Xavi ha avviato la Restaurazione

Il percorso del suo Barcellona è già segnato, ed è un misto passato e presente: possesso palla intensivo, aggressività difensiva, giovani della Masía più qualche novità in fase offensiva. Ma tornare a vincere non sarà facile.

È soltanto un mese che Xavi allena il Barcellona, ma sembra quasi che non se ne sia mai andato. Un po’ perché il suo aspetto è rimasto praticamente identico a dieci anni fa, con la stessa espressione imbronciata e il gel tra i capelli; un po’ perché, suo malgrado, il suo fantasma ha infestato l’intero ciclo di Koeman. A ogni sconfitta del tecnico olandese, a ogni occasione persa per mandare in campo Riqui Puig – una promettente mezzala di possesso cresciuta nella Masía sul calco dello stesso Xavi Hernández e, allo stesso tempo, una delle armi pretestuose ma ricorrenti di chi chiedeva l’epurazione di Rambo per un ritorno all’essenza più pura del guardiolismo – il Twitter blaugrana iniziava a brulicare di video di sue interviste in cui, da qualche parte in Qatar spiegava di che tipo di sistema avesse bisogno Busquets per tornare a rendere al suo livello, o illustrava nelle sue masterclass, con fare pacato, i concetti del gioco di posizione trasmessi all’Al-Sadd,

Indipendentemente dall’opinione che si può avere sul miglior Barça di Koeman la passata stagione, o sul valore della cattedrale cruyffiana edificata da Xavi nel deserto, l’unica certezza è che una grossa parte del mondo blaugrana ha vissuto questa fase della propria banter era aggrappandosi anche morbosamente al ricordo di un passato felice, di cui il vecchio numero sei è considerato legittimo erede, oltre che protagonista. Sulla base di queste premesse, il ritorno al Barcellona di Xavi è impregnato di una nube di narrazioni e aspettative densa e inevitabile. Anche perché l’ex centrocmpista catalano ha preso la guida del Barça in un momento di crisi tecnica, gestionale ed emotiva senza precedenti, con l’obiettivo immediato di risollevarlo attraverso le sue idee, valorizzando il materiale tecnico a disposizione e restituendo una funzionalità prima di tutto tattica, ma anche emotiva, che in questa stagione non si è praticamente mai vista.

I principi di gioco sono quelli del playbook di Pep Guardiola, di cui Xavi ha custodito i segreti in campo e a cui si ispira da quando allena: dominio del gioco attraverso il possesso del pallone, ricerca della superiorità numerica in uscita, aggressività senza palla e recupero immediato. Nelle quattro partite della nuova gestione contro Espanyol, Benfica, Villarreal e Betis – quattro squadre inferiori per tasso tecnico, ma tutte estremamente organizzata – questi aspetti sono stati ben visibili, anche se non per tutto l’arco dei 90 minuti: in ogni caso, il Barça cerca sempre la superiorità numerica rispetto alla pressione avversaria, partendo con tre o quattro difensori in linea e chiamando regolarmente in causa Ter Stegen. L’obiettivo è trovare i centrocampisti oltre la linea, in particolare Sergio Busquets, che è ancora ancora il migliore al mondo nella sua materia: orientarsi, scaricare rapidamente, tagliare linee in verticale, alimentare il gioco, riprenderlo in mano recuperando il pallone in avanti. Quando riceve lui, che al fianco di Iniesta e dello stesso Xavi è stato la scatola nera del Barça più forte di sempre, non si limita a tessere la sua parte di tela, ma diventa il giocatore più importante nel manovrare gli attacchi posizionali trovando gli uomini fra le linee. In queste prime quattro partite, è stato probabilmente il più decisivo di tutti.

