Costruire il calcio femminile

Il capitano della Juventus e dell'Italia, nonché vicepresidente dell'AIC, parla del grande sviluppo del suo movimento, di come siano necessari il supporto dei media e la partecipazione delle ragazze a grandi eventi, per esempio il Gran Galà del Calcio.

Il tratto distintivo di Sara Gama è la fiducia. Quella che ha quando indossa la maglia della Juventus o della Nazionale, quella che percepiscono le compagne che le stanno di fianco, ma anche quella che ha, lei, nel movimento calcistico femminile, nella sua evoluzione. Nel suo futuro. A 32 anni, Sara Gama è stata ed è tante cose: è il dell’Italia e della Juventus Women, è consigliera della Figc, è stata inserita nella Hall of Fame del calcio italiano, ed è la vicepresidente dell’Associazione Italiana Calciatori – la prima donna a ricoprire questo incarico. Nel 2019 è stata inserita nella “Squadra dell’anno” della Serie A. Era la prima volta che al Gran Galà del Calcio si premiava anche un undici femminile, ed è stato un momento importante non solo per un’icona come Sara Gama, ma per tutto il movimento: il Gran Galà del Calcio è soprattutto un’occasione per consolidare i legami, per uscire dai ritmi frenetici del campo e apprezzare il lavoro fatto durante l’anno. «La cerimonia è sempre un momento di condivisione, ci si diverte, ci si ritrova, calciatori e calciatrici si incontrano tutti insieme. Ed è importante, per noi ragazze, far parte di un evento così grande», dice Sara Gama.

Il calcio femminile è stato inserito relativamente da poco nel Gran Galà del Calcio: dal 2012 viene assegnato il premio alla “Calciatrice dell’anno” e solo dal 2019 viene stilata la “Squadra femminile dell’anno”. L’albo d’oro dei premi riflette in qualche modo l’evoluzione del movimento: prima un dominio quadriennale di Melania Gabbiadini, ai tempi di Verona, poi l’arrivo di nuove protagoniste e una pluralità che ha portato a premiare sempre una calciatrice diversa, sempre una squadra diversa – tranne una doppietta di Alia Guagni (Fiorentina), negli ani 2017 e 2018. «I premi femminili», dice Sara Gama, «sono molto equilibrati e il palmarès degli ultimi cinque anni racconta molto della crescita del calcio femminile. Rispetto a una decina d’anni fa oggi c’è maggior varietà perché ci sono più protagoniste, volti sempre più riconoscibili. Questo mix dà visibilità al calcio femminile ed è la conferma che la competizione si fa sempre più serrata».

L’occasione dell’intervista con il capitano della Nazionale arriva proprio all’indomani di una vittoria delle Azzurre, in trasferta, 0-5 sul campo della Romania, in una partita di qualificazione ai Mondiali del 2023. Una vittoria che permette all’Italia di tornare a muovere la classifica del girone dopo la sconfitta con la Svizzera, rivale diretta per il primo posto. Le Azzurre hanno tre punti di ritardo, ma la reazione in Romania è piena di significato. «Alla gara con la Svizzera non siamo arrivate nelle migliori condizioni possibili a causa del Covid e di qualche infortunio», spiega Gama, «e l’abbiamo pagato nei primi venti minuti, con la Svizzera che ha segnato due gol. Però in Romania siamo andate con la carica giusta, sapendo non solo di dover fare risultato, ma di doverlo fare a partire da una buona prestazione».

Il Mondiale sarà un momento importante, ma è ancora molto lontano. Si guarda un obiettivo per volta. Il prossimo è l’Europeo del 2022, posticipato di un anno a causa della pandemia. Sarà un’occasione per valutare lo stato di salute del calcio femminile italiano rispetto ai movimenti di altri Paesi. Le sensazioni, a qualche mese di distanza dal calcio d’inizio, sono tutte positive: in Italia l’evoluzione è continua, la crescita costante di anno in anno, quasi senza intoppi, senza passi falsi. Gama individua nel 2015 una specie di anno zero. È l’anno dello sciopero delle calciatrici, con quei giorni di tensione prima dell’inizio del campionato e le atlete che chiedevano – tra le altre cose – l’abolizione del vincolo sportivo, la possibilità di firmare contratti pluriennali, nuovi finanziamenti per lo sviluppo del calcio femminile. Li consideravano requisiti minimi da rispettare. E alla fine hanno avuto ragione loro. «Sapevamo di poter ambire a qualcosa di più, sapevamo che c’erano le condizioni per fare qualcosa di importante, soprattutto per tutelare il nostro lavoro», dice Gama. «Il 2015 è stato un anno di svolta perché c’è stata come una congiunzione astrale che ha unito tanti soggetti che credevano in noi: ci sono state scelte, ad esempio, importanti a livello federale che hanno portato all’introduzione dei club maschili nel femminile, l’obbligatorietà delle squadre Under-12 e l’acquisizione del titolo sportivo delle squadre femminili».

