La malinconica crisi del Lione

L'Olympique è 13esimo in classifica, ma soprattutto sembra vittima di profondi problemi ambientali, dentro e fuori il club.

Dalla semifinale di Champions League raggiunta ad agosto 2020 sembra passata un’era geologica. E in effetti è proprio così: l’Olympique Lione sconfitto dal Bayern Monaco – in maniera molto meno netta di quanto non avesse detto lo 0-3 finale – non era una squadra molto diversa da quella di oggi, anche allora c’erano Anthony Lopes, Denayer, Dubois, Caqueret, Aouar, Toko Ekambi, eppure sono cambiate tantissime cose. Intanto, il giocatore simbolo: Memphis Depay, non c’è più; e poi, in panchina, Rudi Garcia è stato sostituito da Peter Bosz. Proprio quest’ultimo punto deve essere approfondito in qualche modo, perché piuttosto significativo: l’ex allenatore della Roma è andato via alla scadenza naturale del suo contratto (giugno 2021) a causa di un rapporto non proprio idilliaco con la società e con l’ambiente, mentre i suoi predecessori Génésio e Sylvinho sono stati esonerati per mancanza di risultati importanti. In realtà anche Garcia non ha fatto molto altro dopo quell’incredibile cavalcata estiva in Champions League: lo scorso campionato è stato positivo – se non addirittura esaltante – in alcuni momenti, fino a un certo punto, ma poi si è concluso con un quarto posto piuttosto deludente.

Da allora, la situazione è precipitata: oggi il Lione è 13esimo in classifica in Ligue 1 con 23 punti conquistati in 17 partite. La distanza con la zona Europa non è così ampia – il Montpellier quinto ha solo 28 punti – ma le sole tre vittorie nelle ultime dieci gare di Ligue 1 sono un bottino davvero misero. Secondo il Guardian, questo crollo è dovuto alla «mancanza di visione progettuale, che si riflette anche nella continua alternanza in panchina». È una visione coerente con la realtà: lo stesso presidente Aulas, ormai 72enne, ha detto che «forse il ruolo di direttore sportivo del Lione era sovradimensionato per Juninho Pernambucano». L’ex idolo della tifoseria lionese è subentrato a Florian Maurice nel 2019, e pochi giorni fa ha già annunciato che abbandonerà il suo incarico. Nel frattempo, il Lione non ha potenziato la rosa in maniera significativa – considerando gli ultimi due anni, l’unico arrivo che si è davvero imposto è stato Lucas Paquetá, mentre i vari Thiago Mendes, Kadewere, Reine-Adélaïde, Andersen non hanno lasciato o stanno lasciando grossi ricordi – e anche gli acquisti di quest’anno, Shaqiri, Boateng ed Émerson Palmieri, non hanno avuto un grande impatto. I migliori giocatori della squadra, insomma, sono ancora gli ultimi allevati e/o valorizzati nel progetto-giovani portato avanti negli anni Dieci: Aouar, Caqueret, Moussà Dembélé. Solo che ora sembrano non bastare più.

I problemi del Lione sembrano essere soprattutto ambientali. Le parole dei giocatori al termine delle partite, per esempio quelle del portiere Anthony Lopes dopo il 2-2 col Bordeaux («Vincevamo 2-0, questo risultato e altri di questa stagione sono semplicemente inaccettabili. Abbiamo un’infinità di problemi che dobbiamo risolvere al più presto»), sono sintomatiche, soprattutto in relazione con i pensieri espressi dal tecnico Bosz – secondo cui «le colpe sono individuali, il sistema di gioco c’entra poco». Altri segnali significativi, in questo senso, si sono manifestati fin dall’inizio della stagione: nella seconda giornata di Ligue 1, quando il Lione ha perso 3-0 contro l’Angers, c’è stato un litigio molto violento nello spogliatoio; da quel momento, il difensore Marcelo non è più stato convocato per una partita della prima squadra. Oltre alle tensioni interne, anche ciò che è successo e succede sugli spalti del Groupama Stadium/Parc OL ha finito per avvelenare il clima intorno al club: i disordini in occasione della gara contro il Marsiglia sono costati un punto di penalizzazione in classifica, due gare da giocare a porte chiuse (tra cui il recupero della gara contro l’OM, sospesa dopo che Payet è stato colpito da una bottiglietta) e una squalifica di sette turni per il presidente Aulas. Il fatto che tutte queste difficoltà siano soprattutto mentali si intuisce anche dall’ottimo rendimento tenuto dal Lione in Europa League: 16 punti in sei gare del girone eliminatorio con 16 gol fatti e cinque subiti, seppur contro avversari non proprio trascendentali – Rangers, Brondby e Sparta Praga. Proprio gli ottavi della seconda competizione europea potrebbero essere un’occasione per invertire il trend, ma da qui a marzo passerà ancora tempo. Magari Bosz riuscirà a recuperare, a fare un po’ meglio. Solo che le premesse, almeno in questo momento, sembrano davvero negative.