E se l’Atalanta fosse la grande favorita per lo scudetto?

La squadra di Gasperini è ormai una big riconosciuta, gioca a memoria da anni e uscirà dal mercato indenne, se non addirittura rafforzata.

Quante volte bisogna sopravvivere al ruolo di underdog prima di passare a quello di contender (capita anche a voi di pronunciare questa parola scimmiottando Marlon Brando in Fronte del Porto)? Quante volte bisogna andare oltre le aspettative prima che le aspettative diventino altre? Quale identità viene dopo quella di sorpresa, dismessa quella di novità? L’Atalanta è l’underdog, è la squadra che va oltre le aspettative, è la sorpresa che diventa novità. Da cinque anni. Quanti anni devono passare ancora prima che l’Atalanta diventi contender, prima che le aspettative diventino altre, prima che si riconosca il fatto che esiste una sola e ultima identità dopo la sorpresa e la novità?

Manca il trofeo, e chissà che questo campionato così impoverito – e quindi così imprevedibile – non ponga rimedio: meglio il tricolore con i bordi dorati dello Scudetto di quello a cerchi concentrici della Coppia Italia, no? Se l’Atalanta dovesse vincere il campionato che è appena cominciato, cosa diventerebbe? Il Lille ma non così sporadico, il Villareal che la provincia italiana può permettersi, il Leicester fino al punto in cui i brodcaster internazionali sono disposti a investire nella Serie A. O forse uno di quei topi di Bundesliga che ballano solo quando il gatto bavarese non c’è: il Wolfsburg, il Werder Brema, lo Stoccarda, il Kaiserslautern. O forse nessuna di queste e magari tutte assieme e chissà che il futuro non somigli al presente che vivono a Siviglia o a Dortmund.

Da che nella mia memoria ci sono partite di Serie A (più o meno 23 anni), non ricordo un campionato così difficile da immaginare. È tutto nuovo e quindi è tutto strano, e so che, qualsiasi sarà il nome inserito all’ultima riga dell’albo d’oro tra nove mesi, accanto tutti ci vedremo un asterisco che ci ricorda: sì, è successo ma è successo negli anni della pandemia e quindi certo, è successo ma non tanto, non quanto le volte precedenti. Ma se l’Atalanta dovesse vincere il campionato, quell’asterisco starebbe a indicare quale eccezione? Del contesto o dell’evento? In una stagione impossibile da prevedere quale vittoria sarebbe più sensata, più giusta di quella dell’Atalanta? In un campionato di cose spezzate, cosa ci sarebbe di più soddisfacente, di più appagante del cerchio di Gasperini che finalmente si chiude scucendo lo scudetto proprio da quella maglia nerazzurra? Edmond Dantès applaudirebbe, Oh Dae-Su si inchinerebbe.

Ma poi… è così improbabile, è davvero impossibile? In un’estate di ferite fresche e profonde, a Bergamo stanno così bene che trovano persino il tempo di grattar via la crosta formatasi sopra taglietti ormai rimarginati: lo scazzo estivo è stato ancora quello tra Gómez e Gasperini, e se per riuscire a vincere bisogna star tranquilli, cosa c’è di più tranquillizzante di una rissa evitata ormai nove mesi fa, cosa c’è di più rilassante dell’idea di due litiganti che non si incontreranno mai più? Una cosa, in effetti, c’è, una cosa che più che tranquillizzante di questi tempi è esaltante: un bilancio cumulativo degli ultimi 5 anni che dice 129 milioni di utili, un anno orribile come il 2021 che la società chiuderà comunque in positivo.

Certo, all’Atalanta manca sempre qualcosa, servirebbe sempre qualcuno. Almeno fino a quando non comincia il campionato e si scopre che quel qualcosa, quel qualcuno era già lì, solo che noi non lo sapevamo ma lo sapevano loro, soprattutto lo sapeva lui. Lui è lo stesso che si diverte a commentare il mercato della sua squadra con veri e propri saggi di humblebrag: «Ci sono tante opportunità, ma non intervengo. Sono state proposte cose buone, ma se si realizzano o meno non dipende da me», dice Gasperini nella conferenza stampa prima della partita di Torino. Quella frase si scrive “l’allenatore non interviene nelle scelte della società in sede di mercato” ma si legge “l’allenatore porta la società in Champions League per tre anni consecutivi a prescindere dalle scelte della suddetta in sede di mercato”. E gli vengono in mente, a questo allenatore, sempre una o due idee utili per l’autofinanziamento: quest’anno si chiamano Scalvini e Piccoli.

