Come Stefano Pioli è diventato uno dei migliori allenatori italiani

C'entra molto il Milan, che gli ha offerto la squadra giusta e il tempo necessario per farla crescere. Ma i suoi meriti sono enormi, e non solo dal punto di vista tattico.

Sin dal giorno del suo arrivo al Milan, nell’ottobre del 2019, Stefano Pioli aveva in testa delle idee molto chiare: «Voglio idee, intensità e spregiudicatezza», aveva detto al momento della presentazione. «Il calcio moderno è qualità e intensità. Vogliamo interpretare la fase difensiva come fosse una fase d’attacco, essere aggressivi in avanti e recuperare il pallone il prima possibile». Leggendo queste parole oggi, col senno di poi, possiamo dire che Pioli abbia realizzato i suoi propositi tecnico-tattici. In realtà è andato molto oltre: ha raccolto il Milan dopo la tormentata parentesi-Giampaolo, che aveva fruttato quattro sconfitte in sette gare di campionato, e oggi i rossoneri sono reduci dalla miglior partenza in Serie A della loro storia, con dieci vittorie e due pareggi in 12 partite, e poi ovviamente dal ritorno in Champions League – e sul podio della Serie A – dopo otto stagioni. E ancora: il Milan di oggi gioca a un ritmo difficile da sostenere per molte squadre del campionato, e ha dimostrato di avere tantissime soluzioni per vincere le partite. Tutto questo avviene nonostante Pioli debba gestire la terza squadra più giovane di tutta la Serie A (l’età media dei giocatori scesi in campo è pari a 25,4 anni). 

Allo stato attuale, il Milan sembra davvero pronto per vincere, o comunque per giocarsi fino in fondo lo scudetto con il Napoli e l’Inter. «Pioli ha fatto un lavoro eccezionale. Credo sia la chiave della nostra rinascita sportiva». Queste parole sono state pronunciate dal direttore tecnico Paolo Maldini prima di Roma-Milan – una delle partite in cui i rossoneri hanno imposto il loro contesto sul match, dominandolo per lunghi periodi, di certo fino all’espulsione di Theo Hernández – e certificano la crescita condivisa della squadra rossonera e del suo allenatore. Che, ormai si può dire senza timore di essere smentiti, è davvero la persona giusta al posto giusto. Ed è uno dei migliori allenatori italiani in circolazione – anche questo si può dire senza timore di essere smentiti. Ma come siamo arrivati a questo punto? 

Nelle sue esperienze precedenti, Stefano Pioli è riuscito a imporre solo in certi momenti le sue idee di gioco verticale, il suo calcio frenetico e quasi mai normale – nonostante in molti si ostinassero a definirlo un normalizzatore. Le sue squadre hanno sempre avuto picchi elevatissimi (come i 7-1 di Inter-Atalanta e Fiorentina-Roma) o comunque momenti di grande forma (il terzo posto raggiunto con la Lazio nel 2014-2015, le nove vittorie in fila nel corso della sua breve avventura all’Inter), solo che però alla fine questi apici di rendimento si sono sempre rivelati brevi, estemporanei. Evidentemente il tecnico emiliano non riusciva a essere costante nel tempo, tanto che molti media hanno iniziato a parlare di maledizione della seconda stagione. Questo topos giornalistico è tornato di moda anche nel 2020/21, più o meno verso febbraio, nel corso di uno dei pochi momenti di appannamento accusati dal Milan negli ultimi due anni: i rossoneri persero contro lo Spezia e poi contro l’Inter, e proprio a causa di quelle sconfitte vennero superati dai nerazzurri in testa alla classifica.

Il fatto che il Milan si sia ripreso da quel periodo negativo, che sia tornato in Champions League e abbia iniziato alla grande anche questo terzo campionato con Pioli, dimostra come il tecnico rossonero abbia compiuto lo step decisivo della sua carriera: a 56 anni, Pioli è diventato un allenatore capace di creare un progetto di successo in una grande squadra e soprattutto di portarlo avanti, migliorandolo e migliorandosi. Non a caso il Milan ha pronto per lui un prolungamento del contratto fino al 2024, con conseguente aumento di stipendio. «Pioli è cresciuto tantissimo rispetto a quando allenava la Fiorentina. Già a Firenze, dopo la tragica scomparsa di Astori, aveva fatto un grande salto di qualità nella gestione del gruppo ma ora si è completato sotto tutti gli aspetti», ha detto nei giorni scorsi Massimo Ambrosini al Corriere Fiorentino, presentando la partita di sabato sera tra Fiorentina e Milan. «La sua proposta di calcio è moderna, europea, e in ogni partita riesce a far vedere una soluzione diversa».

