Il Chelsea è in vendita, ma Stamford Bridge è un grosso problema

Il club londinese ha uno stadio piccolo e vecchio, che produce ricavi piuttosto bassi.

A quasi vent’anni dal suo arrivo nel calcio inglese, Roman Abramovich ha annunciato che il Chelsea sarà venduto. Dal 2003 a oggi, l’oligarca russo ha condotto la squadra londinese a vincere due Champions League e poi tutto il resto che c’era da vincere; l’ein plein è stato chiuso pochi giorni fa con il trionfo nell’ultimo trofeo che mancava nella bacheca dei Blues, vale a dire il Mondiale per Club. È evidente che Abramovich lasci solo a causa dei problemi dovuti alla guerra russo-ucraina, e anche se negli ultimi anni ha vissuto ai margini del Chelsea per ragioni di opportunità politica – infatti la gestione è stata lasciata totalmente nelle mani di Marina Granovskaia – ha messo in vendita un club/asset di enorme prestigio, di enorme valore. Che, però, ha un grande problema: Stamford Bridge.

Il Telegraph, in questo reportage, spiega perché lo storico stadio di Fulham Road – l’unico nella storia del Chelsea, essendo stato inaugurato nel 1877, ben 28 anni prima della fondazione dei Blues – rappresenta un ostacolo nel processo di vendita del club: il problema principale riguarda la capienza limitata (poco più di 41mila persone) e quindi la difficoltà di generare ricavi importanti, sia per quanto riguarda i matchday che le strutture ricettive non strettamente legate all’evento-partita. Non a caso, viene da dire, Abramovich non ha mai fatto mistero di voler dare al Chelsea una nuova casa. E alcuni anni fa ci era praticamente riuscito: all’inizio del 2017 era stato presentato un progetto – firmato dallo studio d’architettura Herzog & de Meuron – che avrebbe dato un nuovo volto a Stamford Bridge, trasformandolo in un impianto più grande (avrebbe dovuto ospitare 60mila tifosi) e ovviamente più moderno, ma che si sarebbe inserito perfettamente nel contesto urbano del quartiere Hammersmith e Fulham. Erano già usciti anche dei render piuttosto interessanti. Un anno e mezzo dopo, il progetto è stato improvvisamente accantonato: in una nota ufficiale pubblicata dal Chelsea, veniva citato «l’attuale clima sfavorevole agli investimenti» per giustificare la mancata costruzione del nuovo stadio nonostante l’amministrazione locale avesse già concesso tutti i permessi, le deroghe urbanistiche. Nessun accenno al fatto che Abramovich avesse da poco ritirato la domanda per il rinnovo del suo visto valido per il Regno Unito.

Dieci mesi fa, nonostante una proroga di un anno legata all’emergena Covid, il Chelsea ha fatto scadere la licenza edilizia per la costruzione del nuovo Stamford Bridge. Che, quindi, è rimasto e sembra destinato a rimanere così com’è: l’ultima ristrutturazione risale agli anni Novanta, ma ovviamente non può bastare a rendere funzionale e profittabile un impianto lontanissimo da veri e propri gioielli dell’architettura sportiva, per esempio il City of Manchester Stadium, l’Arsenal Stadium, il nuovo White Hart Lane. Gli ostacoli del Chelsea non si limitano alla difficoltà manifesta di ricostruire Stamford Bridge, ma anche all’impossibilità di trovare un’area adatta nella zona Ovest di Londra: secondo i termini degli accordi stipulati da Abramovich con il Chelsea Pitch Owners, la società non profit che detiene la proprietà dello stadio e dei diritti di denominazione del club, un eventuale trasferimento da Stamford Bridge – anche da parte del nuovo azionista di riferimento – toglierebbe automaticamente la nomenclatura “Chelsea FC” dalla ragione sociale. Infine, anche i costi sarebbero proibitivi: l’investimento per completare il progetto del 2017 era stimato in 1,4 miliardi di sterline, ora ne servirebbero 2,2 miliardi per demolire e ricostruire lo stadio. Si tratta di problemi e cifre che scoraggerebbero chiunque, anche se si tratta di acquistare il club campione d’Europa e del mondo.