Uno può non curarsi della cessione di Gollini al Tottenham: se n’è fatto a meno per lunghi tratti della scorsa stagione, e comunque il trasferimento a Londra sembra la scelta giusta, tanto per il portiere quanto per il rapper coi guanti Gollorius, alter ego musicale dell’ex numero 1 nerazzurro. Sulla questione portiere Gasperini è stato brutale: «Il portiere era ruolo da rinforzare e Musso è tanta roba». Ma la musica, Pierluigi, la musica non ce la dimenticheremo mai. Romero che se ne va pure lui da Nuno Espírito Santo, dopo una stagione valutata 50 milioni di euro, è invece oggettivamente una perdita. Però arrivano Merih Demiral e Matteo Lovato, e se anche con questi due, anche quest’anno succede quello che è successo pure con gli altri, pure gli scorsi anni, forse è arrivato il momento di ammettere che Gasperini è il miglior allenatore di centrali difensivi della Serie A. In ogni caso, ho un sogno: Chiellini che chiude la carriera con la maglia dell’Atalanta, polverizzando il precedente record di anticipi sull’attaccante avversario completati da un difensore in una stagione (esiste, questo record? Qualcuno sta tenendo il conto o devo cominciare a farlo io?).

Luis Muriel ha segnato il primo gol ufficiale nella stagione dell’Atalanta, con un bellissimo tiro di sinistro da fuori area; l’attaccante colombiano è reduce dalla miglior annata della sua carriera, con 26 reti in tutte le competizioni (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Com’è possibile che nessuno abbia preso Gosens? So che il centrocampo dell’Atalanta è il reparto che ha sempre bisogno di quello che “faccia tirare il fiato” all’altro. E magari per gli esterni è vero, però è vero anche che trovare altri esterni così peculiari e capaci di un’interpretazione così peculiare del ruolo è pressoché impossibile. Forse è per questo che si continua a insistere con Hateboer, che finalmente si è operato e chissà quando torna e nel frattempo gioca Maehle. Magari funzionerà anche quest’ultimo, forse Hateboer tornerà come prima, più di prima. Ma nel frattempo, ho un sogno, anzi due: uno lo faccio con il cervello ed è Adama Traoré, l’altro lo faccio con il cuore ed è Renato Sanches. In mezzo al campo c’è una certa abbondanza, invece. O forse è solo la bravura di Gasperini nel far sembrare uno e trino ogni giocatore che ami cominciare la partita nel cerchio di centrocampo (e prima o poi Claudio Ranieri dovrà pure decidere a chi andrà il suo titolo di tinkerman dopo il ritiro): mediano, mezzala o box-to-box a seconda di quello che serve. Una fluidità imposta che poi costringe quei giocatori, una volta lasciata Bergamo, a una faticosa ricostruzione di sé: certe volte ci riescono (Kessié), altre no (Gagliardini), altre ancora così e così (Cristante). Contro il Torino, nella prima di campionato, non male ma nemmeno bene Pessina e Pasalic, aspettando De Roon e Freuler è evidente che se l’avversario insiste con la palla lunga alla fine i problemi vengono fuori: quindi ha senso questo interesse per Thorsby, uno con il colpo di testa di Milinković-Savić e il tocco di palla di Thorsby. Ma è il colpo di testa che interessa, qui, è la fragilità sulle palle lunghe la cosa che preoccupa, adesso.

In attacco la questione è: Ilicic? C’è? Non c’è? Se immaginiamo che non ci sarà, ho un sogno, anzi due, no, tre: Philippe Coutinho che ritrova il Liverpool nella squadra più simile a quel Liverpool; James Rodriguez che si guadagna la convocazione al Mondiale qatariota con una clamorosa stagione da doppia doppia gol e assist; Luis Alberto che non riesce ad andare al Milan in questa sessione di mercato ma che nel frattempo ci si avvicina il più possibile anche se solo in senso geografico – e comunque lo spagnolo più di un anno a Bergamo non durerebbe, anche solo vedere i compagni che corrono in quella maniera per lui sarebbe troppo. Senza dimenticare che questo è l’anno di Malinovskyi (di nuovo) e di Muriel (come sempre). Zapata, alla fine, pare resterà: niente Inter e meglio così, quella conduzione del pallone e quel passaggio pulito che si chiama Edin Dzeko non è quel che ci si può aspettare da Zapata. Zapata non sarà mai l’attaccante che contribuisce così tanto a tutto quello che non è gol da potersi permettere di non fare gol (e Dzeko, se il fisico lo sostiene, i gol li fa pure, e a quel livello lì il colombiano non ci arriverà mai). Meglio Bergamo, meglio un numero sempre imprevedibilmente alto di palloni da sparare verso la porta, meglio un numero pressoché infinito di tentativi a disposizione prima di riuscire. Agli sgoccioli di un calciomercato fatto di predoni e depredati, l’Atalanta esce praticamente indenne, persino rafforzata. E non si va troppo lontani dalla verità a dire che questa è la cosa più sorprendente successa nel calcio bergamasco negli ultimi cinque anni. E quindi, di nuovo, la domanda: è così improbabile, è davvero impossibile?