pubblicitari dopo un gol. Un manuale di conversazione da bar scritto dalla redazione di Undici e da occasionali ospiti.

Cambiando l’ordine degli addendi
Contro il Galles sono stati ben otto i cambi nell’undici titolare operati da Mancini: una formazione rinnovata, in pratica, per non dire completamente un’altra squadra. Beh, risultato a parte, l’Italia 2 (ma non ditelo al ct: ci torneremo) ha replicato essenza e filosofia di quella che è andata in campo nelle prime due partite: c’è la voglia di giocare il pallone, farlo girare, trovare il compagno libero che si è mosso nello spazio, e poi, quasi sempre, allargare il gioco sugli esterni. E ancora: la pressione alta, l’imporre certi ritmi, e così via. Vuol dire che l’identità di questa squadra è più forte dei nomi stessi: un po’ lo avevamo capito, vederlo fa tutt’altro effetto. Del resto i cambi di titolari erano anche sostanziali, per quanto riguarda le caratteristiche degli interpreti, e non solo nominali: basti pensare alla posizione di Pessina, certamente più smaliziato tra le linee rispetto a un Barella, o a un esterno atipico, a tutto campo, come Bernardeschi, meno “ligio” di un Berardi. Non è cambiato approccio né stile, quel modo di giocare a calcio, per la Nazionale di oggi, è una necessità: insomma, è il nostro passepartout per fare bella figura e vincere le partite. E anche per non dipendere da nessuno, nel bene e nel male.

«Ventisei titolari»
Del resto, come ripete Mancini, ci sono 26 titolari: è certamente una forzatura, ma è un concetto che va oltre la solita retorica. Non c’è il campione più grande degli altri in questa Nazionale, e va a finire che è un bene: non ci sono gerarchie pre-impostate e così il ct può schierare l’undici che ritiene migliore senza condizionamenti. Un Berardi titolare nelle prime due sfide sarebbe stato difficile da immaginare soltanto un anno fa, ma adesso è pienamente comprensibile e pure condivisibile, e non c’è stato nessuno che si sia sentito in dovere di dissentire (e ci mancherebbe, dopo due prove così). Ma il discorso è allargabile alle più svariate situazioni, e chissà quante di queste torneranno utili in futuro. Per ora, Mancini ha mandato in campo, nell’arco delle tre partite del girone, 25 giocatori: tutti, eccetto Meret. Pure Sirigu si è preso una manciata di minuti, seppur di totale relax. Ma tolto quello che suona di “omaggio” al portiere del Torino, il messaggio è chiaro: questa Nazionale ha bisogno di tutti.

Quanto conta, e quanto conterà, Marco Verratti

Marco Verratti è un genere di calciatore che si può apprezzare in diversi modi, da diverse prospettive. È quantitativo e qualitativo, come i libri, i romanzi, i dischi che vendono tanto e vengono pure lodati dalla critica: da una parte ci sono i numeri enormi delle sue partite, Opta ha raccolto qui quelli di Italia-Galles, noi vogliamo citare solamente le cinque (!) occasioni da gol create, tra cui l’assist per il gol di Pessina, niente male per un centrocampista; e poi c’è la qualità, la sensazione appagante per cui ogni sua azione non sia solo giusta, ma sia anche eseguita bene, nel senso che è elegante, bella da vedere e da rivedere. In certe partite, contro certi avversari, l’orpello dell’estetica diventa un’aggiunta significativa, anzi fondamentale: non solo spezza la noia monotona delle difese a oltranza come quelle del Galles, ma finisce per sorprenderle, per renderle impreparate. Del resto un giocatore come Verratti, un atleta di qualità evidentemente superiore, sciorina il meglio del suo repertorio proprio quando fa cose proporzionate alla sua classe, quando ha un’idea improvvisa e imprevedibile: un dribbling (che sembra) di troppo, un passaggio tra le linee (che sembra) eccessivamente rischioso, uno scambio nello stretto (che sembra) impossibile da portare a termine, tutte giocate che richiedono grande tecnica, grande padronanza, la tranquillità e la coordinazione, quindi l’eleganza – appunto – che appartiene solo agli eletti.

