Patrick Zaki continua a tifare Bologna

L'ha raccontato prima della seconda udienza del processo in corso a Mansura, la sua città natale in Egitto.

Da 20 mesi, Patrick George Zaki – uno studente di cittadinanza egiziana iscritto all’Università di Bologna – vive nelle carceri egiziane e praticamente non può avere contatti con l’esterno. Nella sua ultima testimonianza, raccolta dalla giornalista di Repubblica Francesca Caferri, ha però annunciato che «se non mi dimenticate, tornerò presto». Nella stessa intervista, concessa da dietro le sbarre prima della seconda udienza del processo in corso di svolgimento a Mansura, la sua città natale, Zaki ha anche parlato di calcio, per quanto gli è possibile: «So che il Bologna non va tanto bene, ma io continuo a tifare per loro». Non è la prima volta che Patrick fa riferimento a vicende calcistiche: quando ha compiuto trent’anni, il 16 giugno 2021, è riuscito a incontrare la sua famiglia e a consegnare ai suoi parenti un bigliettino con scritto “Forza Italia oggi negli Euro”. Quella sera, la Nazionale di Roberto Mancini avrebbe affrontato – e battuto per 3-0 – la Svizzera nella seconda partita della fase a gironi degli Europei. Poche settimane prima, l’immagine di Zaki è stata proiettata sul maxischermo dello stadio Dall’Ara di Bologna prima della partita tra la squadra rossoblu e la Juventus, valida per l’ultima giornata del campionato di Serie A 2020/21.

Ma perché Patrick Zaki è detenuto in Egitto dal 7 febbraio 2020? La sua vicenda giudiziaria è iniziata quando è stato arrestato mentre sbarcava all’aeroporto del Cairo, prima di far visita ai parenti, con le accuse iniziali di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo. Secondo le autorità egiziane, i suoi reati sarebbero stati perpetrati attraverso dei post condivisi su Facebook su cui non ci sono certezze. Dopo l’arresto da parte della polizia, secondo il racconto del suo avvocato, è stato torturato anche con delle scariche elettriche, percosso e minacciato di stupro. La notizia del suo arresto e della sua incarcerazione non sono state comunicate alla famiglia fino al 9 di febbraio, e nella versione ufficiale della polizia si legge che Zaki è stato fermato dopo un controllo a un posto di blocco. Inizialmente è stato rinchiuso nella prigione di Mansura, la sua città natale, poi è stato condotto nell’istituto penitenziario di Tora, al Cairo, dove si trovano molti oppositori politici del regime di Al Sisi. In realtà, uno dei reali motivi dell’arresto potrebbe essere proprio l’attivismo di Zaki, che nel 2018 è stato uno degli organizzatori della campagna elettorale di Khaled Ali, avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani che poi ha ritirato la sua candidatura denunciando il clima di intimidazione e i numerosi arresti dei suoi collaboratori.

Negli ultimi 20 mesi, la sua carcerazione preventiva è stata ripetutamente confermata – con sentenze che la prolungavano di 15 o di 45 giorni – dal tribunale del Cairo, in attesa dell’inizio del processo vero e proprio. Le accuse nei suoi confronti sono state formalizzate e, inizialmente, anche un po’ ridimensionate: per via di un articolo sulle discriminazioni del regime nei confronti del gruppo etnoreligioso dei copti – pubblicato su un sito egiziano e tradotto in italiano da Repubblica – Zaki è stato accusato di “diffusione di notizie false dentro e fuori il paese” e in caso di condanna avrebbe rischiato una pena lunga fino a cinque anni di carcere. La prima udienza si è tenuta il 14 settembre scorso a Mansura, e secondo quanto raccontato dall’Ansa è durata circa cinque minuti, giusto il tempo di aggiornare il processo al 28 settembre e di confermare la custodia preventiva. È andata così anche il 28 settembre: due minuti d’udienza e nuovo appuntamento al 7 dicembre. Secondo Amnesty International, nel corso di questi giorni sarebbe venuta fuori anche un’accusa di terrorismo, che potrebbe costargli una sentenza molto più dura, fino a 25 anni di reclusione.