A Siviglia sta succedendo qualcosa di magico

Entrambi i club della città andalusa stanno vivendo una grande stagione, che potrebbe diventare indimenticabile.

Nel barrio sevillano di San Diego, un tranquillo quartiere residenziale che la testata El Correo Web definisce come «oasis para vivir», c’è un bar che ha delle pareti piuttosto strane: per una metà sono verniciate di bianco e verde, per l’altra metà invece sono stati scelti il bianco e il rosso. No, questa idea non è venuta a un architetto affetto da daltonismo o particolarmente eccentrico, ma a un gruppo di tifosi di calcio che ha occupato questo bar, e l’ha scelto come sede della Peña Cultural Sevilla-Betis. Nessun errore: a Siviglia, nel quartiere di San Diego, c’è un club di tifosi misto, cioè formato dai sostenitori delle due squadre più importanti della città. La scelta di unirsi e di fare fronte comune – ovviamente fin quando e fin quanto concesso dal calendario, ovvero fino al derby  – è di tipo utilitaristico, va fatta risalire alle ristrettezze economiche vissute dai gruppi del barrio – come spiega la rivista Panenka in questo articolo. Ma resta il fatto che in tutta la Spagna, così come in tutto il mondo, sarebbe impensabile anche solo proporre un esperimento del genere.

Ora, il caso di questi tifosi un po’ pazzi – o forse più normali di tutti gli altri– deve essere considerato per quello che è: un caso, appunto, e per giunta isolato, soprattutto se consideriamo che il resto della città vive la rivalità calcistica in maniera viscerale. Ma è quantomeno suggestivo che l’esistenza di questa Peña venga fuori proprio mentre il calcio sevillano sta vivendo il suo periodo migliore da tanti anni a questa parte, proprio mentre il Siviglia e il Real Betis stanno portando avanti dei progetti diversi ma entrambi organici, coerenti, di qualità. Anzi, il paradosso è che il periodo d’oro ha messo e metterà le due squadre nello stesso calderone, a competere – più o meno – per gli stessi traguardi: in questo momento i Nervionenses sono secondi in classifica, accusano solo quattro punti di distacco dal Real Madrid capolista e hanno sei lunghezze di vantaggio sul Balompié, nome originario del Betis a cui i tifosi sono ancora molto affezionati; il Betis, a sua volta, ha eliminato i rivali cittadini negli ottavi di Copa del Rey grazie al 2-1 conquistato pochi giorni fa allo stadio Benito Villamarín, e nelle ultime due gare di Liga ha recuperato quattro punti alla squadra di Lopetegui. Inoltre, entrambe le squadre giocheranno i playoff di Europa League, il nuovo turno intermedio per accedere agli ottavi di finale.

Purtroppo l’ultimo derby non è stato affrontato con lo stesso spirito dei fondatori o dei componenti della Peña Cultural Sevilla-Betis: dopo l’iniziale vantaggio del Siviglia siglato dal Papu Gómez, il Betis ha pareggiato con Fekir; nel corso dell’esultanza per la rete del fantasista francese, un tifoso Verdiblancos (come detto si giocava in casa del Betis) ha lanciato in campo un’asta e ha colpito Joan Jordán, 27enne centrocampista del Siviglia; la gara è stata interrotta, poi è ripartita il giorno dopo, a porte chiuse, ed è stata decisa da una rete di Sergio Canales. Al netto dell’incidente occorso a Jordán e delle enormi polemiche che ne sono derivate, l’alta qualità del gioco delle due squadre e dei calciatori in campo (oltre a Gómez, Fekir e Canales c’erano anche Bellerín, William Carvalho, Rakitic, Ocampos, poi dalla panchina sono subentrati Tello, Sabaly, Tecatito Corona, Koundé) è un indicatore dell’ottimo livello raggiunto dal calcio sivigliano. Che, ovviamente, si nutre e si alimenta di due società dall’identità solida – entrambe le maggioranze azionarie appartengono a gruppi di tifosi, come nella tradizione del calcio spagnolo, anche se in realtà il Siviglia è reduce da forti dissidi interni tra i vari soci – ma ha tendenze spiccatamente monocratiche: il Siviglia è una creatura del direttore sportivo Monchi, mentre il Betis sta diventando una grande squadra grazie al lavoro del tecnico Manuel Pellegrini.