Un minuto di azioni, orchestrate da Verratti, in cui l’Italia guadagna metri e spazi e occasioni

In altre partite, quelle contro gli avversari più forti, quelle che inevitabilmente attendono l’Italia di Mancini agli Europei, le intuizioni di un giocatore come Verratti saranno ancora più importanti. Anzi: saranno decisive. Perché contro la Spagna o il Belgio, per esempio, gli Azzurri non potranno pretendere di gestire sempre il pallone, dovranno riuscire a essere pericolosi con meno possessi; contro la Germania, oppure contro la Francia, non potranno permettersi di sbagliare alcuna rifinitura, altrimenti saranno infilati da ripartenze velocissime; contro l’Inghilterra o contro il Portogallo, non potranno sbagliare i tempi del pressing, altrimenti saranno saltati come birilli. Per dirla in poche parole: in un contesto di alta qualità, servono i calciatori di alta qualità, come Verratti. Quelli che non si spaventano a rischiare le cose difficili anche quando gli avversari pressano forte, corrono forte, non perdono mai il pallone. Certo, fino a ieri Verratti non ha giocato solo perché non stava bene, ma contro il Galles è rimasto in campo tutta la partita e ha dimostrato di essere fisicamente abile e arruolabile. Soprattutto, ha fatto vedere quanto conta averlo in campo. Quanto potrebbe contare, quanto conterà, averlo in campo da qui in avanti.

Il controllo di tacco di Roberto Mancini

Venti o trenta o anche quaranta anni fa gli sarebbe venuto meglio, probabilmente sarebbe stato perfetto. Ma niente male, in ogni caso.

È ancora meno facile di quel che sembra, con un pantalone e delle scarpe del genere

Gli Europei dell’Atalanta

Miranchuk che segna con un irridente a giro contro la Finlandia; Gossens che travolge la resistenza del Portogallo come il primo Douglas DC-8 che, nel 1961, ruppe il muro del suono; Pessina che realizza un bel gol al volo e sostituisce bene Nicolò Barella, uno dei calciatori più insostituibili d’Europa. Per anni, qualcuno ha sostenuto che i giocatori dell’Atalanta di Gasperini funzionavano solo nell’Atalanta di Gasperini. Per anni, forse, è stato vero almeno in parte. Oggi che l’Atalanta gioca stabilmente in Champions League, oggi che Gasperini è diventato ancora più bravo, oggi che tenere certi ritmi in campo è una prerogativa irrinunciabile delle squadre più forti, pensare ancora che i giocatori dell’Atalanta di Gasperini funzionino solo nell’Atalanta di Gasperini è un modo per confessare la propria lontananza dalla realtà. Un modo neanche troppo subdolo, in verità.

Un sentimento nuovo

C’è un video di ieri, domenica 20 giugno, della Nazionale che torna in hotel a Roma e a un certo punto, ascoltando delle note che vengono da un piccolo stereo portatile, si unisce in un abbraccio come se ci fosse l’inno pre-partita. Invece è Gianna Nannini e tutti si mettono a cantare, in coro: notti magiche, inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana, e così via. È un’immagine che emoziona al di là della nostalgia per l’ultimo Mondiale casalingo perché questa libertà nel mostrarsi così felici, nei completi Emporio Armani e tutti stretti l’uno all’altro e scanzonati più che commossi, sembra veramente spandere un profumo di possibilità nuove, felici, coraggiose. Magari le cose si avverano con trent’anni di ritardo, dopotutto l’incipit di quel vecchio pezzo sembra più adatto a oggi che a ieri, a questo Europeo di tutta l’Europa: «Forse non sarà una canzone / a cambiar le regole del gioco / ma voglio viverla così quest’avventura / senza frontiere e con il cuore in gola».

Un’avventura in più