Storia infinita della FA Cup

La Coppa d'Inghilterra festeggia 150 anni, e arriva a questo traguardo in buona salute: anche se il calcio moderno e globalizzato ha annacquato alcune tradizioni, è un modello che attira ancora gli appassionati di tutto il mondo.

Per darvi un’idea di quanto sia vecchia la FA Cup, pensate che le prime partite – datate 11 novembre 1871 – precedettero di alcuni anni la comparsa della traversa sulle porte di calcio, l’estensione nero su bianco della regola sui falli di mano e persino l’istituzione ufficiale del ruolo del portiere. Una delle partite in scena quel sabato pomeriggio vide opposte il Barnes e una squadra londinese dal suggestivo nome di Civil Service Football Club. Le rade cronache dell’epoca riportano che quelli del Civil Service giocarono in otto una partita disputata «in modo più istintivo che scientifico», in cui molti dei protagonisti scambiarono spesso e volentieri la contesa calcistica per un match di rugby, non disdegnando di afferrare il pallone con le mani o addirittura di spingerlo via con i pugni. Centocinquant’anni dopo siamo ancora qui, ancora non del tutto indifferenti a una competizione che, nel luogo comune globale, è immediatamente associata alla parola “magia” in maniera talmente stucchevole da renderla un polpettone indigeribile per gli spiriti più cinici e protesi verso il futuro.

Si può tranquillamente scrivere che la FA Cup ha vissuto momenti migliori. Su Internet si trovano centinaia di siti specializzati nella raccolta di aneddoti leggendari sugli highlights del torneo, e non dubitate: anche in quest’articolo troverete ampie speculazioni filosofiche su cosa diavolo sia la “magia”. Innanzitutto, una felice espressione che sopravvive ancora oggi e di tanto in tanto passa dalla storia alla cronaca: la pratica del “giant-killing”, la quintessenza dell’FA Cup, la squadra di seconda-terza-quarta categoria che elimina in 90 o 120 minuti lo squadrone di Premier che si è approcciato con fare troppo sussiegoso alla trasferta sul campetto da 1.500 posti a sedere. Un luogo comune ambulante che però non manca di esempi recentissimi, come quando il Wigan ha fatto fuori due volte in quattro anni il Manchester City allenato prima da Mancini (quella volta addirittura in finale) e poi da Guardiola. Il giant-killing più illustre, stracitato in tutte le guide alla FA Cup degne di questo nome, fu quello perpetrato nel 1972 dal minuscolo Hereford, una squadra di “Non-League” che giocava in quinta categoria (la nostra Eccellenza) e sorprese al replay il Newcastle superandolo per 2-1. Sulla spasmodica ricerca dei giant-killing si fonda gran parte dell’attuale retorica sul torneo, con le tv che spesso preferiscono trasmettere scontri sulla carta sbilanciatissimi rispetto ad altri match più equilibrati, nella remota eventualità che scatti in azione quell’1% di imponderabilità del pallone che basterebbe a scrivere un’altra pagina di storia.

Nel 2020 il Covid ha intasato i calendari e ha imposto la cancellazione dell’antichissimo esercizio del replay (la partita che si rigioca a campi invertiti in caso di parità nel primo match): per un popolo così tenacemente avvinto alla tradizione dev’essere stato come segarsi un braccio. Così la Storia con la S maiuscola è nuovamente entrata nel tempio della FA Cup, com’era capitato per esempio nel 1989, quando la tragedia di Sheffield (96 morti allo stadio di Hillsborough in occasione della semifinale tra Liverpool e Nottingham Forest) costrinse il calcio inglese a imporsi pesanti riforme sull’ordine pubblico e la sicurezza negli stadi.

L’esaltazione acritica della tradizione, il rimpianto per epoche mai vissute che si tramanda in lunghi e sospirosi sussidiari illustrati della nostalgia è il miele della FA Cup. Diremmo: è il miele dell’Inghilterra, e fa presto a diventare melassa quando è uno degli argomenti populisti sbandierati dal suo stesso primo ministro per mandare a monte la Super Lega nascondendo il vero motivo, che essenzialmente sta nel fatto che gli squadroni britannici guadagnano comunque già abbastanza denaro per non doversi impiccare a una nuova competizione così nebulosa. Nella pratica la FA Cup viene sempre più snobbata, almeno nei primissimi turni in cui entrano in scena le big di Premier League: poi, eventualmente, dai quarti in avanti si vede. Il grilletto lo stanno premendo i tanti manager stranieri, meno sensibili al fascino della Coppa. Un punto di non ritorno è stato raggiunto nel febbraio 2020, quando il Liverpool di Jurgen Klopp – stressato dalla compressione dei tanti impegni da rispettare in qualità di campioni d’Europa e bisognoso di una settimana di vacanza – ha schierato la squadra Under 23 nel replay del match di quarto turno ad Anfield contro lo Shrewsbury Town, club di terza divisione, senza nemmeno andare in panchina. Grandi polemiche e accuse di “voler uccidere la FA Cup” soprattutto da parte dei presidenti delle squadre minori, quelle che il linguaggio sportivo inglese definisce minnows, pesci piccoli quando non proprio esche artificiali.

