La montagna selvaggia di Paolo Griffa

Intervista allo chef del Petit Royal di Courmayeur, una stella Michelin, sulla sua cucina fatta di viaggi e culture lontane ma anche di foraging e rapporto con il suo territorio.

Dicono di lui sempre che è giovanissimo, che è promettente, che è la next big thing della cucina italiana. Paolo Griffa all’alba del 2022 è però già una certezza, grande abbastanza e affermato eccome. Piemontese classe 1991, è oggi chef al Petit Royal, il ristorante gourmet del Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur. Sembrerebbe poca la strada fatta, tra due regioni così vicine, e invece prima di tornare in questo angolo d’Italia Paolo se n’è andato in giro per il mondo: prima a Rivoli, a due passi da casa, poi a Parigi, tappa quasi obbligata e ben più lontana, e fino a Copenhagen, allo Studio.

E poi, per passione e per avventura, tantissima Asia: anche per questo Land Rover Italia lo ha scelto come ambassador. Quando non sta esplorando nuovi mondi – e quando non è al Petit Royal – Paolo è nei boschi delle montagne valdostane, che raggiunge con la sua Range Rover Sport Hybrid. Con l’occhio attento e l’attrezzatura da foraging, la raccolta di erbe, bacche, radici e frutti selvatici, senza danneggiare l’ecosistema e sempre guardando alla sostenibilità. Una ricerca e una tecnica che ha portato in cucina a Courmayeur. Anche grazie a questo, nel 2019, è arrivata la prima Stella, e nel 2020 i 3 Cappelli dell’Espresso. La sua è una cucina eclettica che riesce a stare in equilibrio tra un territorio ostico ma prezioso, quello valdostano, e la continua ispirazione di cui Paolo gode, alimentata da libri, viaggi, arte.

Ⓤ: Come descriveresti la tua cucina a chi non la conosce?
Io nasco come pasticcere, e questo è importante perché cambia il modo di vedere la cucina. Nel mondo della pasticceria c’è un’attenzione all’estetica molto forte, perché devi fare una vetrina, quindi il cliente deve essere catturato da quello che vede; mentre in cucina ordini su un menù e non sai come sarà questo prodotto.

Ⓤ: Qual è la specificità del Petit Royal?

La domanda fondamentale che mi faccio è: perché la gente dovrebbe venire a Courmayeur? Deve trovare qualcosa che sia unico di qua. E quindi ho iniziato una ricerca sui prodotti del territorio, sui produttori, che all’inizio è stata molto ostica perché la Val d’Aosta non è ricca di prodotti come il Piemonte o la Sicilia. Tutti i prodotti che utilizziamo, per lo più, sono valdostani. Poi, se ci sono due metri di neve, qui non rimane niente, e quindi devo far arrivare tutto da fuori.

Ⓤ: Stagionalità, in una regione come la Val d’Aosta, è una parola ostica.

Qui abbiamo due stagioni, inverno ed estate. In estate è tutto verde, bellissimo, facciamo molto foraging e quindi abbiamo diverse erbe spontanee, bacche, tuberi. In inverno però non abbiamo niente. Questo si riflette sul menù: d’estate è fresco, erbaceo, delicato. In inverno è più austero: selvaggina, verdure conservate, oli essenziali, fermentazioni…

Ⓤ: Quanto viaggi e come?

Prima del Covid viaggiavo tantissimo. Non mi pongo limiti, qualunque viaggio può essere fatto e a qualunque livello. Ci sono delle volte che ti fissi dei tempi, e ci sono delle volte che ti fissi dei budget.

Ⓤ: Come si viaggia da dentro la cucina?

Se ci pensi i prodotti in cucina sono molto simili in tutto il mondo. Il pollo, la mucca, il maiale, vengono utilizzati ovunque o quasi. Cambia culturalmente come siamo abituati a lavorarli. Noi abbiamo un menù dedicato ai viaggi, e lavoriamo gli ingredienti come se fossero altre culture a farlo. Prendiamo un prodotto valdostano come la trota. La lavoriamo ispirati alla Norvegia, facendola marinare: al Perù, facendo una ceviche; alla Francia, facendo una quenelle. Quando viaggio faccio proprio questo: trovo delle similitudini con i piatti che voglio fare, compro attrezzature di ogni tipo, porto indietro spezie e ingredienti non consueti e li faccio miei.

Ⓤ: In quello che fai c’è un rapporto con la terra, più che con il territorio.

Quando fai foraging non sei tu a decidere nulla. Io non sono molto fan degli orti, più del foraging. Quando fai un orto sono io che decido cosa cresce, che veicolo quella crescita, sono io che decide quanto cresce, come e perché. Quando fai foraging sei tu che ti adatti a quello che c’è in quel momento. E quindi è un raccontare e portare a tavola ingredienti che hanno un’unicità e un “hic et nunc”.

Da Undici n° 43
Foto di Rachele Daminelli