Le passeggiate in Ligue 1 non fanno bene alle ambizioni del Paris Saint-Germain

Lo squilibrio tecnico ed economico con le altre squadre francesi azzera la tensione e gli stimoli, creando problemi che esplodono nelle notti di Champions League.

L’ultima vittoria del Paris Saint-Germain, 3-0 in casa contro il Bordeaux, è sembrata inevitabile fin dall’inizio di una partita che non ha offerto alcun elemento di sorpresa. Chi ha guardato la gara ha assistito a un trionfo lento e stanco, meccanico, ha visto il risultato andare dal Psg più di quanto il Psg volesse effettivamente farlo suo. Forse era l’unico atteggiamento possibile per una squadra reduce dalla notte di Madrid, da un’eliminazione in Champions League che sarebbe un pezzo unico di storia se solo non fosse stata simile, in modo quasi sinistro, ad altre sconfitte simili già vissute in passato. Il 3-0 maturato al Parco dei Principi contro il Bordeaux ha avuto lo stesso leitmotiv di tante altre vittorie in Ligue 1 dell’ultimo decennio: i fondi illimitati della proprietà qatariota hanno permesso al Psg di costruire una formazione impareggiabile e irraggiungibile per qualunque avversario in territorio domestico, e va così fin dai tempi dell’arrivo di Ibrahimovic, Pastore e i primi campioni, poi ancora di più con Cavani, Lucas Moura e Di María. E non poteva andare diversamente con un trio come quello composto da Neymar, Messi e Mbappé, praticamente impareggiabile su scala globale.

Certo, in tutti i campionati europei le grandi squadre sono più o meno irraggiungibili. Lo è il Bayern Monaco in Bundesliga, lo è stata la Juventus in Serie A e lo è stato il Barcellona che ha vinto la Liga otto volte in undici anni. Poi c’è la Premier League che come al solito fa storia a sé, anche se in realtà negli ultimi anni il Manchester City di Guardiola ha iniziato a esercitare un dominio piuttosto netto sulla concorrenza. Il problema è che in Ligue 1 la situazione è ancora più esasperata, se possibile: il Psg mette in campo undici giocatori fortissimi più tre o quattro o cinque sostituti di primo livello in ogni partita, mentre le altre squadre del campionato non hanno proprio la possibilità, gli strumenti, per fermarli.

I dati, che in questo caso sono i valori dei giocatori e delle rose calcolati dagli algoritmi di Transfermarkt, aiutano a tracciare le distanze e quindi a capire come e perché il campionato francese offra un contesto non competitivo alla sua squadra-regina: la Premier League è in cima alla classifica delle cinque leghe top grazie a un valore medio di mercato di 432,23 milioni di euro per ogni squadra, ed è seguita da Liga, Serie A e Bundesliga, tutte vicine tra loro – la media del campionato spagnolo è di 247 milioni per squadra, quella della Bundes è a 227; in mezzo c’è l’Italia con 239. La Ligue 1 è decisamente distante: ogni squadra ha un costo aggregato medio di 179 milioni di euro, per un valore complessivo di 3,59 miliardi. La rosa del Psg costa, da sola, 910 milioni: più di un quarto del totale.

Attenzione: questo non vuol dire che alle 19 avversarie dei parigini manchi il talento. L’ultimo rapporto CIES, tanto per dire, ha evidenziato come le squadre francesi siano quelle che hanno incassato di più sul mercato (circa 3,1 miliardi di euro) a livello globale. Questo vuol dire che in Ligue 1 ci sono tanti giocatori di qualità, molti dei quali già pronti per giocare ai massimi livelli. Il punto, però, è che tutte le altre squadre che non sono il Psg in realtà lavorano come centri di valorizzazione e smistamento di giovani promesse, sono come grosse vetrine in cui esporre i migliori pezzi dell’argenteria – soprattutto i giocatori più giovani e vendibili. Per allenatori e direttori sportivi, l’obiettivo principale è esaltare certi profili mettendoli nelle condizioni di esprimersi al meglio, nella speranza di attirare le migliori offerte. «I giocatori giovani e straordinari sviluppati senza sosta in Ligue 1 vengono spesso spediti via durante l’estate, lasciando le squadre senza l’esperienza e la profondità di cui avrebbero bisogno per bilanciare gli impegni europei e nazionali», ha scritto il Guardian a dicembre 2021. I risultati di questa politica si vedono anche nelle competizioni europee, a dir poco altalenanti: se quest’anno Lione e Marsiglia possono ambire a fare strada in Europa League e in Conference League, portando una buona dote di punti a un Ranking Uefa piuttosto elevato, l’anno scorso la Ligue 1 è stato l’ottavo campionato europeo per risultati dei suoi club. Perfino la Scottish Premier League ha accumulato più punti.

