Tutti i tormentoni creati dalla Nazionale italiana

Canzoni, immagini, esultanze, momenti iconici che hanno fatto la storia degli Azzurri, da "Notti Magiche" a "Seven Nations Army" fino alle partite a carte, quelle vere o quelle immaginarie.

Al ritorno dall’ultima vittoriosa partita contro il Galles, i giocatori della Nazionale italiana in hanno sfilato davanti ai tifosi appostati nei pressi dell’Hotel Parco dei Principi di Roma. Con loro era presente anche lo staff, capitanato da Roberto Mancini. Sembravano tutti diretti all’entrata dell’albergo ma, all’improvviso, il loro percorso ha subito una deviazione: nessuno ha fatto per entrare e davanti al portone si è iniziato invece a formare un piccolo assembramento. È in quel momento che Lorenzo Insigne ha sfoderato una piccola cassa portatile, l’ha accesa ed è partito un coro sulle note della celebre canzone “Notti magiche”, a favore di pubblico e telecamere. Il pezzo in questione, che in realtà si chiamerebbe “Un’estate italiana”, è la cover di “To be Number One” firmata dal duo Bennato-Nannini ed era la canzone ufficiale dei Mondiali casalinghi del 1990, quelli terminati con l’eliminazione in semifinale contro l’Argentina di Maradona.

È un’abitudine tutta italiana, quella del tormentone calcistico. Legata indissolubilmente alle grandi competizioni rimaste nella storia della nostra Nazionale. Ci risulta ormai naturale, ad esempio, associare “Seven Nation Army” dei White Stripes alla vittoria del Mondiale in Germania del 2006, sebbene in realtà nessuno ne conosca il testo, sostituito da un incessante po-po-po-po. Un’abitudine tutta italiana, si diceva: all’estero, per diffusione e impatto, solo il famoso “It’s coming home” degli Europei inglesi 1996 potrebbe reggere il confronto con queste vere e proprie “hit” calcistiche a tinte azzurre, il cui successo cercano in ogni modo di replicare a cadenza biennale i cantanti più o meno improvvisati del nostro paese. Quest’anno, per esempio, ci ha provato il trio comico Gli Autogol con Dj Matrix, Ludwig e Arisa, proponendo la canzone “Coro Azzurro” quale “sigla” italiana di Euro 2020, ed è interessante notare come nel videoclip del pezzo sia stata confermata l’importanza dell’accompagnamento musicale nell’economia delle spedizioni azzurre. Il montaggio, infatti, inizia con una finta intervista al ct Mancini in persona, che si dice pronto all’Europeo ma allo stesso tempo preoccupato per la mancanza di qualcosa: «Che cosa manca mister?»; «Eh, manca il tormentone».

E del resto possiamo rintracciare un brano ad hoc per quasi tutte le grandi competizioni che hanno visto impegnata la Nazionale dal 1970 a oggi: si va dalla brasileggiante “Ossessione ’70” di Franco Cigliano, a “Un amore così grande” dei Negramaro, riadattamento dell’omonima canzone di Claudio Villa pensato apposta per gli ultimi Mondiali a cui abbiamo partecipato, quelli del 2014. Nel mezzo: “Siam tutti figli di Bearzot“, accroccata sei giorni prima della finale di Spagna ‘82 da Paolo Paltrinieri, Lorenzo Canovi e Romeo Corpetti; “Italia ancora“, cantata per il mondiale del 1994 da Massimo Ranieri, Enrico Ruggeri, Diego Abatantuono e Paolo Maldini; “Da me a te“, colonna sonora firmata Claudio Baglioni dei mondiali del ’98; “Siamo una squadra fortissimi“, di Checco Zalone, ulteriore hit del vittorioso 2006 nonostante l’ingombrante “Seven Nation Army” – in generale la regola sembra essere: più si vince, più si canta.