Xavi parla di sé come un allenatore «ossessionato dal possesso palla», mosso dall’urgenza di convincere i suoi giocatori che «il pallone è un tesoro, non una bomba»; allo stesso tempo, però la primissima versione del suo Barcellona alterna fasi di possesso ragionato a una intensa ricerca della verticalità. Superata la prima linea di pressione in uscita, i blaugrana non perdono occasioni per provare ad arrivare in porta più rapidamente possibile. Le caratteristiche dei giocatori a disposizione si prestano infatti anche a soluzioni più dirette: Memphis Depay, ad esempio, è un talento offensivo in grado di associarsi bene nello stretto con i compagni, ma tra le sue abilità secondarie ha anche un buon gioco spalle alla porta che gli permette di abbassarsi e ricevere per innescare gli interni, che pur essendo giocatori estremamente dotati nel palleggio sanno sfruttare in progressione gli spazi trovati alle spalle della prima linea di pressione. Lo stesso Busquets ha provato più volte a lanciare in profondità centrocampisti ed esterni che attaccano la difesa partendo da lontano.

Proprio le mezzali sono il patrimonio tecnico più prezioso che il Barça possiede oggi: sono giocatori giovani, se non giovanissimi, figli della Masía o di una concezione calcistica che li porta a padroneggiare in modo innato sia a livello tecnico che cerebrale tutti i fondamenti del gioco di posizione, accompagnati da una serie di caratteristiche fisiche che completano il loro straordinario talento e li rendono dei profili speciali. Frenkie de Jong, che con i suoi 24 anni è addirittura il più vecchio, è l’emblema di questi “giocatori totali”, uno dei pochi per cui questa categoria non è utilizzata a sproposito: già lo scorso anno Ronald Koeman aveva puntato sulla sua capacità di essere determinante in tutte le situazioni di gioco ottenendo da lui la sua miglior versione in blaugrana, da vero e proprio centrocampista box-to-box, aggiungendo al campionario infinito di soluzioni con la palla inserimenti costanti nell’area avversaria (in una stagione in cui, peraltro, ha giocato diverse volte persino da difensore centrale). Anche Xavi sta sfruttando la sua capacità di riempire gli spazi aperti dall’uscita dal basso con progressioni profonde, così come sta sfruttando la capacità di liberarsi dalla pressione avversaria e portare palla di Nico González, centrocampista diciannovenne che alla Masia giocava alla Busquets, mentre ora ha enorme libertà di movimento e incursione. E poi c’è Gavi, che è il prototipo del centrocampista spagnolo creativo, precoce e associativo all’inverosimile, capace di passare attraverso i corpi se ha la palla tra i piedi, ma con un’intensità nei recuperi e nei contrasti fuori da ogni logica, in relazione al suo profilo. Senza dimenticare l’infortunato Pedri, Xavi ha per le mani un gruppo di giocatori che sembra perfetto per giocare un calcio che nella sua forma compiuta punta a schiacciare l’avversario con il dominio del pallone e con il pressing, e il cui sviluppo è la strada più breve per un ritorno nell’élite: «Abbiamo iniziato a ottobre e la mia sfida, da allenatore, è che a maggio i giocatori siano migliorati. Se ci riusciamo, saremo più vicini ai titoli».

