Quando sono state distribuite le distinte con le formazioni ufficiali dell’ultima finale di Champions League, quella tra Chelsea e Manchester City, tutti, anche da lontano, hanno sentito il profumo – o la puzza, dipende dal punto di vista – di Overthinking: si tratta di quell’atteggiamento – documentato negli anni e dai fatti – che Pep Guardiola manifesta prima di grandi sfide, solitamente match a eliminazione diretta in Champions League, quando decide di cambiare gran parte o parti decisive della sua squadra in nome di un piano-partita preparato ad hoc. E che poi, quasi sempre, finisce per ritorcerglisi contro. Nella fattispecie relativa alla finale di Porto, l’allenatore del City ha rinunciato a Cancelo e a un mediano puro – Rodri e Fernandinho erano entrambi in panchina – per schierare Zinchenko come terzino sinistro, Gündogan nel cuore del centrocampo, abbassare Bernardo Silva come mezzala e inserire Sterling in avanti. Quasi inutile, anche perché lo ricorderete, aggiungere che la finale è finita 1-0 per il Chelsea, al termine di una prestazione – individuale e collettiva – a dir poco opaca da parte del City.
A qualche mese di distanza, cioè oggi, ci stiamo accorgendo che quel cambiamento tattico era solo l’abbozzo dell’ennesima evoluzione pensata e attuata da Pep Guardiola per la sua squadra. Certo, iniziare un percorso di questo tipo in occasione di una finale di Champions League sarebbe una follia per il 99,7% della popolazione mondiale, ma Guardiola non sarebbe Guardiola se la pensasse diversamente. Se non si comportasse così. L’idea di re-inserire Sterling nel City oggi ha un senso compiuto, e si deduce dal fatto che l’attaccante della Nazionale inglese sia stato schierato da titolare nelle due partite contro il Psg, decisamente le più attese in questa prima pairte di stagione, e nelle ultime quattro di Premier League. Rispetto all’Overthinking della finale di Champions League, però, Guardiola sta attuando una strategia più moderata: non rinuncia mai a uno tra Rodri e Fernandinho (uno dei due è sempre stato titolare), e soprattutto ha iniziato a schierare Bernardo Silva nello slot di attaccante centrale. Con Sterling, Mahrez ai suoi lati, ma in realtà anche Foden, Gabriel Jesus e Grealish hanno ruotato intorno a lui, come se il portoghese fosse il sole e tutti i pianeti fossero intercambiabili.
Sembra essere più o meno così anche per Guardiola, che ha parlato di Bernardo Silva definendolo «il miglior giocatore della Premier League: lo era tre anni fa, quando facemmo 98 punti, e lo è ancora oggi. Quando un giocatore ha queste grandi qualità, dipende solo da lui». Anche se, come sapete, Pep non lesina elogi per nessuno, compagni e avversari che siano, queste parole restano significative. L’ultima frase, soprattutto se estrapolata dal vangelo degli elogi sperticati secondo Guardiola, è davvero molto importante: Bernardo Silva era infatti uno dei candidati – forse era il candidato principale – a lasciare il Manchester City, e ora è diventato un ingranaggio ancora più centrale e determinante nel gioco di Guardiola. Che, evidentemente, deve aver visto in lui un miglioramento – tecnico, tattico, forse anche emotivo – tale da convincerlo che lui, proprio lui, potesse essere l’uomo che avrebbe cambiato la sua squadra. Che avrebbe portato a termine una trasformazione nata per necessità – sostituire Agüero – e poi diventata ancor più essenziale dopo il mancato acquisto di un centravanti puro – chi ha detto Harry Kane? – nella finestra di mercato dell’estate 2021.
