Nel mondo idealizzato e stereotipato del giornalismo-opinionismo sportivo, una squadra neopromossa in Serie A deve tenere tutta una serie di comportamenti fissi, immutabili da svariati decenni: deve costruire una rosa con giocatori di categoria e quindi inevitabilmente d’esperienza, deve modificare il suo approccio al gioco rendendolo meno sbarazzino per non dire difensivo, eventualmente deve scegliere un nuovo allenatore che sa come ci si salva, e di solito questa figura risponde perfettamente all’esigenza numero due, quella relativa al gioco difensivo. Le società che non seguono – o addirittura provano a riscrivere – questo algoritmo vengono dipinte come delle colonie marziane: è successo e succede ancora al Verona, all’Empoli, allo Spezia, alla Spal, solo per restare a ciò che è successo negli ultimi cinque anni. Si tratta di club che avevano un progetto – economico, tattico, di mercato – ben definito e l’hanno anche portato a termine così com’era, senza stravolgerlo. Poi magari alcuni di questi progetti sono finiti e/o sono falliti, ma intanto certe esperienze hanno dimostrato – e dimostrano ancora, nel caso di Verona, Empoli e Spezia – che esistono anche altre strade per chi arriva o ritorna in Serie A. Per chi vuole fare calcio con le proprie idee, senza piegarsi ai cliché.
Per raccontare le strategie di certi club ritenuti alieni, una delle parole più usate è rivoluzione. In alcuni casi, questa scelta lessicale è un errore, nel senso che svilisce il termine: la rivoluzione, secondo il vocabolario, è uno sconvolgimento radicale di costumi, di abitudini o funzioni fisiologiche. Ecco, in virtù di questa definizione è un po’ eccessivo pensare che Empoli, Verona o Spezia abbiano fatto o stiano facendo la rivoluzione. È molto più giusto, più realistico, pensare che questo evento capovolgente, radicale e inatteso si stia verificando a Venezia. Paolo Poggi, responsabile dell’area tecnica del club arancioneroverde, ha spiegato perché in un’intervista rilasciata a Undici qualche settimana fa: «La nostra ricerca dei giocatori, come prima cosa, è basata più sulle sue caratteristiche tecniche che sul suo curriculum. E questo presuppone ci si debba prendere qualche rischio. Successivamente ci concentriamo sui valori umani, consapevoli del fatto che proprio per questi motivi ci vuole un po’ di pazienza nel vedere espresse anche le qualità del giocatore. E per questo è anche un modo po’ coraggioso: nel contesto del nostro progetto, dobbiamo calcolare cosa ci rimane tra quattro, cinque anni. Non bisogna farsi influenzare dal risultato immediato, ma bisogna perseguire nella mentalità, nella filosofia. Non cedere agli umori del momento».
Così a Venezia sono arrivati 14 nuovi giocatori con un’età media di 23,3 anni, tutti da inserire in una rosa che in realtà era già piuttosto giovane – escludendo alcune eccezioni, ovvero il portiere Mäenpää, Molinaro, Junior Vacca – e che aveva centrato la promozione grazie a un gioco ambizioso, ricercato, soprattutto nella fase di costruzione. In questo senso, per questo suo modo di concepire e approcciare il calcio Paolo Zanetti si è rivelato un allenatore perfetto per il progetto-Venezia: è riuscito a estendere anche sul campo la politica di mercato della società, ha valorizzato i calciatori giovani, il loro talento, la loro voglia di emergere giocando in maniera tecnica, sofisticata. È proprio qui, in questo punto della filiera, che il Venezia ha insistito e ora sta facendo davvero la rivoluzione, e questa volta il termine si può usare senza paura di svilirlo: anche se, come detto, la rosa è piuttosto diversa rispetto allo scorso anno, la squadra arancioneroverde continua a proporre lo stesso stile e gli stessi concetti anche in Serie A, a praticare un calcio non speculativo, anche rischioso se vogliamo. E sta funzionando, ancora una volta.
Fin da quando ha iniziato ad allenare – il primo incarico al Südtirol, dopo la formazione nel vivaio della Reggiana, risale al 2017 – Paolo Zanetti viene assegnato d’ufficio e di diritto alla categoria degli allenatori idealisti e anche un po’ ideologizzati, quelli per cui costruire un’identità di gioco profonda, radicata, proattiva anche se non obbligatoriamente offensiva, è il mezzo migliore per arrivare ai risultati. L’esperienza a Bolzano – a 36 anni è il tecnico più giovane della Serie C, e vince la Panchina d’Oro di categoria – e poi quella di Ascoli, anche se termina con un esonero, confermano queste sensazioni: Zanetti vuole che le sue squadre pratichino un calcio riconoscibile, che cerchino sempre di manipolare gli avversari muovendo il pallone in maniera ragionata, coinvolgendo tanti giocatori nell’impostazione della manovra. Quando il Venezia gli affida un gruppo di giocatori che, almeno in Serie B, ha una qualità sopra la media, le sue idee si realizzano nel migliore dei modi: nel corso del campionato 2020/21, la squadra arancioneroverde impone il suo possesso palla in casa e in trasferta, lo fa anche se utilizza diverse disposizioni offensive (davanti alla linea a quattro si alternano formazioni con due o tre centrocampisti, tridenti larghi, trequartisti stretti e coppie offensive), così esalta il talento di difensori atipici come Ceccaroni e Mazzocchi, che non hanno paura di impostare da dietro, di centrocampisti e uomini offensivi come Crnigoj, Maleh, Johnsen, Aramu, tutti calciatori dotati di un’ottima tecnica di base. La promozione, inattesa e bellissima, arriva al termine di un grande percorso nei playoff dopo il quinto posto colto in campionato, un risultato incredibile se si pensa che il Venezia, solo due due anni prima, era sceso in Serie C – ma poi la retrocessione era stata cancellata d’ufficio.
