Il calciomercato sta superando il limite?

Le operazioni che hanno portato Lukaku al Chelsea e Messi al Psg mostrano come la pandemia non abbia cambiato nulla. Anzi, in realtà ha ampliato il gap tra piccoli e grandi club.

È forse il calcio il luogo in cui si realizza la teoria accelerazionista? È il calciomercato 2021/2022 il momento in cui il capitalismo accelera fino a superare se stesso, fino a mordersi il culo cioè a mangiarsi la testa? Il calcio va così spedito e tanto convinto allo schianto contro il muro che quasi dispiace disturbare con i dettagli della rincorsa e con i particolari dello sfracello. Ma qui siamo e questo facciamo, e quindi: Ben White passa dal Brighton all’Arsenal per 58 milioni di euro, nell’anno della pandemia, al termine della stagione in cui i soldi son finiti per tutti ma per alcuni son più finiti che per gli altri. Ben chi? Esatto. Emi Buendía dal Norwich all’Aston Villa per 35 milioni. Emi… ? Appunto.

Questo pezzo poteva essere su Ben White o Emi Buendía. Ieri doveva essere su Messi che lascia Barcellona e il Barcellona, per trasferirsi al Psg.. Oggi, inevitabilmente, è su Lukaku che saluta l’Inter per ritornare al Chelsea. Domani, se quanto appena successo ci informa di quello che sta per succedere, potrebbe essere su Lautaro Martínez che si trasferisce a Londra, o su Lorenzo Insigne che diventa un giocatore dell’Inter. E ci avanzano Jadon Sancho, Achraf Hakimi, Sergio Ramos, Gianluigi Donnarumma, Georginio Wijnaldum, Raphaël Varane, Jack Grealish, e chissà quanti altri da qui alla fine del calciomercato. Si vede il filo che tiene tutto assieme? Non è quello rosso, stavolta è quello verde. Follow the money, diceva quello. È facile, non c’è bisogno di essere né Giovanni Falcone né Lester Freemon: the money stanno solo a Parigi, Londra e Manchester, che a questo punto – uno dei due liocorni s’è presentato, manca solo l’altro, che è Cristiano Ronaldo, e fino al 31 agosto di tempo ce n’è… – viene da chiedersi perché non si fanno il loro campionato dei ricchi, dove invitano solo gli amici ricchi. Aspetta, dove l’ho già sentita questa?

Ad aprile anche io berciavo contro la Super Lega: i country club mi fanno schifo, i rotariani mi danno ai nervi. Ovviamente non ho mai messo piede in un country club e non ho mai conosciuto un socio del Rotary. Però Florentino Pérez mi ricorda tutti i direttori di banca che mi hanno negato un mutuo e Andrea Agnelli somiglia al capo che continuava ad assumere a tempo indeterminato gli altri, quindi per me la Super Lega non si doveva e non s’ha da fare, per questi motivi e per quelli che sono già stati detti e che non serve ripetere ancora: “We don’t like it and we don’t want it to happen”. Ma, esattamente, cos’è che non ci piace, cos’è che non vogliamo succeda? Riformulo: cos’è che ci piaceva ancora meno di quello che abbiamo adesso, cos’è che volevamo evitare che non sta già succedendo adesso (e da un pezzo, in realtà)? Fa impressione (imbarazzo, forse) pensare ai discorsi, ai litigi di aprile. La pandemia doveva essere la singolarità biologica capace di costringere il sistema-calcio a una riforma non più utile ma necessaria: non è sostenibile – di più: non è accettabile – un settore in cui si arriva ad accumulare un miliardo di euro di debiti (con i numeri rende meglio: 1.000.000.000 € di debiti) e in cui comunque non si tira giù la saracinesca semplicemente perché ormai si è too big to fail. Aspetta, anche questa: dov’è che l’ho già sentita?

La Super Lega era la risposta sbagliata, delle persone sbagliate, a un problema enorme e per certi versi collettivo (il calcio è o non è lo sport più seguito e praticato nel mondo?). Un problema grande quanto l’Inter tra un po’ costretta a vendere anche lo scudetto tricolore cucito sulle maglie. Un problema grande quanto il Milan che lascia scadere il contratto del portiere più promettente del mondo perché le cifre, tra rinnovi e commissioni e cazzi e mazzi, ormai sono insostenibili per chiunque tranne che per quelli che nella vita fanno i padroni del vapore. Un problema grande quanto la Juventus costretta a un aumento di capitale da 400 milioni di euro perché prendere l’attaccante più forte del mondo è ormai un costo fisso superiore (molto superiore) a un beneficio solo probabile. Il problema era ed è: come impediamo che il girotondo ricominci da capo e di ritrovarci tra dieci anni con squadre sull’orlo del fallimento perché nel frattempo è diventato normale dare a Martin Braithwaite 4.5 milioni di euro (netti!) all’anno di stipendio? Forse il calcio si salva con una legge che per comodità e affetto potrebbe prendere il nome dell’attaccante danese, il Bosman che questi tempi si meritano: se un calciatore possiede – direttamente o indirettamente – beni immobili per un valore catastale complessivo pari o superiore a quello degli appartamenti newyorchesi di Braithwaite, allora gioca gratis. E ai tesserati del suo club di appartenenza affitta a equo canone. Facciamo arrivare questa proposta a Ceferin, secondo me apprezza.

