Davide Calabria: «Vorrei dedicarmi a fare campagna su certi temi, come fa Rashford in Inghilterra»

È in edicola il nuovo numero di Undici, con un'intervista esclusiva al capitano del Milan.

Sembrava non fosse pronto per il Milan, e invece Davide Calabria è diventato quello che ci crede sempre più di tutti. È una pedina tattica fondamentale per scardinare le difese, intelligente e duttile come pochi in Europa nel suo ruolo, ma è soprattutto un giocatore diverso dalla media per quello che pensa e quello che dice. Che è tanto e dipende anche da quello che ha passato e da come ne è uscito. Il vice-capitano rossonero è il protagonista della seconda copertina dell’ultimo numero di Undici, disponibile in edicola e online qui, in cui c’è un’intervista esclusiva curata da Davide Coppo e con ritratti di Pergiorgio Sorgetti.

Il capitano/vice-campitano dei rossoneri ha parlato innanzitutto di un tema molto sentito, finalmente, oggi: il “peso” di essere calciatore e sulla necessità di maturare in fretta, forse troppo. «C’è troppa pressione, c’è troppa ansia in questo mondo. Anche da parte dei media, delle tv, ci sono troppi riflettori su ragazzi che poi subiscono molto questa attenzione. Ci sono stati dei momenti in cui io ho patito, perché alla fine sei sempre un ragazzino di vent’anni. Adesso invece a volte mi sento parlare e mi sembro un quarantenne, ma ho solo 25 anni, sono ancora un ragazzo. Ma questo mondo ti porta a crescere molto prima, però devi scottarti».

Questa attenzione alla psicologia, dice Calabria, pensa in modo diverso a seconda della maglia indossata, e dello stadio in cui giochi. San Siro, per esempio, non è per tutti: «Tanti ragazzi fanno fatica ad affrontare le pressioni, e a superarle. Per esempio, non è bello ricevere insulti in partita, e non è facile giocare in uno stadio come San Siro. Devi essere caratterialmente molto forte, perché sennò ti uccide. E poi sei costretto ad andare via. Solo chi riesce a mantenere un livello molto alto può rimanere in una squadra come il Milan, anzi devi continuare a crescere. Io penso di esserci riuscito con il passare degli anni».

Ma abbiamo detto quanto il numero due rossonero sia stato “trasformato” da Stefano Pioli. Sul mister della rinascita del Milan ha detto: «Io mi trovo molto bene. All’inizio ho fatto un po’ di fatica, arrivavamo da un’altra tipologia di calcio. Credo che il mister abbia preso diversi spunti da diverse squadre e li abbia uniti in un mix che è giusto per noi, e tanti di noi, anzi direi tutti, siamo riusciti a rivederci in questi concetti, perché poi in campo ci viene tutto facile e veloce. C’è più chimica tra di noi e siamo molto compatti in questo modo di giocare».

C’è infine spazio per il mondo fuori dal campo, una cosa a cui Davide pensa spesso. È questo che lo rende un modello non solo di terzino destro, ma di giocatore a tutto tondo, di persona, di cittadino: «Prima o poi vorrei dedicarmi a fare campagna e a sensibilizzare su determinati temi. Come fa Rashford. Contro il razzismo per esempio».

Ce l’ha anche con il modo in cui i media parlano di sport: «È sbagliato quasi tutto. Tipo mettere alla gogna un ventenne che sbaglia qualcosa, in campo o fuori. Tipo parlare della vita privata delle persone senza pensare ai danni che puoi creare ai calciatori oppure alle famiglie. Cercare sempre di scavare dentro la vita degli altri. E soprattutto i media avrebbero un potere molto forte per aiutare certe campagne ad avere ancora più eco. Anziché mettersi una riga rossa in viso. Ma qui torniamo all’inizio: bisognerebbe insegnare il rispetto e l’uguaglianza ai bambini, bisognerebbe farlo nelle scuole».