C’è ancora troppa distanza tra Inter e Liverpool

Nonostante la buona partita della squadra di Inzaghi, il gap (economico, tecnico, d'esperienza) tra i top club italiani e quelli stranieri ha determinato la sconfitta.

Da qualche parte sui social, forse anche perché nel frattempo è stato anche allenatore dell’Inter, qualcuno ha ripescato le parole di Luciano Spalletti dopo il doppio confronto tra Roma e Real Madrid negli ottavi di finale della Champions League 2015/16: il tecnico toscano, in seguito al secondo 0-2 in altrettante partite, rifiutò la retorica della sconfitta a testa alta e disse che «non possiamo farci i complimenti per aver perso due volte 2-0: è una cosa che mi crea un disagio forte. Non si può che prendere atto della realtà, invece di rotolarsi in altri discorsi: noi si è perso, gli altri sono discorsi. E io non partecipo ai rotolamenti». Per qualcuno, dunque, quella partita tra Roma e Real Madrid può essere accomunata – o quantomeno avvicinata – a quella persa dall’Inter di Simone Inzaghi contro il Liverpool – un altro 0-2, per altro. In effetti il fatto che la squadra nerazzurra abbia ricevuto dei complimenti (meritati) per la sua prestazione, e che lo stesso Inzaghi si sia detto «orgoglioso» di come l’Inter abbia interpretato la partita, contribuisce a collegare i due ricordi. Per chi ha ripensato a quelle vecchia parole di Spalletti, riannodare i fili serve a sottolineare la differenza, la distanza tra le reazioni dei tecnici. Come se fosse una sorta di operazione-nemesi rispetto all’attuale allenatore dell’Inter.

È difficile dire chi abbia ragione, in questo caso. O meglio: entrambe le visioni sono parzialmente corrette, la verità sta nel mezzo ed è molto sfumata. La stessa analisi ex post della partita, dopotutto, parte da presupposti che riescono a essere in contraddizione tra loro: l’Inter ha dato l’impressione di giocare meglio del Liverpool, eppure non è riuscita a scoccare un solo tiro verso la porta di Alisson; la squadra di Klopp ha sofferto il gioco dei nerazzurri per lunghi tratti della gara, ma allo stesso tempo non si è mai disunita come l’Inter nell’ultimo quarto d’ora, dopo il gol improvviso di Firmino. Tutto è opinabile, ognuno può pesare meriti e demeriti nel modo e con le tare in cui crede. Probabilmente la cosa più giusta da pensare, o dire, è che l’Inter ha dovuto giocare – e ha giocato – la miglior partita in base alle sue possibilità del momento, solo che una prestazione del genere sarebbe servita per pareggiare, o al massimo per una vittoria di misura facilmente ribaltabile ad Anfield: entrambi questi risultati non sarebbero stati eccessivi, scandalosi; per il Liverpool, invece, è andata in maniera esattamente opposta: ai Reds è bastato giocare con attenzione, con relativa tranquillità, per contenere più o meno comodamente l’Inter, e poi pure per trovare i due gol che hanno trasformato la trasferta a San Siro in un’ipoteca sulla qualificazione.

Insomma, per dirla in maniera semplice e forse anche brutale: il Liverpool è ancora molto superiore all’Inter, si tratta di due squadre che partivano da livelli differenti e la cosa si è vista chiaramente, in campo. Soprattutto al momento dei cambi: Firmino, Keita, Luís Díaz, Henderson e Milner da una parte, Alexis Sánchez, Darmian, Gagliardini, Ranocchia e Dimarco dall’altra. È una differenza strutturale ed economica che diventa inevitabilmente tecnica. E che in questo momento individua e traccia la distanza che c’è tra i top club italiani ed europei, più che tra la Serie A e le altre leghe continentali: la profondità che ha permesso all’Inter  di vincere – per non dire dominare – l’ultimo campionato, che sta permettendo all’Inter di essere (virtualmente) in testa alla classifica di Serie A e in semifinale di Coppa Italia, oltre che agli ottavi di Champions, è determinata proprio dai Sánchez, dai Darmian, dai Gagliardini, dai Dimarco, dai Vidal. Ovvero, da quei giocatori che in Champions League, contro il Liverpool, hanno mostrato di non alla stessa altezza (siderale) dei loro omologhi avversari.

Tutto discende ed è disceso da qui, a cascata: l’attitudine e l’abitudine a giocare e interpretare certe partite; la tranquillità quando si tratta di leggere e gestire i momenti di difficoltà; la capacità di accelerare nelle situazioni decisive, al punto che gli unici due tiri in porta del Liverpool sono proprio quelli che hanno determinato il risultato finale. La differenza che si è vista ieri sera tra Liverpool e Inter non è altro che una conseguenza, un riflesso, di ciò che è successo negli ultimi anni: mentre la sola Juventus è riuscita a mantenersi stabilmente nella top ten della Deloitte Football Money League, la classifica delle squadre europee ordinata in base ai loro ricavi complessivi, i 34 trofei per club messi in palio dalla Uefa dal 2011 a oggi anni sono finiti nella bacheca di nove società, tutti inglesi o spagnole a parte il Bayern Monaco; nello stesso periodo, le squadre di Serie A hanno disputato tre finali e sei semifinali tra Champions ed Europa League, senza vincerne nessuna; la stessa Inter neo Campione d’Italia ha dovuto cedere Lukaku e Hakimi, i migliori giocatori del suo organico, al Chelsea e al Psg. Il punto è proprio questo: in Serie A non manca la pura qualità, così come non fa difetto la capacità di individuare e reclutare il talento. Piuttosto manca la possibilità di trattenere e di integrare certi giocatori in progetti veramente a lungo termine. La stessa Juventus, negli ultimi cinque anni, ha dovuto cedere Pogba, Cancelo, Pjanic, Cristiano Ronaldo. Altrimenti, viene da dire, la Serie A non sarebbe un campionato in grado di formare e produrre praticamente tutti i 26 giocatori che hanno vinto – con pieno merito, tra l’altro – l’ultima edizione degli Europei. E invece è proprio così.

L’Inter ha pagato questo gap con il Liverpool, esattamente come è capitato alla Juventus col Bayern Monaco (2016), Barcellona (2015) e ancora Real Madrid (2017), al Milan poche settimane fa nella fase a gironi contro Atlético e Liverpool, al Napoli di Ancelotti contro Liverpool e Psg (2019), all’Atalanta contro Psg (2020) e di nuovo Real Madrid (2021). Esattamente come è capitato alla Roma contro il Real Madrid nel 2016, giusto per chiudere tutti i cerchi. Molte di queste squadre, tra cui la stessa Inter vista contro il Liverpool, hanno mostrato di poter giocare alla pari contro certi avversari, solo che hanno potuto farlo solo fino a un certo punto. È bene essere consapevoli di questa condizione. Ecco, proprio questa consapevolezza può essere interpretata come un invito ad affrontare certe sconfitte a testa alta, ma è – deve essere – anche un impulso a fare il possibile per evitarle, perché si possa pretendere qualcosa di più, qualcosa di meglio, la prossima volta. Anche perché, nel frattempo, il Liverpool e tutti gli altri top club continueranno a crescere, ad aumentare il divario con noi, con gli altri, e allora è impossibile fermarsi. Correre o camminare a testa alta, dopotutto, è possibile solo per poche decine di metri. Dopo tocca guardare avanti: è l’unico modo per cercare di imboccare la strada giusta, quindi per poter provare ad arrivare primi.