In Francia il divieto al velo rischia di rendere lo sport inaccessibile alle donne musulmane

Un nuovo provvedimento del Senato ha proibito l'utilizzo dell'hijab nelle competizioni ufficiali: un enorme passo indietro per l'integrazione delle atlete.

Come si misurano la democratizzazione e l’integrazione nello sport? È una domanda complessa, perché contempla un’infinità di risposte che riguardano le regole della pratica sportiva, ma anche – se non soprattutto – le politiche di accesso. Da questo punto di vista, in Francia stanno facendo un passo indietro notevole, proprio a causa delle incertezze e delle classiche lotte di posizione legate alla politica: da giorni, infatti, il Senato e l’Assemblea Nazionale – le due camere parlamentari, rappresentate anche nella commissione mista – stanno faticando a trovare un nuovo accordo per pubblicare una legge riferita allo sport, e in una delle votazioni al Senato è stato reintrodotto il divieto di utilizzare l’hijab – il velo islamico che copre  i capelli e il collo della donna, lasciando scoperto il viso – in qualsiasi manifestazione.

Secondo quanto approvato tramite il voto di maggioranza (160-143), sarà «vietato indossare vistosi simboli religiosi per la partecipazione a manifestazioni sportive e competizioni sportive organizzate da Federazioni Sportive e Associazioni affiliate». L’emendamento è stato proposto dal partito di destra Les Republicains, e puntava a eliminare «qualsiasi simbolo che mina i valori francesi e mette a rischio la sicurezza degli atleti», come ha riportato il Telegraph. Ovviamente la situazione è molto più complessa: vietare di indossare l’hijab porta automaticamente all’esclusione di un’intera categoria di atlete, ovviamente parliamo di quelle musulmane, dalla partecipazione a competizioni ufficiali. Khadijah Mellah, la prima fantina con l’hijab a vincere la Magnolia Cup nel 2019, ha detto che «questo provvedimento è profondamente islamofobo: come sportiva, ora sono incerta sulla possibilità ma anche sulla volontà e sull’opportunità di allenarmi e gareggiare in Francia. In questo modo vengono limitate le mie opzioni, il che è frustrante. In sostanza, è la dittatura sui corpi delle donne, su ciò che possono e non possono indossare. Ed è sbagliato».

In realtà l’emendamento approvato dal Senato è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti restrittivi che, in Francia, si susseguono da tempo. La Federcalcio transalpina, per esempio, proibisce già alle donne di indossare l’hijab durante le partite; inoltre, il velo è proibito anche nelle scuole e negli edifici governativi. Un altro punto centrale della questione sull’hijab nel calcio è che il divieto risulta anacronistico rispetto ai regolamenti internazionali: nel 2014, infatti, la Fifa ha approvato l’utilizzo del velo nel corso delle partite. Queste incongruenze hanno alimentato diversi movimenti e manifestazioni di protesta, tra cui quelle delle Hijabeuse, una squadra composta da ragazze musulmane che da anni portano avanti varie campagne – partite, sessioni di allenamento, workshop – in tutto il Paese per incoraggiare anche altre donne a non abbandonare la loro ambizione di giocare a calcio. Dopo il voto che ha sancito il nuovo divieto generalizzato, le Hijabeuse hanno organizzato una partitella nello spiazzo antistante alla sede del Senato, ricevendo il sostegno di diverse associazioni – tra cui quello del Dégommeuses, club legato alla comunità LGBTQ+ che lotta contro ogni discriminazione nel mondo del calcio.

Hawa Cissoko, calciatrice del West Ham, indossa l’hijab fuori dal campo da gioco, ha raccontato che «in Francia noi atlete donne dobbiamo sempre scegliere tra fede e carriera: ho molte amiche che vorrebbero indossare il velo, ma non possono. Dicono che lo faranno quando smetteranno di giocare, ma è evidente che in Francia non c’è libertà di culto». Il punto è proprio questo: a due anni e mezzo dalle Olimpiadi di Parigi, lo sport (politica) francese sta deliberatamente chiudendo le porte a una fetta piuttosto importante di atlete, provenienti da diverse parti del mondo. Il tutto in nome di una laicità che in realtà nasconde ideali profondamente nazionalisti e conservatori, per non dire xenofobi, come si evince dalle parole di Jaqueline Eustache-Brinio, 65enne senatrice di Les Republicains: «Il governo deve avere il coraggio di resistere alla “presa islamista” sul Paese: ove possibile, dobbiamo preservare l’unità e la coesione della Repubblica, e per farlo è necessario partire dallo sport e dalla scuola, luoghi in cui dobbiamo preservare la laicità. Quello che vogliamo fare è applicare l’articolo della Carta olimpica che esiste, ma che nessuno vuole citare, in certe occasioni: lo sport non è un elemento politico né tantomeno religioso».

Ovviamente ci sono anche delle voci politiche contrarie a questa visione: Nicolas Cadene, co-fondatore dell’organizzazione “Vigie Laïcité”, che da anni lavora per una migliore comprensione del secolarismo francese, ha spiegato alla CNN che negli ultimi anni la Francia ha assistito a «forti tensioni tra coloro che vogliono prendere le distanze dalla religione e coloro che vogliono affermarla, soprattutto quando si parla di Islam: il velo viene strumentalizzato da una parte della classe politica francese, quella che vuole dimostrare di essere più dura e radicale sul fronte della laicità, soprattutto quando si tratta della religione musulmana. Il secolarismo è profondamente radicato nella cultura francese: molti che credono che nulla, nemmeno la propria religione, debba venire prima dell’identità nazionale. Così si fa confusione tra religione e radicalismo, e così molti politici stanno approfittando per ritrarre se stessi come difensori di un’identità francese minacciata dagli stranieri. È terribile perché i musulmani francesi non sono stranieri e non c’è una sola identità francese».

Anche alcuni media hanno commentato in maniera negativa l’emendamento approvato dal Senato. Tra tutte le voci contrarie, isoliamo quella di So Foot, magazine calcistico da sempre attento alle tematiche relative all’integrazione: «Questa battaglia», scrive Nicolas Kssis-Martov, «va avanti da molti ani: all’inizio degli Anni Duemiladieci, il presidente della Federcalcio francese Noël Le Graët era stato conciliante con la Fifa perché voleva ottenere la Copa del Mondo femminile. Poi però la Federazione ha vietato di nuovo alle donne di indossare l’hijab, assecondando anche la spinta del presidente di lega Frédéric Thiriez, che invece voleva il divieto in nome di una laicità radicale che, però, non riflette la realtà della società francese. Da allora non sono state prese decisioni chiare, ma è giusto fare un’osservazione: nel 2022, il velo di una calciatrice sconvolge infinitamente più del segno della croce all’inizio di ogni partita da parte di tanti uomini. Ancora una volta, il calcio vuole fare politica senza assumersi davvero la responsabilità delle sue scelte, e senza tener conto della realtà in cui vive e prospera». Difficile non essere d’accordo.