Nata a Trieste il 27 marzo 1989, Sara Gama gioca nella Juventus dal 2017, dopo le esperienze con Brescia e Paris Saint-Germain; in maglia bianconera ha vinto gli ultimi quattro scudetti e la Coppa Italia 2019; ha esordito in Nazionale nel 2006, e ad oggi ha accumulato 126 presenze e sette gol (Valerio Pennicino/Getty Images)

Sono passati appena sei anni, ma da allora c’è stata uno sviluppo evidente, è sotto gli occhi di tutti. Ai Mondiali del 2019, l’Italia ha portato a casa un grande risultato, arrivando tra le prime otto dopo vent’anni di assenza dalla competizione più importante. Poi le Azzurre si sono qualificate per l’Europeo del 2022. E adesso lottano per un posto al Mondiale. Ma non solo, la crescita strutturale del movimento si nota anche da altri elementi, altrettanto importanti anche se meno in vista: l’ingresso dei club professionistici maschili ha portato a una miglior preparazione delle squadre, con strutture adeguate e vivai di alto livello. Il livello del campionato è sempre più alto, gli standard tecnici e atletici per stare in Serie A sono sempre più elevati e c’è ancora tanto margine di crescita. Però bisogna investire nel modo giusto, come dice la stessa Gama: «Quando arrivano calciatrici da fuori devono alzare il livello del campionato, altrimenti conviene puntare sul talento di casa. È vero che dobbiamo aumentare il numero di tesserate in generale, siamo 33mila e siamo ancora poche, ma la crescita dal basso del movimento renderebbe tutto più sostenibile sul lungo periodo». I livelli di campionesse come Alexia Putellas – Pallone d’Oro 2021 – Sam Kerr o Vivianne Miedema sono ancora distanti, ma non lo sono più così tanto, secondo il capitano della Nazionale: «Per vincere certi premi individuali dobbiamo far crescere prima le squadre, che devono raggiungere risultati importanti. E se tutto il movimento cresce, presto saremo anche noi a quei livelli. Anche se va detto che le prestazioni di Putellas sono state davvero incredibili quest’anno».

Non bastano i club e le calciatrici a fare grande un movimento, ci vogliono anche altre componenti. I media, ad esempio, cioè chi il calcio femminile ha il compito di raccontarlo e portarlo agli occhi del pubblico, agli spettatori che già ci sono e a quelli che ancora non sono coinvolti. «Lo abbiamo visto con il Mondiale 2019», spiega Gama. «Il lavoro dei media può essere un veicolo fondamentale per la crescita del calcio femminile. Una storia può essere raccontata in tanti modi diversi e le scelte che si fanno in questo campo fanno sempre la differenza. In questi anni penso che sia stato fatto un ottimo giornalismo, attento alla nostra realtà. C’è un ambiente positivo che sta accompagnando la crescita del nostro micromondo. Mi piace pensare che sia stato fatto un gran lavoro, ma non si devono fermare qui perché noi abbiamo appena cominciato».

Lo sguardo al futuro non è solo quello della calciatrice o del capitano. È anche quello della vicepresidente dell’AIC che sa di essere all’alba di un grande momento per le giocatrici che lavorano in Italia. A partire dalla stagione 2022/23 ci sarà il passaggio al professionismo, che è un’occasione e una sfida, ma non un pericolo. «L’assenza del professionismo», dice Sara Gama, «non era più ammissibile. Certo, comporterà costi maggiori, ma se osserviamo come sta cambiando il calcio femminile in tutto il mondo, con più professionismo, con nuovi sponsor, con competenze sempre più ricercate, capiamo che questa è la direzione giusta. Poi ovviamente a livello istituzionale bisogna aiutare i club, le dirigenze, le stesse calciatrici in questa fase di transizione. Ma con tutti gli attori coinvolti in questa nuova fase di crescita non cogliere l’occasione sarebbe un errore imperdonabile».