Ovviamente non bisogna pensare a Bernardo Silva come a un attaccante. O meglio: il portoghese ha già segnato sette gol stagionali – cinque nelle ultime cinque gare di Premier League, tra cui lo splendido tiro al volo contro l’Aston Villa – ma le sue attribuzioni e i suoi movimenti sono molto più vari e vasti rispetto a quelli di un centravanti puro, o anche a quelli di una seconda punta. Bernardo può essere considerato come il regista onnisciente della fase offensiva del City, una specie di guardia di sicurezza a cui affidare il pallone perché possa essere mantenuto – custodito, anche se in realtà il termine migliore è “coccolato”, perché Bernardo lo tocca e lo ritocca e lo ritocca ancora con una dolcezza e una morbidezza evidenti, come se i suoi tocchi fossero carezze. Tutto questo succede ovunque, cioè in tutte le zone del fronte offensivo: evidentemente, l’idea iniziale di Guardiola era quella che il suo centravanti – per esempio De Bruyne nella finale di Champions, ma questo discorso potrebbe valere anche per Gündogan, per Grealish, per i tantissimi giocatori di tocco della rosa del City – dovesse essere un giocatore in grado di consolidare il possesso sofisticato del City partendo da posizione centrale e danzando tra le linee avversarie, mentre intorno a lui i compagni si muovono e si inseriscono negli spazi creati attraverso gli scambi ravvicinati, le sventagliate ad allargare il gioco, le imbucate.
Ecco, Bernardo Silva si è rivelato e si sta rivelando perfetto per assolvere questi compiti: ha la sensibilità tecnica necessaria per stoppare e controllare e condurre il pallone nello stretto, ma anche l’intelligenza tattica che serve per comprendere quando spostarsi e svuotare la zona a ridosso dell’area, oppure per prendersi il campo libero tra terzino e difensore centrale, o ancora per attaccare la profondità alle spalle di tutti. Con Bernardo Silva, insomma, Guardiola può vedere avverarsi il suo desiderio più recondito: avere un centravanti – per quanto atipico – in grado di capire i momenti in cui eclissarsi, le azioni in cui il centravanti deve essere lo spazio.
Attaccante o rifinitore? Tutti e due, magari
Come detto, però, tutto questo va di pari passo con un netto miglioramento del rendimento offensivo: Bernardo Silva ha già eguagliato il suo record di gol in Premier League – sette reti, come nel 2018/19 – eppure non ha fatto registrare un aumento significativo dei tiri tentati, né tantomeno nel contributo creativo, vale a dire ciò che riguarda dribbling, passaggi chiave, palloni giocati e così via (è tutto consultabile su Whoscored). È evidente, dunque, che giocare in una posizione più avanzata e avere una maggiore libertà rispetto alle stagioni vissute da mezzala e/o da esterno offensivo – pur sempre nel contesto tatticamente fluido del Manchester City di Guardiola – abbiano cambiato le prospettive di Bernardo Silva, lo abbiano trasformato in un giocatore ancora più illeggibile e quindi ancora più immarcabile. In un calciatore che, come sempre, compensa la mancanza di velocità e di fisicità con una tecnica e delle letture di livello superiore, ma ora ha aggiunto qualcosa di più, qualcosa di diverso, al suo portfolio.
Basta riguardare il video del gol al Watford, appena sopra, per capire l’importanza di Bernardo Silva nell’attacco del Manchester City: al culmine di una ripartenza dinamica degli uomini di Guardiola, il portoghese riceve il pallone come pivot avanzato, lo stoppa e sembra addormentarlo, ma poi un attimo dopo legge il taglio di Gündogan e lo premia sulla corsa; la palla viene respinta del portiere e finisce di nuovo a lui, velocissimo in un nuovo controllo e nel trovare la soluzione migliore per battere a rete. Ecco, prendete un’intuizione e una giocata del genere e immaginatele nella ragnatela di passaggi tipica del Manchester City, nei lunghi attacchi posizionali della squadra di Guardiola, nelle azioni di accerchiamento contro una difesa che si chiude e che quindi è difficile da forzare, se non con tocchi e dribbling improvvisi, imprevisti, difficili da anticipare e contenere. È così che Bernardo Silva e i suoi compagni hanno sostituito Agüero, i suoi gol e quelli del centravanti che non è arrivato a rimpiazzarlo: siamo già a 56 nelle prime 24 gare stagionali, l’anno scorso furono 46 nello stesso numero di partite iniziali. È così, forse, che Guardiola si immaginava la sua squadra mentre disegnava la formazione della finale di Champions League contro il Chelsea. Solo che non aveva ancora avuto l’intuizione di schierare Bernardo Silva come prima punta un po’ vera, un po’ finta, ma dannatamente efficace.