Il Venezia vuole cambiare il calcio?

Il ritorno in Serie A è arrivato grazie a un progetto solido e unico, fatto di scouting, attenzione umana ai giocatori e un'innovativa costruzione dell'immagine. Per il club, e per tutta la città.

È bello rivedere le immagini di quando segna Riccardo Bocalon, e viene da commuoversi come succede sempre per quelle imprese all’ultimo secondo tipiche del calcio o dello sport più in generale, che sembravano disperate e poi succedono davvero. È bello vedere la sua reazione, lui veneziano doc, dopo il gol dell’uno a uno al minuto 93 contro il Cittadella che ha mandato il Venezia in Serie A, e cioè una corsa furiosa, con la maglietta già in mano, non si capisce bene verso cosa, con decine, almeno venti, forse trenta persone che vogliono fermarlo, abbracciarlo, sbatterlo per terra, lo inseguono e lui invece sgomita, non si ferma, sembra una questione di vita o di morte. Non se lo aspettava probabilmente lui, che veniva da una stagione di alti e bassi, non se lo aspettavano i giornalisti e forse nemmeno i tifosi. In un certo senso, un successo così immediato non se lo aspettava nemmeno il Venezia Football Club, che aveva pianificato la promozione in due, tre anni, e se l’è trovata in mano subito.

Paolo Poggi ride, seduto in un bar di Cannaregio, lontano dai flussi più impetuosi del turismo: «Non so se si può dire che è un problema aver vinto subito», scherza. «Ma l’impegno di tutti, in società, è aumentato in modo esponenziale: sia nella parte sportiva e tecnica, sia in quella di marketing e comunicazione». Quando qualcuno passa camminando lungo le Fondamenta e lo saluta con un ciao Paolo! o ciao Paolino!, lui risponde: ciao vecio! Più di duecento partite giocate con questa maglia tra Serie C e Serie B, la Serie A a Venezia la sta scoprendo da dirigente, per la prima volta. Nel 2016, dopo anni a occuparsi dei giovani dell’Udinese, torna di nuovo in Laguna come responsabile dei progetti internazionali. Nel 2020 diventa capo dell’area tecnica. Il Venezia Fc che torna in Serie A ha la targa americana ma un’anima fortemente veneta, e Paolo Poggi è una delle parti più importanti di quest’anima. Insieme a Mattia Collauto, ex bandiera arancioneroverde, oggi direttore sportivo, e all’allenatore Paolo Zanetti, vicentino, qualche stagione in Serie A da giocatore con Empoli, Ascoli e Torino.

Le luci della stampa internazionale, durante l’estate del precampionato, hanno illuminato con curiosità soprattutto la parte più visibile della squadra: da un lato un roster multinazionale e multiculturale, giocatori dal curriculum poco noto ma dai talenti, sperano i veneziani, ancora da scoprire. Dall’altro un’attenzione nuova, per il calcio italiano e forse europeo addirittura, all’immagine, al branding e alla comunicazione, e una proprietà che vuole distinguersi non soltanto per le cose fatte in campo, ma anche per l’eco che ogni passo della squadra può avere. Dal punto di vista del campo, Collauto lo definisce «un progetto sportivo poco convenzionale». Poggi spiega perché: «La ricerca dei giocatori, come prima cosa, è basata più sulle caratteristiche tecniche del giocatore che sul suo curriculum. E questo presuppone ci si debba prendere qualche rischio. Successivamente ci concentriamo sui valori umani, consapevoli del fatto che proprio per questi motivi ci vuole un po’ di pazienza nel vedere espresse anche le qualità del giocatore. E per questo è anche un modo po’ coraggioso».

Quest’estate, a dare una mano alla squadra in Serie A, sono arrivati giocatori dai nomi e dalle biografie poco conosciute, frutto soltanto apparentemente di un gusto esotico per il talento ma in realtà prodotto di mesi di scouting sulle piste meno battute, analisi di dati, volontà di costruire. Prospetti di qualità pura come Gianluca Busio, italoamericano da Kansas City; un centrocampista con vasta esperienza internazionale come l’israeliano Dor Peretz; ancora esperienza, con il terzino olandese ex Feyenoord Ridgeciano Haps; promesse forse eterne forse pronte a sbocciare come l’ex prodigio del Chelsea Ethan Ampadu; Mattia Caldara, che aspettiamo ancora con ansia; Sofiane Kyine, che parla cinque lingue, forse sei, e ha fatto molto bene alla Salernitana in Serie B; Arnor Sigurdsson, da titolare del CSKA Mosca ha scelto di passare al Penzo. Poggi spiega: «Quando vai in Serie A c’è sempre quell’automatismo per cui devi prendere i giocatori di Serie A. All’inizio dicevano: dovete prendere Buffon. Ma nel contesto del progetto, quel tipo di giocatore ti porta tantissimo subito, e noi dobbiamo calcolare cosa ci rimane tra quattro, cinque anni. Non bisogna farsi influenzare dal risultato immediato, ma bisogna perseguire nella mentalità, nella filosofia. Non cedere agli umori del momento».

La faccia americana del Venezia, anzi alcune delle facce, hanno in realtà i dna europei di Ted Philipakos, newyorkese a capo del marketing della comunicazione, e Sonya Kondratenko, head of communication di Baltimora con origini ucraine e italiane. Con loro mi sposto su un’altana affacciata sul canale della Giudecca, giusto di fronte alla Chiesa del Redentore. Mancano poche ore alla fine del calciomercato. Controllano gli orologi, ancora pochi minuti: «Dobbiamo annunciare un giocatore». Le maglie del Venezia presentate nei giorni e nelle settimane precedenti hanno fatto il giro del mondo, sia nei siti calcistici sia in quelli solitamente più attenti alla moda e poco, per non dire per nulla, allo sport. Il Venezia si è seduto a tutti i tavoli, anche quelli più prestigiosi, in cui il calcio solitamente non è invitato. Grazie al design, grazie a un modo originale di presentarle. La fotografia analogica, i copy, un certo utilizzo delle partnership e del linguaggio di Instagram.