Si è detto e scritto tanto del metodo-Monchi, inevitabilmente anche in Italia: con il suo mercato aggressivo, il direttore sportivo (ed ex portiere) andaluso ha trasformato il Siviglia in una squadra credibile e vincente a livello europeo, poi ha provato a ripetersi a Roma e ha fragorosamente fallito – anche se la situazione tecnica, finanziaria e ambientale che ha trovato nel club giallorosso non era proprio favorevole. Il suo ritorno a casa, nel 2019, ha avuto un effetto balsamico per tutti: un anno dopo il Siviglia è tornato a vincere (ovviamente in Europa League), e lo stesso Monchi ha ricominciato laddove aveva interrotto il suo lavoro di costruttore di sogni e realtà, ovvero da campagne trasferimenti condotte con attenzione ai dati, fantasia, intuitività e anche una certa fortuna. Solo che ora le strategie sono leggermente diverse rispetto al passato: i suoi colpi non riguardano più solo dei giovani da valorizzare e poi rivendere a grandi cifre, ma anche calciatori con maggiore esperienza, o comunque con dei trascorsi in squadre importanti.

In questo senso, gli acquisti di Corona (29 anni), Delaney (30), Lamela (29) Rakitic (33) e dello stesso Papu Gómez (33), tutti arrivati dal 2019 a oggi, sono significativi. Questo non vuol dire che i riflettori siano sempre accesi anche su profili come quelli di Koundé, Bono, Rafa Mir, o che questo tipo di politica non ammetta errori – alcuni degli acquisti più onerosi degli ultimi due anni, per esempio quelli relativi a Óscar Rodríguez, Idrissi, Rony Lopes e Dabbur, non hanno prodotto granché. Ma resta il fatto che il Siviglia continua a fare grandi affari, e a essere considerata una società in cui è possibile lanciarsi o rilanciarsi definitivamente nel panorama internazionale. Negli ultimi due anni, giocatori come Ben Yadder e Bryan Gil sono partiti proprio da qui prima di essere ceduti per cifre importanti – 40 e 25 milioni, rispettivamente. Anche il grande nome del mercato invernale 2022, Anthony Martial (arrivato in prestito secco dal Manchester United), ha detto di aver accettato l’offerta del Siviglia proprio perché aveva il desiderio di lavorare con Monchi. E con Julen Lopetegui.

Proprio Lopetegui, scelto da Monchi all’alba della stagione 2019/20 dopo le disavventure con la Nazionale spagnola e il Real Madrid, è l’altro grande punto di riferimento dell’universo sevillista. La sua dote principale è quella di saper fare ordine nel caos, di riuscire a trovare sempre gli equilibri giusti anche in mezzo alle tempeste – il metodo Monchi, del resto, è inevitabilmente confusionario: dall’estate 2019 a ogi il Siviglia ha completato più di 80 operazioni di mercato. Questa capacità si è manifestata in maniera significativa proprio in questa stagione: a causa di tantissimi infortuni e di numerose positività al Covid, il tecnico basco ha dovuto utilizzare addirittura 31 calciatori diversi solo considerando le gare di campionato. Eppure il Siviglia non ha mai mostrato crepe, anzi si è imposto come la squadra più solida della Liga – con 16 reti incassate in 22 partite, quella dei rojiblancos è la difesa meno battuta in assoluto. Certo, manca qualcosa in fase offensiva, come testimoniano i soli 34 gol segnati e le difficoltà manifestate nella sei gare della fase a gironi di Champions League, nelle quali Lopetegui e i suoi uomini hanno ottenuto una sola vittoria, per di più nell’unica partita in cui hanno realizzato più di un gol. Proprio per questo, Monchi ha deciso di investire sul potenziamento dell’attacco: Martial e Corona proveranno a rendere più imprevedibili gli schemi di Lopetegui, da sempre improntati al controllo del pallone e degli spazi prima che alla ricerca della profondità. Qualora questi due attaccanti riuscissero davvero a cambiare le cose, a risolvere l’unico difetto manifestato fino a qui, il Siviglia potrebbe davvero aspirare a tener testa al Real Madrid fino allo scontro diretto in programma al Sánchez Pizjuan tra due mesi e mezzo, così come potrebbe pensare di arrivare fino in fondo all’Europa League – anche la finale della seconda coppa continentale si giocherà nello stadio andaluso. Considerando che l’unico titolo nazionale vinto dal club di Nervión risale al 1946, entrambi gli obiettivi potrebbero davvero riscrivere la storia.