Da quando è diventato di proprietà del fondo Qatar Sports Investments, il Psg ha vinto 27 trofei; nel 2015, 2016, 2018 e 2020 ha conquistato tutte le competizioni domestiche a cui era iscritto, vale a dire Ligue 1, Coppa di Francia, Coppa di Lega e Supercoppa (Franck Fife/AFP via Getty Images)

Va anche detto tutte le squadre che non hanno alle spalle fondi d’investimento mediorientali devono in qualche modo fare player trading per riciclarsi e per esistere stagione dopo stagione. La campagna in Champions League del Red Bull Salisburgo ci ha mostrato/ricordato come si possa attuare una strategia di questo tipo con ottimi risultati. Negli ultimi due anni, la società austriaca ha venduto il suo centravanti titolare due volte, prima Haaland e poi il suo sostituto Patson Daka, senza perdere competitività, anzi trovando sempre il modo di integrare i nuovi arrivi. È andata e sta andando in questo modo perché il Salisburgo è stato pensato e costruito per progredire nonostante questa politica, attraverso un impianto tattico, tecnico, di squadra, in grado di sopravvivere ai singoli. In Ligue 1 ci sono fin troppe società che partono dalle stesse premesse e poi arrivano a risultati finali molto distanti: il Lille, per esempio, l’anno scorso ha vinto con merito un raro campionato lasciato dal Psg, solo che poi ha perso cinque giocatori importanti della rosa campione di Francia, ha cambiato allenatore (Galtier è stato sostituito da Gouvernec) e non a caso oggi è settimo in classifica. Andò anche peggio al Monaco vincitore della Ligue 1 2016/17; dopo quel trionfo, la squadra di Jardim perse praticamente tutti i suoi migliori giocatori nel giro di due anni, e nel 2019 chiuse il campionato al 17esimo posto, salvandosi per miracolo dopo aver cambiato allenatore tre volte in nove mesi.

In un contesto del genere, così volubile e volatile, è inevitabile che la sperimentazione tattica diventi secondaria, se non addirittura marginale. Ed è proprio questo il grande problema: il Psg di Pochettino affronta le partite domestiche come se non avesse bisogno di costruire la vittoria, di dotarsi di una struttura tattica coerente, di studiare movimenti e schemi di gioco. I tre punti arrivano quasi in automatico. E quando non arrivano, pazienza: arriveranno la settimana prossima. È questa la reale differenza con gli altri campionati top in Europa. E non è una questione di semplici vittorie e di trofei, ma di allenamento alla sofferenza: il Psg può anche non vincere il campionato, è già successo ai tempi di Ancelotti e di Unai Emery, ma come abbiamo visto è destinato a riprendersi il trono a distanza di un anno. Poi però succede che lo scontro contro squadre strutturate e dotate di una certa qualità – il Real Madrid di Ancelotti, ma anche il Nizza di Christophe Galtier, che ha sconfitto il Psg nel recente incrocio di Ligue 1 e negli ottavi di Coupe de France – non vada come previsto, che si metta male, e allora i giocatori di Pochettino non conoscono contromisure, non sanno come ribaltare l’inerzia della partita, perché in realtà non vivono la tensione di una rivalità vera, a lungo termine.

A gennaio 2019 un reportage pubblicato su Football Paradise ha provato a intercettare e raccontare la nuova grandezza del Paris Saint-Germain cercandola in una giornata qualsiasi di campionato. Un esperimento fallito, per via dell’assenza di un’atmosfera solenne o spettacolare al Parco dei Principi: «Il Psg è determinato a diventare una forza mondiale nel calcio sia in campo che fuori, ma il clima stranamente placido di queste partite non le rende “un’esperienza da non perdere”. Anzi va esattamente al contrario, ed è un effetto indesiderato della mancanza di rivali». Perché senza una vera e propria competizione in campo, non c’è tensione, non c’è paura, non c’è sfida. E questo conta per il pubblico – il vero punto focale del reportage – ma forse conta anche per i giocatori del Paris Saint-Germain. Che, evidentemente, hanno bisogno di una quotidianità diversa da quella offerta dalla Ligue 1, di un lavoro in allenamento che si nutra di stimoli, che vada a cercare soluzioni sempre nuove per superare degli ostacoli, anche se gli ostacoli non sono poi così irti. Non a caso, i migliori risultati – in campo nazionale e soprattutto internazionale – sono arrivati con Thomas Tuchel in panchina, cioè con un tecnico dall’approccio ossessivo, mutevole, machiavellico, al proprio lavoro.

Con 200 gol segnati in 301 partite tra il 2013 e il 2020, Edinson Cavani è il miglior marcatore nella storia del Psg (Cristophe Simon/AFP via Getty Images)

Lo scorso giugno l’Assemblea di Lega del campionato francese ha preso una decisione importante per cercare di aumentare la competitività interna: ha deciso di ridurre il numero di squadre nel massimo campionato da 20 a 18 a partire dalla stagione 2023/24. Ma non è detto che sia sufficiente, non è detto che basti per dare una competizione vera al Paris Saint-Germain. Perché oggi la Ligue 1 è l’esasperazione di una dinamica di lungo periodo che si può vedere in tutti i grandi campionati europei, e forse non solo i grandi, di una polarizzazione calcistica che ha reso grandissima la distanza tra l’aristocrazia e la middle-class. Le vittorie in serie di squadre che dominano i campionati nazionali creano eventi sportivi un po’ più noiosi e prevedibili ogni anno che passa, campionati meno appetibili per gli spettatori e forse anche per i giocatori stessi.

Forse quella Super Lega che poco meno di un anno fa era stata salutata da molti come una follia estemporanea conteneva elementi di lucidità. Allora prima ancora di riflettere sul formato della competizione, sull’idea di un torneo più elitista o più democratico, che abbia dodici, sedici o venti squadre, è il caso di riflettere su una riforma delle competizioni più importanti. La Ligue 1 non è la degenerazione del sistema, è solo la versione sotto steroidi di una trasformazione globalizzata che strozza la competitività, quindi una buona parte di bellezza, di tutti i campionati. È un problema di tutti, il Paris Saint-Germain ci aiuta solo a vederlo meglio.