Non tutti questi brani sono divenuti comunque dei tormentoni, e non tutti i tormentoni sono stati brani musicali. Come dimenticare ad esempio il metti a Cassano onnipresente nel periodo degli Europei del 2004? Tutto era partito da uno spot di Michele Emiliano, allora candidato a sindaco di Bari e oggi presidente della Regione Puglia, nel quale un anziano signore davanti alla tv ripeteva ossessivamente la frase indirizzando i suoi improperi a mister Trapattoni. E sempre di matrice pugliese è ovviamente il porca putténa di Lino Banfi, alias Oronzo Canà, che sta diventando un altro refrain di questo Euro 2020, già gridato in campo da Ciro Immobile e Lorenzo Insigne dopo i gol segnati nelle prime due giornate della fase a girone. In occasione dei mondiali dell’82 poi riuscì a “tormentarci” addirittura una sola foto, quella della partita a scopone sull’aereo di ritorno da Madrid che vide fronteggiarsi il presidente della Repubblica Sandro Pertini, in coppia con Zoff, e il duo Causio-Bearzot. Un’altra partita a carte, però solo immaginaria, è stata protagonista di un’altra esultanza che è rimasta impressa nella memoria degli italiani: Alessandro Del Piero e Christian Vieri, dopo il gol segnato da Vieri alla Norvegia nella gara degli ottavi di finale a Francia 98, si siedono uno di fronte all’altro come se stessero per iniziare una mano di briscola, poi si abbracciano. In seguito hanno confessato che celebrarono quel gol improvvisando, fermandosi per cercare di riprendersi dal gran caldo di quel giorno a Marsiglia. Tutt’altro che improvvisato, invece, il taglio di capelli a centrocampo per Mauro Germán Camoranesi dopo la vittoria dei Mondiali 2006: il barbiere era Massimo Oddo, e aveva accorciato la chioma a tutti i compagni nel corso del lungo ritiro in Germania. La coda dell’italo-argentino è stata immolata sull’altare di una scommessa che alla fine è stata vinta, ma per un successo iridato questo e altro.

Il taglio dei capelli a centrocampo di Camoranesi, con tutta la squadra a festeggiare intorno a lui (Martin Rose/Bongarts/Getty Images)

Sembra che in certe occasioni basti veramente un nonnulla nel nostro paese perché rimbalzi dappertutto, quasi ossessivamente, la stessa frase, lo stesso motivetto, la stessa immagine, la stessa opinione di bocca in bocca. Ma guai ad arrivare a conclusioni affrettate, tacciandoci magari tutti di conformismo o dipingendoci come arroganti nazionalisti. Perché se è vero che, nel tormentone calcistico, è sempre rintracciabile un forte spirito identitario – a differenza di quanto accade col tormentone estivo di tipo classico, quello musicale, che cede spesso al fascino dell’esotico – è pur vero che in esso la nostra identità viene rappresentata, anzi viene proprio giocata in maniera scanzonata, senza alcuna pretesa di manifestare una presunta superiorità rispetto alle altre nazioni. Metti a Cassano e la frase di Lino Banfi sono infatti innocui “internal jokes”, come dice la Gen Z, ovvero battute che possono essere capite solo dai membri di uno stesso gruppo.

Anche Seven Nation Army, che deve il suo successo e la sua irriverenza al meccanismo di italianizzazione di una canzone anglofona attraverso quel popopopo che è anche l’abbrivio non scritto del nostro inno nazionale, in fondo ci piaceva solamente perché ci mostrava ai “non italiani” come una marea incomunicabile di divertiti appassionati di calcio. Lo stesso criterio sembra applicabile alla strapaesana partita di scopone in aereo con Pertini, o all’inflessione dialettale spinta di Checco Zalone. Sembra, insomma, che godiamo dei tormentoni soprattutto se questi ci rendono incomprensibili allo straniero, più che superiori.

È come un’ulteriore aggregante per l’unione, anche solo apparente, che si manifesta ogni due o quattro anni. Per noi italiani. del resto, l’attrattiva di qualsiasi manifestazione sportiva è proporzionale a quanti la guardano contemporaneamente. E forse è proprio questa volontà di stare insieme, di sentirsi parte di un tutto, di un tutto caratterizzato, che giustifica i tormentoni. In fondo, i tormentoni non sono altro che un modo tutto nostro di relazionarci con una moltitudine, forse retaggio del nostro passato contadino e dei canti che nelle sagre paesane hanno riunito per secoli le comunità in lassi di tempo prestabiliti, così come i Mondiali e gli Europei riuniscono ogni due anni il nostro paese calcistico. E se le sagre stanno lentamente scomparendo dalla nostra penisola, perché in realtà stanno scomparendo i paesi stessi che le ospitano, consideriamo allora benevolmente i tormentoni del calcio come un incentivo affinché il nostro amore per questo sport, e per la nostra Nazionale, non abbia mai fine. Anzi, possa rinnovarsi ogni volta.