A proposito di Ceferin: «Siamo sostenuti dalla grande maggioranza dei club, compresi dei giganti che rispettano il calcio, la sua storia e i suoi principi. Io li ringrazio. Nasser in primis, grazie dal profondo del mio cuore. Dimostri di essere un grande uomo, rispetti il calcio e i valori». La risposta di Nasser Al-Khelaïfi: Donnarumma-Hakimi-Marquinhos-Ramos-Bernat-Wijnaldum-Verratti-Di Maria-Messi-Neymar-Mbappé, 400 milioni di monte ingaggi prima dell’arrivo di Messi, Neymar che dopo il rinnovo del contratto guadagna 35 milioni di euro netti a stagione, un bilancio dei trasferimenti che dice meno 67 nonostante quattro dei sei grandi acquisti di questa sessione siano degli svincolati. Io ti ringrazio, Nasser, grande uomo, rispettoso del calcio e dei valori, non come quello stronzetto di Roman che spende 115 milioni per prendere Lukaku, al quale dà pure 15 milioni all’anno di stipendio, e che soprattutto era tra quelli che volevano farsi la loro Super Lega. Tirchi, avidi ed egoisti, quelli.

Capiamoci: non c’è disvalore in quello che fanno Al-Khelaïfi e Abramovich, siamo dalle parti del vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare ché i soldi non sono mica i tuoi. Sono sicuro che Messi sia il salvadanaio migliore in cui mettere i risparmi dell’Ente Nazionale del Turismo del Qatar e sono certo che, qualunque sia il lavoro di Abramovich, per lui non ci sia investimento più redditizio di Big Rom al centro dell’attacco del Chelsea. Ma questa è razionalizzazione che andava bene anche per la Super Lega: do we like it and do we want it to happen, now? Il problema della Super Lega era l’esclusività e la sfacciataggine, la pretesa di aver trovato la soluzione al problema essendo il problema: altri soldi! Ancora soldi! Più soldi! Dai che Ben White ed Emi Buendía non si pagheranno certo da soli!

Ma cosa c’è di più esclusivo, di più sfacciato di quello che sta succedendo in questi giorni? Il tetto salariale spagnolo diventa lo sfondamento dei cieli del bilancio parigino (viene fuori adesso che anche se Messi avesse deciso di giocare per la gloria della Catalogna, come pretendevano quelli abituati a rifiutare i soldi offerti agli altri, il Barcellona comunque non se lo sarebbe potuto permettere). La crisi della vendita al dettaglio cinese diventa la boutique del petroliere russo: è questo che pensavamo di conservare quando ci siamo messi con la UEFA, con Ceferin, Al-Khelaïfi, nella speranza disperata di proteggere quel poco che resta di noi in questo sport? Quindi è questa la riforma giusta del calcio europeo: scialuppa a mare si salvi chi può, muoia Sansone con tutti i Filistei? Dunque è questo il discorso nuovo sullo stato del calcio: e che ci vuoi fare se quelli hanno i soldi perché il petrolio serve sempre, e che si può fare se quegli altri pagano più tasse perché il governo loro ha deciso così. Allora è questa la svolta redistributiva, egualitaria del pallone: il calcio è un gioco semplice, 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine il PSG se li compra tutti.

Considerando solo la cifra versata per il cartellino, il trasferimento di Jack Grealish al Manchester City è l’operazione più costosa del mercato estivo 2021: per acquistarlo dall’Aston Villa, il club di Guardiola ha speso 117 milioni di euro, due in più rispetto all’investimento fatto dal Chelsea per ricomprare Romelu Lukaku dall’Inter (Adrian Dennis/AFP via Getty Images)

Sento la voce di uno che grida nel deserto all’inizio di questo millennio: è Adriano Galliani, ma sicuramente ho le traveggole, non può essere che siamo oggi a giustificare le stesse cose e nella stessa maniera di ieri. Ma non buttiamoci giù: dal 2024 alla Champions League accederanno 36 squadre invece delle attuali 32, e chissà chi arriverà a giocarsi l’attesissima finale di Conference League all’Arena Kombëtare di Tirana (“più soldi! Altri soldi! Ancora soldi!”, solo che al posto dei soldi ci sono le partite). Grazie Aleksander, uomo di idee, di concetti, di innovazione: a quando il ritorno dell’Intertoto? Il problema non è la costruzione dei superteam: ci sono sempre stati, e se la Serie A degli anni Novanta è immaginario collettivo è perché i superteam erano sette. Il problema è la creazione di un superteam: uno e basta, e magari non è uno ma sono pochi e comunque non abbastanza. Il problema è l’oligopolio in sé e la soluzione non è sceglierne uno che ci piace di più, al quale ormai ci siamo abituati, che ci indigna di meno. Il problema è che la competizione più imperfetta che ci sia è quella in cui uno solo dei partecipanti deve vincere e tutti gli altri possono perdere. Il problema è che mi sveglio tutte le mattine e ringrazio il cielo per il fatto che Jeff Bezos preferisce (ancora) il cazzeggio suborbitale a quello calcistico.

Ho letto un pezzo bellissimo sul Guardian. Lo ha scritto Jonathan Liew e parla di Messi, ma in realtà parla di tutto, soprattutto di quanto è successo nel calcio in questo ultimo anno, cioè negli ultimi dieci anni. Il pezzo comincia con una citazione dal romanzo Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy. È Anton Chigurgh che parla, e dice: «[…] Toglimi una curiosità. Se le regole che hai seguito ti hanno portato fino a questo punto, a che servivano quelle regole?».