La banale realtà è che il capitalismo esige regolarmente delle vittime, la Premier League è il tempio del capitalismo calcistico mondiale e la FA Cup come la conosciamo da 150 anni è destinata, nel lungo periodo, a rimetterci le penne. Rimangono comunque impagabili gli episodi di quella passione popolare che la scorsa primavera è stata usata come grimaldello da Boris Johnson per scassinare la Superlega: sono lì a dimostrarlo certi quadretti come la visita del Tottenham di Mourinho in casa del Marine (novembre 2020), club di ottava divisione che gioca in uno stadio da 389 posti, il cui portiere – dopo la vittoria nel match precedente – aveva abbandonato il campo ancora in divisa per andare al vicino supermarket a fare scorte di birra da dividere con i tifosi in delirio. Se alziamo lo sguardo a osservare la distesa a perdita d’occhio di club medio-piccoli che navigano tra prima e seconda divisione nella sconfortante certezza – a meno di miracoli alla Leicester – che non vinceranno mai nulla, ci troveremo davanti a pagine struggenti. “And Smith must score” è il titolo di una fanzine di tifosi del Brighton che prende il nome dalla frase urlata dal telecronista della BBC dinanzi al clamoroso errore di Gordon Smith, solo davanti al portiere Gary Bailey del Manchester United, all’ultimo minuto della finale 1983, sul risultato di 2-2: i Seagulls erano appena retrocessi e una loro vittoria avrebbe avuto del clamoroso (il Brighton non ha più raggiunto una finale di FA Cup). Persero invece il replay per 4-0, svuotati per aver mancato il treno della storia.

L’Arsenal è la squadra che ha ottenuto il maggior numero di successi in FA Cup (14). Il primo è arrivato nel 1930, in finale contro l’Huddersfield Town; l’ultima risale al 2020, quando la squadra londinese – già allenata da Arteta – ha sconfitto il Chelsea nell’ultimo derby giocato all’ultimo atto (E. Dean/Topical Press/Getty Images)

Invece la “crazy gang” del Wimbledon, composta da Vinnie Jones e Dennis Wise più altre canaglie, sbancò Wembley nel 1988, imponendo l’1-0 al favoritissimo Liverpool nel tripudio generale di tutto il Paese che in quegli anni stava ancora faticosamente smaltendo lo smacco per i cinque anni di esclusione delle squadre inglesi dal consesso civile del calcio europeo. E dunque si capisce come la FA Cup abbia un valore politico trasversale, che parte da Ken Loach e arriva fino all’Inghilterra profonda che ha votato per il Leave, che chiama in ballo valori e sentimenti più profondi e radicati della semplice competizione sportiva.

Nel 2017 fece molto discutere – anche in Italia, soprattutto per la tirata di un noto giornalista televisivo: “Una scena disgustosa, speravo ci si strozzasse” – la parabola del Sutton United, squadra di sesta divisione che era arrivata fino al cospetto dell’Arsenal. Durante lo storico match, perso come da pronostico, il portiere di riserva Wayne Shaw era stato ripreso in panchina nell’atto di divorare un panino. Un gesto goliardico che però risultò esserlo molto meno, dal momento che una nota agenzia di scommesse aveva quotato 8 a 1 proprio la possibilità che il portiere avesse consumato un sandwich durante la partita. Già 45enne, Shaw fu squalificato per due mesi e quindi licenziato dal club. Da quest’episodio alla Black Mirror (che non a caso è stato inventato da un inglese) vedete dunque com’è facile oggi sabotare, attraverso la grancassa dei social, anche la purezza di un classico tentativo di giant-killing: e d’altra parte oggi Davide non resisterebbe alla tentazione di scattarsi un selfie dopo aver messo a tappeto Golia (per non parlare dei diritti televisivi del match, che sarebbero venduti a peso d’oro).

Il Leicester campione in carica non aveva mai vinto la manifestazione prima del 2021, ma aveva perso quattro finali (Mike Egerton/Pool/AFP via Getty Images)

Ad ogni modo, al di là della Manica, la FA Cup è ancora una di quelle poche cose calcistiche di cui non ci si stufa a sentir parlare. Per esempio, se avessimo il doppio dello spazio a disposizione, indugeremmo volentieri sulla storia di Bob Thomson, l’attaccante ciclope del Chelsea (aveva perso la vista dall’occhio sinistro per un incidente con i fuochi d’artificio) che giocò la finale del 1915 contro lo Sheffield United: quando gli chiedevano come facesse a controllare un pallone che capitasse sul suo lato “cieco”, rispondeva «chiudo anche l’altro occhio e gioco a memoria». Oppure le due finali vinte dal Charlton nel 1946 e 1947, in un’Inghilterra post-bellica ancora in ginocchio in cui i palloni erano di qualità talmente scadente che esplosero durante la partita. Ma anche semplicemente tornando al portiere del Sutton, riuscite a ricordare un episodio tanto memorabile in uno di quei gelidi pomeriggi di casa nostra trasmessi da Raisport 1 (anzi, quest’anno, da Mediaset)?

Per gli stessi principi di tradizione e conservazione che prima abbiamo indicato come limiti del torneo, oggi la FA Cup è ancora una competizione che fa invidia e non ha eguali nel continente. Pensate a quanto è stropicciata la nostra Coppa Italia, che ogni due anni s’ingegna sgangheratamente a cambiare formula, sempre facendo attenzione a garantire alle tv quei necessari tre-quattro big match in fondo al torneo da otto milioni di telespettatori. Pensate a quante volte, fin dalla tenera infanzia, avete sentito evocare il “modello inglese” come panacea dei mali della Coppa Italia. Mettetevi il cuore in pace: non si farà mai. Oggi, stagione 2021-2022, l’FA Cup è l’espressione del lato paradossale del football, la partita che può trasformarsi in epica o in uno sketch dei Monty Python, il gusto della svolta romanzesca che il calcio globale sta lentamente spegnendo e che però sopravvive, nell’Inghilterra profonda, senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Da Undici n° 42