Il punto è proprio questo: al Milan, Pioli dà la sensazione di aver – finalmente – trovato un club deciso ad affidargli una squadra assemblata in maniera contemporanea e coerente. Ed è un discorso che vale per le sue idee tattico-filosofiche, ma anche per il modello di sviluppo messo a punto dal club, basato sulla crescita dei giovani, sulla valorizzazione dl talento. Si può dire che il Milan abbia iniziato questo percorso un po’ a caso, del resto Pioli è arrivato nel corso di una stagione già iniziata e ha dovuto guidare una squadra assemblata originariamente per Marco Giampaolo, un allenatore molto diverso da lui. Ma poi le cose sono cambiate: i risultati raggiunti dopo un periodo di rodaggio iniziale e la crescita evidente di molti giocatori hanno spinto la dirigenza rossonera a puntare forte su di lui, così il Milan gli ha concesso i mezzi, i giocatori e (soprattutto) il tempo necessari per sviluppare il suo calcio, una cosa che in passato non aveva quasi mai avuto, anche per dei lunghi passaggi a vuoto che invece oggi ha imparato a gestire meglio. Di recente, in una lunga intervista uscita su Dazn, Federico Balzaretti ha chiesto a Pioli come mai solo adesso sia diventato uno dei migliori allenatori italiani. Dopo il riferimento di rito alla squadra di appartenenza («il Milan è uno dei club più prestigiosi al mondo, quindi è chiaro che la visibilità che hai allenando il Milan è nettamente superiore»), il tecnico emiliano ha raccontato il suo processo di sviluppo: «Se si parla del fatto che nella mia carriera ho continuato a crescere e migliorare, questo senz’altro sì, ho investito molto su me stesso. Ammiro tantissimo i miei colleghi, quelli molto giovani, che sono già così pieni di tutto: io ho avuto bisogno delle mie tappe».

Queste tappe, evidentemente, hanno permesso a Pioli di costruire una grande intelligenza nella gestione del gruppo: «Sembra sia seguito con determinazione dai suoi giocatori», ha detto di lui Marcello Lippi, intervistato dalla Gazzetta dello Sport. «In lui vedo molto Ancelotti: ha saggezza, umanità e fantasia quando serve». Grazie a questa sua capacità di fare fronte unico, tutti i giocatori, non solo i più giovani, hanno avuto le loro possibilità e sono cresciuti molto: talenti grezzi come Brahim Díaz, Rafael Leão e Tonali, aspettati e stimolati da Pioli, stanno diventando calciatori di livello europeo; elementi che in passato non sono mai stati del tutto convincenti, per esempio, Calabria e Kessié, si sono trasformati in colonne della squadra prima in classifica in Serie A; veterani come Ibrahimovic e Kjaer hanno ritrovato stimoli e gran rendimento. E poi ci sono le tante vittorie ottenute dal Milan in condizioni di emergenza, con anche cinque o sei titolari infortunati: anche questo è sintomo di un’armonia profonda, di una grande chiarezza progettuale.

Da quando siede sulla panchina del Milan, Pioli ha accumulato 60 vittorie, 25 pareggi e 19 sconfitte in 104 partite ufficiali (Alessandro Sabattini/Getty Images)

Sul campo, poi, Pioli ha continuato ad aggiornare i concetti e le variazioni tattiche. L’ambizioso uso dei terzini in costruzione, i momenti di pressing intenso alternati a fasi di difesa posizionale attenta, gli scambi di posizione tra i calciatori sulla trequarti, i diversi impieghi di Giroud e Ibrahimovic, la possibilità di costruire da dietro e di verticalizzare improvvisamente sono tutte soluzioni che hanno trasformato il Milan in una squadra moderna. E, soprattutto, imprevedibile. Quello di Pioli al Milan è evidentemente un progetto a medio-lungo termine, e considerando dov’era il club rossonero al momento del suo arrivo (il Milan galleggiava fra sesto e settimo posto da anni, con poche idee per svoltare e una tifoseria ormai quasi rassegnata), le prospettive sono a dir incoraggianti. Lo dicono anche i numeri: Pioli è il terzo allenatore nella storia rossonera per media punti a partita, 1,97 in 104 panchine, 2,07 nella sola Serie A, meglio di Ancelotti e Sacchi.

Certo, ora Pioli e il Milan sono attesi dallo step più difficile: provare a vincere in Italia e diventare una presenza stabile in Champions League, dove quest’anno i rossoneri stanno pagando la fisiologica mancanza di esperienza e il difficile adattamento ai ritmi del calcio europeo, decisamente più alti. Sono altre due di quelle tappe di cui parlava Pioli, che non devono diventare un’ossessione o l’unico parametro per giudicare il suo lavoro. I trofei sono importanti, certo, e sotto questo profilo l’allenatore rossonero non può ancora essere considerato un vincente; però anche Klopp ha impiegato quattro anni (con due finali perse in mezzo) prima di vincere qualcosa con il Liverpool, mentre Gasperini non ha nemmeno una coppa in bacheca, eppure è universalmente riconosciuto come uno dei migliori tecnici italiani degli ultimi dieci anni. Se guardiamo l’impatto di Pioli sul mondo rossonero, quanto ha potenziato lo status di una squadra e di un intero gruppo di giocatori, allora già oggi deve rientrare nella cerchia dei grandi allenatori nostrani. L’entusiasmo che si respira a San Siro, un inedito degli ultimi dieci anni, è dovuto non solo al gioco espresso dal Milan, ma soprattutto alla sensazione che finalmente il club abbia un progetto forte e lungimirante, magari non grandioso come quelli del periodo berlusconiano (sarebbe impossibile, del resto, con gli attuali mezzi), ma sicuramente elettrizzante e ambizioso. E la stella polare di questo progetto si chiama Stefano Pioli.