La sintesi del derby di campionato, giocato in casa del Betis e finito 2-0 per il Siviglia

Anche il Betis ha vinto una sola volta la Liga, nel lontanissimo 1935. Da allora, il club verde y blanco ha vissuto costantemente sulle montagne russe, ed è come se avesse creato una cultura di appartenenza e identità che, secondo i tifosi ma anche gli analisti andalusi e spagnoli, va al di là dei risultati. In effetti è proprio così, il Benito Villamarín è da sempre uno degli stadi più caldi di Spagna, indipendentemente dall’andamento della squadra – proprio qualche giorno fa, Héctor Bellerín ha detto che «intorno al Betis si respira un’atmosfera calda, familiare, davvero fantastica». Solo che questo tipo di mentalità ha determinato un atteggiamento particolare, un po’ fatalista, nei confronti della progettualità calcistica: tra il 2015 e il 2020, infatti, il presidente Angel Haro e il suo vice José Miguel López Catalán, hanno risolto i problemi parte dei economici e societari che affliggevano il club, hanno rimesso la maggioranza delle azioni in mano ai tifosi e hanno attuato una politica di mercato spregiudicata, ambiziosa, che secondo una ricostruzione del quotidiano El Confidencial «è simile a quella di Monchi», e che ha portato all’acquisto di giocatori considerati inarrivabili prima del loro effettivo arrivo – i vari Fekir, William Carvalho, Lo Celso, Claudio Bravo, lo stesso Bellerín. Nonostante questi cambiamenti, il destino del club non è cambiato, almeno fino a che non è arrivato Manuel Pellegrini: un tecnico pragmatico, che come Lopetegui ha messo ordine nel caos, solo che l’ha fatto praticamente da solo, intervenendo sul campo ma soprattutto sulla testa della sua squadra.

Quella su Pellegrini che cambia la testa della sua squadra non è la solita frase fatta, imbevuta di retorica: secondo un articolo pubblicato da El País, che cita fonti interne allo spogliatoio del Betis, «Pellegrini non è come i suoi predecessori: mantiene le distanze rispetto al resto del gruppo, eppure emana autorità, è un leader naturale; quando parla ai giocatori, dice poche cose in modo chiaro, schietto. Gli chiede di migliorare in poche cose, e loro lo fanno». È così che una squadra arrivata al 15esimo posto nel campionato 2019/20 è risalita fino al sesto posto della scorsa stagione; è così che quella stessa squadra – rinforzata sul mercato con il già citato Bellerín, ma anche con Pezzella, Miranda, Sabaly, Rui Silva e Willian José – ora si trova al terzo posto, ed è reduce da un filotto di 11 vittorie in 15 partite di tutte le competizioni. Per il Betis si tratta del miglior rendimento dall’annata 1996/97, e ha permesso a Pellegrini di diventare l’allenatore con la più alta percentuale di vittorie nell’intera storia del club (53,3%) – un altro dato che, in qualche modo, illustra e racconta la storia tormentata del Balompié.

Gli highlights della sfida in Copa del Rey: prima dell’incidente occorso a Jordán, c’è anche un gol direttamente da calcio d’angolo realizzato da Fekir

Poi, prima e alla fine di tutto, c’è il campo: quasi come se volesse o dovesse compensare Lopetegui, Pellegrini ha deciso di lavorare soprattutto sull’attacco, così da sfruttare le variabili offerte dai tanti talenti offensivi in rosa – Canales, Fekir, Juanmi, Borja Iglesias e Willian José, senza dimenticare Tello e il monumento Joaquín. Ne è venuto fuori un Betis che segna tanto (66 gol in 32 gare: in Spagna solo il Real Madrid ha fatto meglio) perché gioca in maniera diretta e rischiosa, portando sempre molti giocatori in avanti, così da attivare connessioni e creare occasioni con ribaltamenti velocissimi. L’atteggiamento aggressivo degli uomini di Pellegrini è indipendente dalla qualità degli avversari, e infatti il Betis è una squadra in grado di vincere contro chiunque ma anche di farsi battere per 2-0 in casa dal Celta Vigo, o di perdere il derby di andata (sempre al Villamarín) in modo piuttosto netto (0-2).

Ovviamente il calcio ambizioso di Pellegrini costa dei passaggi a vuoto per un gruppo di giocatori non abituato a queste latitudini di classifica, quindi a mantenere sempre altissimo il livello di concentrazione. Ma i miglioramenti sono netti, evidenti, e soprattutto insperati: la crisi economica che ha colpito l’intera Liga ha costretto il Betis ad allungare i contratti dei suoi migliori giocatori, e aveva fatto temere in un calo dopo la grande annata 2020/21. Non è successo. Anzi: le cose sono migliorate moltissimo. Esattamente come sta accadendo al Siviglia, che mai – neanche negli anni migliori con Unai Emery – era stato così vicino alla vetta della classifica. Ora sarà divertente capire quanto durerà questa magia condivisa, e fin dove porterà. Al momento, sta rendendo euforici i tifosi dell’intera città, quelli pazzi e quelli normali quelli dei bar neutrali e quelli che invece non riescono proprio a tifare per i rivali, neanche per un momento.