Zlatan Ibrahimovic, il contrario della banalità

I gol, la vita e le contraddizioni di un fuoriclasse unico,nel nuovo libro di Daniele Manusia, edito da 66thand2nd.

Il libro Zlatan Ibrahimović, Una cosa irripetibile di Daniele Manusia (66thand2nd, 2012), comincia con un gesto solitario, un’acrobazia, un gol impossibile, una festa per qualcuno, una festa rovinata a qualcun altro, con lo stupore e il contrasto, la nitidezza e l’incomprensibile, la sintesi di dove si possa spingere un corpo sostenuto dalla determinazione, dalla fantasia, dall’immaginazione. Manusia comincia, perciò, con una riduzione molto riuscita di quello che è stato, è, e sarà (chissà per quanto) Ibra in poche pagine. Comincia con un gol straordinario, forse il più bello tra i suoi, di certo il più sfrontato, il più rappresentativo, uno di quelli che sarà maggiormente ricordato. Pensi a Ibra e pensi a quella cosa assurda e irripetibile (appunto) che è il gol che ha fatto a John Hart, è il novembre del 2012, la Svezia batte l’Inghilterra per 4-2 (le reti le segna tutte e quattro lui). La rovesciata? Sforbiciata? Catapulta? Salto in alto con calcio? Come si può definire un gol così complicato, fatto da tanto lontano, al volo, con il corpo messo al contrario? Lo si può chiamare solo Zlatan, alla Zlatan, perché fa la cosa indimenticabile, per lui naturale, per tutti gli altri impossibile.

Manusia sa che scrivere un libro sul fuoriclasse svedese è una faccenda complicata – ci sono già due biografie, altri libri, scritti, articoli, documentari – decide perciò di raccontarlo procedendo per accelerazioni, capitoli, flash, che riducono la distanza tra il lettore e il calciatore, così come i suoi guizzi improvvisi accorciano la misura tra il suo piede e il gol, tra la noia e il mezzo miracolo. Parte dal gol che abbiamo raccontato e poi fa avanti e indietro, accendendo e spegnendo la luce su molti istanti decisivi. Si concentra maggiormente sulla seconda parte della carriera di Ibra, quella che comincia – tirando una linea ideale di demarcazione – dopo l’anno al Barcellona, l’anno sul quale si è detto nulla e si è detto tanto, i problemi con Guardiola soprattutto, il suo essere individualista all’estremo non poteva legarsi con il calcio di squadra, il gioco di posizione, e le altre cose che conosciamo.

Naturalmente Manusia sa che non si possono raccontare dieci, dodici anni senza considerare tutto ciò che è stato prima: l’adolescenza, la forza caratteriale, la sua maniera di porsi, di difendersi attaccando, l’Ajax, la Juve, l’Inter e, dopo il Barça, il Milan, il Psg, il Manchester United, i Los Angeles Galaxy, di nuovo il Milan, ancora il Milan. Individualista, certo, ma Zlatan ha migliorato le squadre in cui ha giocato. Tutte quante. E allora è davvero un solitario, arrogante, accentratore, egoista, uno che rende speciali e vincenti tutti i collettivi per i quali va a giocare? Sì, ma ne paga il prezzo (vedi Barça). No, perché, ogni squadra –  di quel talento unico e dislocato dagli schemi  – se ne è giovata. Maledetto Ibra e i suoi piedoni, 45, 46, 47, benedetto Zlatan e i suoi movimenti, il suo arpione sulla palla, i suoi missili, i suoi gol col petto (col Psg ne ha segnati addirittura 4).

I flash di Manusia, il suo racconto che scorre come narrativa pura, vanno di gol in gol e ci rendiamo conto, ci ricordiamo di come lo svedese (come e più del personaggio di Roth) non ha mai fatto un gol ordinario. Un suo colpo di testa prevede un anticipo nello scatto, uno stacco imperioso, un’elevazione di gran lunga maggiore dei suoi avversari (si valuti come esempio il gol segnato nello scorso campionato al Napoli, il suo movimento e successivo stacco fanno sembrare Koulibaly un principiante), una potenza impressa al pallone che non ha eguali. Un suo calcio di punizione viaggia come una saetta, una saetta precisa. I suoi colpi di tacco prevedono torsioni e movimenti del piede non contemplati dalla legge. I suoi anticipi e scatti raccontano di una leggerezza che l’osservazione semplice del suo fisico non riuscirebbe a far immaginare. Delle acrobazie abbiamo detto all’inizio. Come Bergkamp diceva di non essere interessato a fare gol brutti, così Ibra pare non essere né interessato né destinato a fare gol normali, banali.

Mentre leggevo le circa 160 pagine del libro mi è venuto in mente che Ibra fa un uso diverso del corpo rispetto ad altri fuoriclasse, molto spesso è parso che il suo busto ruoti un po’ di più rispetto al modo consentito, che i suoi piedi siano capaci di muoversi con e verso il pallone con un tempo che sfugge alle leggi umane. Manusia ricorda che non esiste una parte del piede con la quale Zlatan non abbia segnato. Ho pensato all’artista Bruce Nauman, uno dei maggiori sperimentatori dell’arte contemporanea, la sua opera si è mossa lungo tre particolari direttrici: lo studio d’artista come spazio di creatività e di lavoro, la sperimentazione sonora e – soprattutto – l’uso performativo del corpo. Nauman in questi mesi è in mostra a Venezia, a Palazzo Grassi – Punta della Dogana, ci sono stato nei giorni dell’iinaugurazione e ho in mente di ritornarci. Ho ripensato ai suoi lavori tridimensionali, ai ribaltamenti delle immagini, agli immensi schermi sui quali sono riprodotti video del suo corpo in azione; corpo che semplicemente si muove, comincia a ruotare, a pezzi, la parte superiore continua a mostrare il davanti, la parte inferiore gira e va in senso contrario. Nauman mostra un’ossessiva scomposizione e composizione del corpo, facendo sì che l’immaginazione ci porti nel campo delle nuove possibilità, ho ripensato ai video dell’artista dell’Indiana mentre leggevo i capitoli di Zlatan, che con il suo modo di giocare e di stare in campo, di mettere il corpo al servizio del pallone ha inventato una performance itinerante e spaziale che dura da più di vent’anni, chissà se un giorno la Fondazione Pinault non acquisti i video con i suoi gol e li mostri schermo dopo schermo, azione dopo azione, nel cubo magico di Punta della Dogana.

L’indefinibile Ibra raccontato da Manusia ci mostra un uomo che ha sempre giocato anche con il suo “essere antipatico”, che non ha mai gradito le critiche superficiali e le critiche in generale, che sorride poco ma che ogni tanto ride. Ci ha raccontato un calciatore straordinario che ha trasformato la lotta tra lui e il mondo in una battaglia tra lui e gli avversari, tra lui e ogni difensore, tra lui e centinaia di portieri. Un libro preciso e un pochino romantico che include un’invocazione affinché la cosa irripetibile si ripeta ancora, almeno per un po’.