Quando si attesta nella metà campo avversaria, il 4-3-3/3-4-2-1 del Barça si trasforma in una sorta di 3-2-5, con tre difensori molto coinvolti nello sviluppo dell’azione, due mediani, due esterni molto alti a giocare in ampiezza e due interni di centrocampo proiettati verso l’area di rigore. Nello sviluppo dei suoi elaborati attacchi posizionali, il lato preferito dal Barça è quello sinistro, dove si sviluppano i triangoli più rapidi con il contatto tra Jordi Alba, Gavi, De Jong e Depay (che spesso esce dall’area per rifinire). L’aspetto positivo più interessante visto finora nelle prime uscite di Barça di Xavi è la propensione ad attaccare in tutte le situazioni in maniera dinamica. I fraseggi nello stretto generano spazi e sono sempre accompagnati da smarcamenti di più giocatori: quando Jordi Alba viene innescato sulla sinistra per cercare il cross, ci sono sia tagli verso la porta che a rimorchio. Si creano spesso situazioni interessanti, anche se la sensazione, condivisa persino da Xavi in conferenza stampa, è che al momento il Barça abbia un problema realizzativo. È naturale, avendo perso nel giro di due estati Messi, Suárez e Griezmann (proprio nel momento in cui stava trovando una collocazione nel sistema Barça): Depay è un attaccante utilissimo per aumentare le connessioni, rifinire, aprire spazi, persino far risalire la squadra, ma ha doti di finalizzazione nella media, e per il momento non è accompagnato da giocatori dal potenziale offensivo elevato. In questo senso, il rientro di Ansu Fati sarà con ogni probabilità la molla in grado di cambiare le sorti realizzative dei blaugrana: nessuno, in rosa, sa coniugare come lui un set di movimenti e letture senza palla vitali per il calcio che sta iniziando a proporre Xavi, buoni mezzi in dribbling e fraseggio, e una capacità debordante di calciare in porta. Un’altra fonte di situazioni pericolose è la fascia destra, dove – per ora, in attesa di Dani Alves – si costruisce di meno e si tende ad andare per isolare l’esterno offensivo. Quanto possa essere pericolosa una presenza forte nell’uno-contro-uno in quella zona di campo lo ha dimostrato Ousmane Dembélé nel secondo tempo della scorsa gara contro il Betis: l’ex Dortmund si è preso più volte il fondo saltando l’uomo verso il centro, con un’incisività naturale che finora, sulla trequarti blaugrana, per questioni strutturali, è sempre mancata. Con questa rosa a disposizione, Ansu Fati e Dembélé sono le uniche individualità in grado di far svoltare la squadra nell’ultimo quarto di campo.

Negli highlights di Barcellona-Betis (0-1) sono già visibili i pregi e i problemi del nuovo corso di Xavi

Senza palla, il Barcellona sta puntando in maniera chiara su un sistema aggressivo, cercando di difendere sempre in avanti: Xavi si è detto soddisfatto della riaggressione, anche se contro il Betis la sua prima sconfitta è scaturita da un gol preso in transizione negativa: «Ci abbiamo lavorato, ci siamo detti di fare falli tattici. Abbiamo visto in video che il Betis attiva la transizione in modo molto veloce. È un nostro errore». Il cammino sembra incoraggiante, per essere appena all’inizio. Nel frattempo, a fianco di un Piqué che sa ancora imporsi sull’uomo ma rimane il più esposto quando il piano salta e gli avversari riescono ad attaccare lo spazio alle sue spalle, sta brillando Ronald Araujo, il giovane talento difensivo più puro e completo del Barça, fortissimo sia a protezione dell’area che con il campo lungo da difendere. Finora Xavi ha provato diverse soluzioni, cambiando molti dettagli da una partita all’altra, ma lasciando invariate le intenzioni della squadra: nelle prime quattro partite hanno giocato venti giocatori diversi, di cui diciassette da titolari. In attesa degli infortunati Ansu Fati e Pedri – un altro giocatore che sembra nato per stare in una squadra che aspira a dominare le partite con il pallone e che da gennaio, nonostante l’ipertrofia di palleggiatori, sarà sicuramente indispensabile per rendere ancora più continuo il controllo del possesso – Xavi ha ripescato anche Clement Lenglet, il meno affidabile della carente retroguardia dello scorso anno, e ha ricevuto in cambio due partite (contro Benfica e Betis) impeccabili sia difensivamente che con il pallone, a cercare tra le linee i centrocampisti. Il percorso passerà anche da recuperi di questo tipo.

Ad oggi, insomma, la direzione intrapresa da Xavi è molto chiara: il calcio che sta proponendo sembra il più adatto a sviluppare tutto il talento a disposizione e riavvicinare il Barça alla sua dimensione. Serviranno lavoro e pazienza: per tornare a vincere, o quantomeno migliorarsi, la tradizionale predisposizione del club ad accompagnare lo sviluppo delle idee dovrà prevalere sul tranello reazionario di chiedere a una squadra ancora fragile tutto e subito, o pretendere che la sola presenza di Xavi basti per tornare indietro di dieci anni