La nuova vita del tiro da fuori

L'evoluzione del gioco ha cambiato le conclusioni dalla distanza: oggi sono meno frequenti, meno improvvisate rispetto al passato.

Le statistiche calcistiche hanno un problema, soprattutto se le rilevazioni sono tarate su distanze brevi, per esempio riguardano una singola partita: non riescono a restituire la reale complessità del gioco. È lo stesso paradosso matematico dello stipendio medio – per cui se io guadagno 30mila euro l’anno e il mio vicino di casa arriva a 300mila, abbiamo guadagnato 165mila euro a testa – solo declinato da un punto di vista tecnico, attraverso l’utilizzo di un calderone unico in cui bollono insieme azioni di squadra e giocate individuali, passaggi e dribbling e movimenti che in realtà sono tutti diversi tra loro. Prendiamo Lazio-Napoli 1-2, che si è giocata nell’ultimo weekend: secondo le statistiche grezze, tutti e tre i gol sono arrivati con tiri da fuori area. Ovviamente è vero, nel senso che Insigne, Pedro e Fabián Ruiz hanno effettivamente segnato con tre conclusioni scoccate oltre la linea bianca che delimita lo spazio in cui il portiere può giocare la palla le mani. Al tempo stesso, però, solo un folle potrebbe equiparare la botta secca e un po’ arcuata di Insigne, ma anche il colpo di biliardo di Fabián Ruiz, con la meravigliosa conclusione al volo indovinata da Pedro: i gol dei giocatori del Napoli sono frutto di gesti tecnici forse improvvisi ma non certo improvvisati, Insigne e Fabián volevano proprio calciare in quel modo, volevano mettere il pallone in quel punto della porta, dovevano gestire due passaggi ben dosati e hanno avuto il tempo di coordinarsi nel modo giusto per farlo al meglio; quello di Pedro, invece, è stato un tiro istintivo e impetuoso e perciò velocissimo, l’attaccante spagnolo si è avventato su una respinta della difesa in maniera selvaggia e ha trovato la potenza e la precisione necessaria per piegare – letteralmente – le mani di Ospina; questo, ovviamente, non vuol dire che Pedro non abbia immaginato di concludere a rete proprio in quel modo, ma la differenza tra la sua giocata e quelle di Insigne e Fabián è piuttosto evidente.

Ecco, bisogna iniziare proprio da queste differenze per poter parlare in maniera approfondita dei tiri da fuori. Di come sono cambiati, di come sono visti e percepiti da giocatori, allenatori, analisti e tifosi dell’era contemporanea. E potrebbe essere interessante partire proprio dal Napoli, vale a dire il caso di studio più significativo dell’intero contesto italiano: con le due segnate all’Olimpico nella gara contro la Lazio, la squadra di Spalletti è arrivata a quota 10 reti da fuori area nella Serie A edizione 2021/22 – quota record tra tutte le 20 squadre del campionato. Inoltre, se consideriamo i dati che vanno dalla stagione 2019/20 a ora, ci sono ben tre giocatori della squadra azzurra nella top ten di coloro che hanno realizzato più gol su conclusione dalla distanza, senza considerare le punizioni: si tratta proprio di Fabián Ruiz (dodici) e di Insigne (sette), ai quali si aggiunge Dries Mertens (sei).

Tutti questi numeri indurrebbero a pensare che il Napoli sia una squadra portata a tirare molto da fuori area. Dopotutto, perché non dovrebbe farlo? Ha i talenti giusti, i numeri giusti, gioca in maniera offensiva e quindi spesso ha la possibilità di concludere fronte porta dalla lunga o media distanza. E invece non è esattamente così: la squadra di Spalletti è solo all’ottavo posto in Serie A nel rapporto tra conclusioni da fuori e tiri complessivi (40%); certo, va detto pure che il Napoli è in seconda posizione per numero di tentativi scoccati oltre i 16 metri (6,5 per match), ma su questo dato incide il fatto che solo Inter (17,3 conclusioni ogni 90 minuti) e Roma (16,4) tirano più degli azzurri (16,1) verso la porta avversaria. L’analisi di queste cifre aiuta nella comprensione del fenomeno, lo definisce, lo illustra: oggi il tiro da fuori è uno strumento tattico complesso, che è stato ricodificato – e quindi viene allenato – perché possa essere usato dagli specialisti giusti, nei momenti giusti. Quindi, inevitabilmente, con i dosaggi giusti.