«Se vai su Hypebeast, la maglia è finita nelle migliori 10 maglie di quest’anno del mondo», racconta Ted. «Guarda la fotogallery di quelle migliori dieci: ci sono nove foto di club famosissimi con calciatori famosissimi che indossano la loro maglia, e poi c’è una modella fotografata in un canale con la nostra, una cosa completamente diversa!». Il kit da casa è andato esaurito dopo 8 ore dal lancio. Quello da trasferta in due giorni. Il terzo in sole 4 ore. Un risultato incredibile per una squadra che mancava da 20 anni dalla Serie A. Nessuna sponsorizzazione, solo, come si dice, “organico”. Instagram e Twitter. «C’è in giro un sacco di content, il tempo di attenzione sui social è estremamente ridotto», spiega ancora, «e noi, quando abbiamo iniziato, non eravamo un club famoso. In questa situazione, come riesci a spuntarla? Come riesci a spiccare per raccontare la tua storia? Per me, il modo più potente di catturare l’attenzione è l’estetica».

Il design delle maglie è stato affidato, in collaborazione con Kappa, all’agenzia creativa di New York Nowhere Fc. Il nuovo store online è disegnato da Mirko Borsche. Sono dettagli ma non soltanto, è un modo di fare calcio che punta sulla qualità non soltanto in campo, sulle cose curate, fatte per bene. Non è nemmeno solo una strategia comunicativa. C’è di più? Sì, per esempio dietro il blu di quella terza maglia, mai vista di quel colore. Per ogni kit venduto cinque euro vengono donati alla ong We Are Here Venice, che vuole rivitalizzare una città che perde ogni anno troppi abitanti, contrastando le logiche gentrificatorie del turismo istantaneo.

«Il presidente ha molto a cuore il fatto che non siamo solo una squadra di calcio», dice Sonya, «ma siamo responsabili in un certo senso della città. Cosa possiamo fare per restituire alla città, alla comunità che vive qui?». Kondratenko vive in città da diversi anni, e quando parla italiano ha la erre retroflessa tipica del veneziano. «Quattro anni fa ero a un evento per la Biennale alla Giudecca», racconta, «e la gente mi chiedeva che lavoro fai, cosa ci fai a Venezia, e io rispondevo: lavoro per il Venezia Calcio. Venezia Calcio? Le facce erano tipo: oh mio dio. È per questo che lavoriamo così tanto. Per cambiare queste cose».

Ancora incontri poco comuni, nel futuro prossimo: quello tra il calcio e lo Iuav, tra le più famose università statali a occuparsi di architettura, design, moda, arti visive. Una serie di workshop realizzati in collaborazione con l’università, che sceglierà 10 o 12 studenti per lavorare con il Venezia Fc nello sviluppare una capsule collection. «Per me è un progetto interessante», spiega Philipakos, «perché c’è sia una componente di comunità – lavoreremo con gli studenti della nostra città – sia una componente di comunicazione, visto che poi racconteremo l’esperienza di questo workshop, sia una componente di prodotto».«Io amo il calcio», continua lui, «ma se la storia da raccontare è soltanto quello che succede nel rettangolo, se una squadra vince o una squadra perde… Lo troverei abbastanza noioso. Il calcio è molto più di quello. È bellezza, passione, storia. Ed è una cosa che naturalmente, se messa nella giusta prospettiva, si applica a ogni club del mondo, ma nel nostro caso, essendo a Venezia, abbiamo un’opportunità unica di unire sport, arte, cultura, viaggio». Come? Quando gli chiedo quali sono i modelli, la risposta è: tutto il contrario di un modello. Piuttosto, un anti-modello. Fare l’opposto di tutto quello che gli altri fanno, da sempre.

«Perché una squadra di calcio non può evolversi nel tempo?», chiede Sonya. Risponde Ted. «Quando arrivi in un posto come l’Italia, trovi storie lunghe, ricche intorno al calcio, e anche a Venezia l’abbiamo trovata. Ho un enorme rispetto per questa storia. Per tutte le persone che c’erano, per quelle che hanno indossato la maglia, per quelli che hanno pianto e hanno esultato seguendo questa squadra. Ma allo stesso tempo i cambiamenti sono importanti. Specialmente in un posto come il calcio italiano, dove fare la stessa cosa ancora e ancora ha in molti modi rallentato il progresso. Il nostro lavoro è un lavoro di equilibri: bilanciare l’innovazione con il rispetto per la storia. Ogni giorno». Come una squadra ben organizzata, si potrebbe pensare.

Dopo le prime due partite, il Venezia si trovava ancora a zero punti. Passavano i vecchi tifosi dalla Fondamenta, scorgevano Poggi, dicevano: «Paolo, vinsemo il campionato allora?». Anche lui rispondeva ironicamente: «Forse, siamo a meno uno dalla Juve!». Al turno successivo il Venezia conquista i primi tre punti, con i gol dei nuovi Henry e Okereke, vent’anni dopo l’ultimo gol di Pippo Maniero. La Juventus, per il momento, è scavalcata.

Dal numero 40 di Undici
Foto di Piergiorgio Sorgetti