È arrivato il momento di Alexander Isak?

La storia felice ma anche accidentata dell'attaccante della Svezia, una delle grandi rivelazioni di Euro 2020.

La rapidità, la fantasia e quindi l’imprevedibilità del gioco di Alexander Isak hanno fatto sorgere un interrogativo: ma perché la Svezia di Janne Andersson avrebbe dovuto cambiare la la propria fisionomia e la propria essenza per adattarsi al ritorno di Zlatan Ibrahimovic? Certo, parlare col senno di poi è semplice, la Nazionale scandinava sta giocando un buonissimo Europeo e l’attaccante della Real Sociedad sta offrendo delle prestazioni eccezionali, anche se non ha ancora segnato – nel frattempo, però, è stato il giocatore che ha effettuato il maggior numero di dribbling in una singola partita del torneo (sei, contro la Slovacchia), ha tenuto in scacco la difesa spagnola praticamente da solo, ha propiziato il primo gol di Forsberg contro la Polonia. Del resto è evidente che il calcio basico di Andersson – la Svezia si schiera con un 4-4-2 lineare e compatto che punta a ridurre i rischi e a ripartire in campo aperto – tragga grandi benefici della presenza di Isak, da una punta così mobile, così a suo agio in tutte le zone del campo, così intelligente nel capire quando è necessario allargarsi sulle fasce, legare i reparti oppure attaccare la profondità. Certo, Isak avrebbe potuto fare tutto questo giocando accanto a Ibrahimovic, da seconda punta, ma l’ombra lunga e la limitata capacità di corsa e ripiegamento di un centravanti-totem di 39 anni avrebbe inevitabilmente limitato la sua libertà.

Con le suggestioni deterministiche e le narrazioni fatalistiche non si va lontano, ma è impossibile non pensare, quindi non evidenziare, che l’esplosione definitiva di Isak sia arrivata proprio adesso, quando Ibra è stato costretto a farsi da parte, a lasciare spazio a un suo potenziale erede. Al suo primo potenziale erede, almeno in Svezia. Questo termine e questo titolo sono certamente impegnativi, considerando la dimensione del personaggio, ma non sono casuali. Per tanti motivi. Il primo è che basta scorrere la lista degli attaccanti svedesi nati dopo Ibrahimovic e prima di Isak (ci sono i vari Rosenberg, Elmander, Toivonen, Guidetti, Berg) per rendersi conto che nessuno, negli ultimi anni, ha potuto solo pensare di avvicinarsi a Zlatan, a livello tecnico, ma anche e soprattutto per riconoscibilità e carisma. Isak, invece, è entrato in scena nella primavera del 2016 – quando non aveva ancora 17 anni – ed era già considerato un fuoriclasse del futuro, il gioiello della sua generazione, il miglior prodotto del vivaio dell’AIK Solna e forse dell’intero sistema giovanile svedese. Una sensazione inizialmente verificata nella realtà: Isak realizza un gol nella prima gara tra i professionisti, in Coppa di Svezia, e poi alla prima partita di campionato; fino a gennaio 2017, segna 13 reti in 29 partite ufficiali con la prima squadra dell’AIK, poi debutta nella Nazionale maggiore e diventa subito il più giovane marcatore di sempre, a 17 anni e 113 giorni, in occasione della seconda presenza, un’amichevole con la Slovacchia; pochi giorni dopo viene acquistato dal Borussia Dortmund per otto milioni di euro. Secondo alcune indiscrezioni, poi confermate in seguito, ha accettato l’offerta del BvB dopo aver rifiutato una proposta ufficiale del Real Madrid.

Le analogie e le differenze che alimentano la sensazione di una successione possibile, tra Isak e Ibrahimovic, non si limitano solo al ruolo, e agli esordi da predestinati: l’AIK non è una semplice squadra di calcio, non è solo un club dalla grande tradizione giovanile, ma è soprattutto un avamposto culturale, un’istituzione che è riuscita a replicare anche nel calcio il cosiddetto “Modello Solna“, un approccio sistemico varato dalla politica locale e nazionale per sostenere i numerosi migranti e i rifugiati arrivati nel sobborgo della capitale, per inserirli nel mondo del lavoro o dell’istruzione. Non a caso, oltre allo stesso Isak – i suoi genitori sono originari dell’Eritrea – anche Robin Quaison, suo compagno in Nazionale ed ex giocatore del Palermo, si è formato nell’AIK e ha discendenze di un altro Paese (il Ghana); come loro, ci sono molti altri ragazzi cresciuti nell’academy di Solna che hanno il doppio passaporto.