C’è stato un tempo, soprattutto in quella porzione di Gran Bretagna che tutti siamo abituati a chiamare Inghilterra, in cui diversi giocatori segnavano tantissimi gol da fuori area. Questo tempo erano gli anni a cavallo tra gli anni Zero e gli anni Dieci, e questi giocatori erano Lampard (41 gol da fuori area in gare di Premier League), Beckham (34), Gerrard (33). La retorica nostalgico-passatista impone il pensiero per cui questi specialisti delle conclusioni outside the box non sono ancora in circolazione perché il livello tecnico si è abbassato, perché centrocampisti del genere non nasceranno mai più, perché il calcio di ieri era più bello di quello di oggi. Ovviamente non è così: non sono i giocatori a essere meno forti nel fondamentale del tiro, piuttosto è il gioco a essere cambiato. È diventato più strategico, più ragionato, meno istintivo e spontaneo – se è proprio necessario usare termini apparentemente dispregiativi. Insomma, certi giocatori del passato erano specialisti dei tiri da fuori perché era il calcio di allora a renderli tali. Ed era un calcio in cui la componente della giocata primordiale e stordente, quella che distingue i grandi giocatori da quelli meno grandi, era ancora molto prevalente – soprattutto in fase di rifinitura e conclusione.

Oggi, invece, gli allenatori hanno strumenti di controllo e di dominio molto più accentuati, da cui discendono schemi offensivi decisamente più sofisticati rispetto al passato. Sono i dati a confermare queste sensazioni: se vogliamo rimanere in Premier League, è stato rilevato che negli ultimi dieci anni le conclusioni da fuori sono diminuite tantissimo, dal 47% del 2011/12 fino al 38,2% dell’ultima stagione. Le percentuali della Serie A sono del tutto similari a quelle del massimo campionato inglese: nel 2011/12, le conclusioni da fuori erano il 49% del totale, mentre nella stagione in corso lo stesso identico dato è sceso fino al 38,2%. E se allarghiamo l’analisi alle edizioni 2021/22 delle cinque leghe top (Premier, Liga, Serie A, Bundes e Ligue 1), scopriamo che nessun club supera il 46% di tiri da lontano; il record negativo, o positivo a seconda dei punti di vista, appartiene al Celta Vigo: solo il 26% delle sue conclusioni è stato scoccato fuori dall’area di rigore.

Cosa è successo, di preciso? Semplicemente la stessa cosa avvenuta nel basket, solo con un nesso causa/effetto perfettamente ribaltato: se le statistiche avanzate della pallacanestro hanno chiarito che un tiro da tre è più conveniente rispetto ai cosiddetti Mid-Range Shots, vale a dire i tiri da due tentati però da una posizione meno comoda, e allora spesso assistiamo ad azioni in cui i giocatori forzano l’uscita del pallone dall’arco, quelle nel calcio dimostrano che avvicinarsi alla porta è il modo migliore per alzare la probabilità di fare gol. È la trasposizione pratica di un modello teorico sempre più diffuso e utilizzato e perfezionato, quello degli Expected Goals: secondo le cifre riportate in questo articolo di The Athletic, una conclusione scoccata dall’esterno dell’area di rigore produce, in media, tra 0,05 e 0,1 gol attesi; in area di rigore questo dato sale fino al range che va da 0,1 a 0,4, nell’area piccola è quasi sempre superiore a 0,4, dipende dall’angolazione.