Al netto dell’impatto significativo di alcuni nuovi acquisti, tra cui soprattutto Busio, Caldara, Okereke e Henry, il nuovo Venezia si fonda ancora sugli stessi calciatori; l’unico non confermato, tra quelli citati in precedenza, è Maleh – rientrato alla Fiorentina dopo il prestito. Non è un caso, è semplicemente il progetto di Zanetti che si è adattato, senza snaturarsi, al nuovo contesto e alle esigenze della società: alla seconda sosta per le partite delle Nazionali, il Venezia è la prima squadra di Serie A per numero di palloni giocati nella sua area di rigore (85 per match), mentre è al secondo posto per numero di palloni giocati nella trequarti difensiva (229 per match); anche se la percentuale grezza di possesso palla è diventata piuttosto bassa (42%), i dati evidenziano come la squadra di Zanetti cerchi ancora di autodeterminarsi sempre, in ogni azione, costruendo la manovra da dietro e con molti calciatori. Il gap qualitativo che accusa con la gran parte degli avversari limita molto la produzione offensiva, e infatti la squadra di Zanetti è l’ultima del campionato per tiri complessivi (8,82 per match); al tempo stesso, però, è quintultima per gol attesi (1,04 per match), quindi vuol dire che, nell’ambito del lotto di squadre in corsa per la salvezza, il Venezia è una delle migliori per quanto riguarda la creazione di occasioni da gol nitide, facili da trasformare.
Questa, effettivamente, è un’occasione facile da trasformare. Solo che Okereke lo fa in modo decisamente appagante, per chi lo guarda
Come si vede anche in questo video, la presenza di attaccanti più verticali – Okereke e Henry – ha reso meno ragionata la fase di rifinitura del Venezia: ora, dopo una prima costruzione sempre piuttosto sofisticata, i centrocampisti e i trequartisti cercano la profondità in maniera più frequente e più convinta rispetto allo scorso anno. Da qui discende la necessità di avere maggior presenza e maggior compattezza in fase di transizione negativa, ed è per questo che ora Zanetti sembra aver adottato in maniera definitiva il 4-2-3-1. Davanti alla difesa, i due slot sono stati assegnati a Gianluca Busio, ormai inamovibile, e a Ethan Ampadu. Anche questo non è un caso: ai tempi del Chelsea, Ampadu era considerato un difensore di qualità superiore nell’impostazione da dietro, al punto da essere utilizzato anche come mediano difensivo. Nel Venezia viene schierato proprio in quella posizione, così può alternarsi con il suo compagno di reparto nei movimenti a supporto dei due difensori centrali nella circolazione arretrata del pallone; appena può, però, verticalizza con una certa precisione alla ricerca degli attaccanti: in questo modo ha già servito due assist decisivi a Okereke, quello per il gol contro la Roma e quello per il gol contro il Sassuolo – anche se nel secondo caso il merito è soprattutto del centravanti nigeriano.
Quando deve difendere, il Venezia è una squadra che aggredisce gli avversari in maniera non avventata, nel senso che alza l’intensità del pressing soprattutto nella sua metà campo, dopo essersi ricompattato (è seconda nella classifica del numero di pressioni nella trequarti difensiva, 56,7 per match, mentre è quintultima in quella relativa alle pressioni nella trequarti offensiva, 29,3 per match). È inevitabile pensare che si tratti di una scelta adattiva, da parte di Zanetti: nel mondo ideale, un possesso molto ricercato dovrebbe essere sostenuto da un’aggressività maggiore in fase di non possesso, ma la ricerca della verticalità e la valutazione sull’inesperienza e sui valori assoluti dei propri giocatori – soprattutto rispetto a quelli delle squadre avversarie – hanno spinto il tecnico del Venezia a un approccio più equilibrato.
Costruzione arretrata, poi pallone in verticale: in un’altra azione bella e vincente, un’altra fotografia del Venezia 2021/22
I 12 punti in 12 partite ottenuti dal Venezia nascono da qui, dal coraggio e dalle idee di Paolo Zanetti, dalla sua sintonia con il progetto di una società che, non a caso, ha deciso di prolungargli il contratto fino al 2025. Al di là del fatto che questo ruolino di marcia varrebbe la salvezza, stando all’andamento degli ultimi cinque campionati, l’aspetto fondamentale riguarda proprio l’aderenza tra ciò che il Venezia vuole fare, vuole essere, e ciò che avviene in campo. Lo ha spiegato lo stesso Zanetti in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport: «Per la società il risultato sul campo va di pari passo con la scoperta di talenti da valorizzare. Io ho un doppio lavoro, mi viene chiesto di far crescere giocatori che in teoria non sarebbero pronti per un campionato importante. Per farlo, credo che non dobbiamo perdere la nostra idea di gioco: non solo perché far divertire chi ci guarda è importante, ma anche perché le partite giocate in difesa le abbiamo perse di brutto». È tutto qui, è tutto in queste parole. Nel fatto che molti giocatori già scelti per la Serie B si stiano rivelando pronti anche per la Serie A, che altri arriveranno a compiere questo percorso, proprio perché vivono in un ambiente che stimola la loro crescita. Esattamente come Paolo Zanetti, che non ha paura di affrontare i più forti senza rinunciare alle proprie idee. Proprio come fanno i rivoluzionari, quelli veri.