Rispetto a quella di Ibrahimovic, dunque, la vicenda di Isak è più aderente all’era contemporaneo, è una storia di integrazione, di armonia, non è un racconto di rivalsa socio-culturale: Isak è cresciuto nel quartiere multiculturale di Bagartopr, a poche centinaia di metri dalla Friends Arena, lo stadio dell’AIK, ed è entrato nel settore giovanile quando aveva sei anni. Come ha spiegato al Times uno dei suoi primi allenatori, Peter Wennberg, Isak è «il prodotto di un ambiente sano, pregno di amore e comprensione, non solo da parte della sua meravigliosa famiglia, che l’ha sostenuto nella maniera giusta senza mettergli pressione; Zlatan, invece, era un leone solitario nella savana, un ragazzo e poi un uomo che ha lottato tutti i giorni per sopravvivere in un contesto che secondo lui gli ostile». Non a caso, qualche tempo fa lo stesso Isak ha spiegato che la sua indole è diversa da quella di Ibra: «Io preferisco far parlare il campo, per me è la cosa più importante».

Tutti i gol di Isak in questa stagione con la Real Sociedad

L’altra grande differenza tra Isak e Ibrahimovic va ricercata nel modo di giocare: l’attaccante della Real Sociedad è alto (circa 190 centimetri) ma ha un fisico meno muscoloso e quindi più scattante, che, come detto, lo rende perfetto per correre in campo aperto; in realtà ha una buonissima tecnica anche negli spazi stretti, ed è molto migliorato sotto porta, grazie a un progressivo aumento del minutaggio, sia al Willem II, in Olanda, e poi dopo alla Real Sociedad. La scelta di trasferirsi in prestito in Eredivisie, nella seconda parte della stagione 2018/19 è stata davvero intelligente: ha messo insieme 14 gol in 18 partite, di cui 12 nelle prime 12 gare di campionato (meglio di Ibra, Romário e Ronaldo, idoli del passato del PSV e dell’Ajax), più sette assist. In questo modo ha rifatto sua l’etichetta di grande promessa da valorizzare e e si è guadagnato l’approdo alla Real Sociedad, una delle squadre spagnole – ed europee – più attente nello sviluppo del talento. Nei Paesi Baschi, è andata più o meno nello stesso modo, nel senso che Isak ha saputo aspettare il momento giusto e coglierlo al volo: dopo un primo anno di assestamento come backup di Willian José, l’addio dell’attaccante brasiliano ha convinto il tecnico Alguacil a promuoverlo titolare fisso; in cambio, l’allenatore della Real ha ottenuto 26 gol in Liga e sette in Copa del Rey, competizione della quale Isak si è laureato capocannoniere nell’edizione 2019/20 – quella della finale rinviata di un anno per via della pandemia, e che alla è stata vinta proprio dalla Real Sociedad, dopo una vittoria nel Derbi Vasco contro l’Athletic Club. Per Isak si è trattato del secondo trofeo della carriera dopo la Coppa di Germania 2017, il primo conquistato da protagonista.

Probabilmente Isak ha solo rallentato, si è fatto contagiare dall’inevitabile fretta del mercato contemporaneo, da quell’attesa enorme che aveva giustamente generato con la sua esplosione precoce, quando non era ancora pronto per il grande salto. Pure il passaggio negativo al Borussia Dortmund, però, è stato gestito con assoluto equilibrio: «Per me è stato bello in ogni caso», ha raccontato qualche mese fa a The Independent, «perché ho imparato molto. Avevo amici fantastici come Pulisic e Sancho, ma alla fine avevo bisogno di giocare a calcio, volevo tornare a divertirmi stando in campo. Allora ho deciso di fare un passo indietro per farne due avanti: scegliere di trasferirmi in Olanda, in questo senso, è stata la mossa giusta». A 22 anni da compiere, Isak possiede la quantità di talento, la storia personale e la serenità interiore che servono per poter diventare un campione. Forse gli manca ancora qualcosa a livello puramente realizzativo o di personalità, magari entrambe le cose, per poter chiudere un cerchio che sembrava segnato. Gli Europei, in questo senso, hanno dato indizi importanti e ora potrebbero dare la conferma definitiva, sul fatto che il momento di Isak sia davvero arrivato.