Il presente e il futuro del tiro da fuori come gesto tecnico, come soluzione per finalizzare un’azione offensiva, sono tutti in questi numeri. A cui ne aggiungiamo un altro piuttosto significativo: il giocatore in attività che ha realizzato più gol da fuori area è Lionel Messi – sono ben 80, senza contare le punizioni. Ecco, lo score di Messi è perfetto per comprendere com’è e cos’è diventata, oggi, l’idea stessa della conclusione dalla distanza: Messi avrà sicuramente segnato tante volte da fuori area colpendo il pallone con forza, con il collo pieno o con il collo esterno, ma i gol fatti in questo modo sono sicuramente meno rispetto a quelli realizzati indovinando l’angolo più remoto della porta con una conclusione a effetto, a giro, facendo rotolare il pallone sull’erba come se fosse una palla di biliardo, spiazzando piuttosto che fulminando il portiere avversario, o magari anche con un diabolico pallonetto.

E ora prendiamoci dieci minuti, e godiamoci un po’ di gol da fuori segnati come si segnano nel 2021

Siamo tornati di nuovo indietro, nel senso che tutte queste soluzioni super-accurate rientrano e rientrerebbero nelle statistiche dei tiri da fuori pur essendo diversissime tra loro. E, come abbiamo capito, sono diverse pure rispetto al passato: i Messi, i Fabián Ruiz e anche i Salah e i Kroos si coordinano e colpiscono la palla in maniera diversa rispetto ai Gerrard, ai Lampard, agli Scholes del passato, a loro volta eredi dei vari Shearer, Hasselbaink, Recoba, Rubén Sosa e Vialli; i tiri da fuori dell’era contemporanea sono meno frequenti, sono molto più piazzati e più precisi, a volte sono anche molto forti ma la costante delle traiettorie è che sono quasi tutte chirurgiche, frutto di posture armoniche e di teste fredde. Oggi ci sono meno esplosioni improvvise di pura dinamite: tra gli esperti di questo settore specifico figurano Kevin De Bruyne, Ruslan Malinovskyi, ovviamente Cristiano Ronaldo, atleti fisicamente attratti dalle botte scoccate qualche metro fuori l’area di rigore, ma anche in grado di far viaggiare la palla come se fosse telecomandata; nella terra di mezzo in cui si alternano  pura potenza e ricerca della precisione ci sono giocatori come Luis Muriel e Hakan Calhanoglu.

I tiri da fuori della nostra era, anche se forti prima che piazzati, nascono da azioni manovrate, corali, non da iniziative personali. È molto più frequente che i tiratori possano e quindi debbano inquadrare la porta dopo aver ricevuto assist puliti per non dire perfetti, non al termine di galoppate solitarie palla al piede. Per dirla brutalmente: oggi è sempre più difficile che un giocatore prenda il possesso, punti l’area di rigore fronte porta e carichi il tiro appena possibile senza provare a connettersi con i compagni. Ripensando agli ultimi anni, il gol più famoso realizzato in questo modo è stato quello di Vincent Kompany contro il Leicester, a poche giornate dalla fine della stagione 2018/19; ed è paradossale pensare che sia stato proprio l’allora capitano del Manchester City, una squadra di Guardiola, a rappresentare per un attimo il contraltare dell’evoluzione del gioco in senso sistemico.

Addirittura si è arrivati a un vero e proprio cortocircuito: il tiro da fuori area è diventata un’arma di tipo difensivo, da utilizzare per alleggerire la pressione avversaria in alcuni momenti di gioco senza prospettive o tatticamente complicati, per esempio subito dopo un calcio piazzato battuto male e respinto dalla difesa – qui, per esempio, c’è una compilation di conclusioni senza senso di Ander Herrera. Certo, magari quest’ultima è una forzatura. E inoltre c’è qualcuno che comincia a snocciolare dati che vanno anche nella direzione opposta: questo articolo di FiveThirtyEight cita una ricerca universitaria in cui viene dimostrata l’efficacia dei tiri da fuori se utilizzati in maniera intensiva, soprattutto da squadre di livello più basso. Il nocciolo di tutta la questione è proprio questo: concludere dalla distanza, oggi, è una soluzione/situazione a bassa probabilità di successo rispetto ad altri meccanismi, quindi una sorta di Piano B in caso di emergenza – una situazione in cui si trovano le squadre con meno qualità. Se poi hai Messi, Fabián Ruiz o Malinovskyi, trovare il modo per azionarli, per metterli in condizione di tirare, diventa una strategia intelligente. Una tattica efficace. Una delle tante: la differenza col passato è tutta qui.