Lunedì 5 maggio 2003, sul Corriere della Sera, c’è una pagina che sembra arrivare dal futuro. Il titolo d’apertura è «Cinese con febbre, Malpensa alla prova Sars». Di spalla ci sono quattro notizie brevi raccolte sotto l’occhiello «L’epidemia». Una dice «Caso sospetto a Chieti, ricovero allo Spallanzani», un’altra «Cina, continua il contagio. Le scuole restano chiuse»; nel taglio basso c’è un’intervista a Guido Bertolaso, commissario straordinario nominato dal governo per contrastare l’emergenza: «Potrei anche ordinare la quarantena», dice con parole che però non faranno grande strada verso i fatti. Perché quella volta Milano non si ferma, davvero. Del resto mancano due giorni alla partita d’andata della semifinale di Champions League tra Milan e Inter, la seconda stracittadina europea nella storia del calcio continentale dopo quella di Madrid nella Coppa dei Campioni del 1958/59. La città, evidentemente, ha ben altro a cui pensare rispetto alla Sars.
La qualificazione alla finale servirebbe per salvare la stagione a entrambe le squadre: dopo la 14esima giornata, la Juventus era terza in classifica a sei punti dal Milan e a quattro dall’Inter, ma ai bianconeri è bastato tenere un’andatura regolare nel girone di ritorno per portarsi a casa lo scudetto numero 27, visti i continui inciampi delle due rivali milanesi. «Per ora è stata solo una Milano da bere…», provoca Francesco Caremani sull’Unità. Nelle conferenze stampa della vigilia i due allenatori indossano gli occhiali scuri dei giocatori di poker: Carlo Ancelotti alza il sopracciglio ricordando che la partita «durerà sei giorni», mentre Héctor Cúper, che non ha mai perso una semifinale europea nella sua carriera, risponde bersanianamente dicendo: «Se cammini per una via senza luce, non hai paura, stai solo più attento a dove metti i piedi». Marco Tronchetti Provera, azionista e main sponsor dell’Inter con Pirelli, non usa invece metafore: «Basta con il non fare pronostici, tanto la scaramanzia non serve a niente. Il turno lo passiamo noi».
La sera prima della partita d’andata, sul prato di San Siro, Massimo Moratti, sua moglie Milly, sua sorella Bedy e alcuni dirigenti dell’Inter sfidano in una partitella improvvisata Adriano Galliani, il sindaco Gabriele Albertini, Umberto Gandini e altri dirigenti rossoneri. Purtroppo non ci è dato sapere il risultato finale. Nello stesso momento il Corriere ha organizzato una cena tra Diego Abatantuono e Beppe Severgnini in un ristorante dietro piazza Piemonte. «La cosa che mi rincuora è la pericolosa euforia che circonda il Milan», ironizza l’interista, «lo dicono tutti! Sacchi, Maldini e tutti gli altri: il Milan andrà in finale. A me questa è una cosa che dà speranza. Questa, e Costacurta. Che è il vostro Gresko». L’infelice paragone basterebbe a qualificare da solo Severgnini, ma Billy – varesotto, abituato a poche parole e a molti fatti – sarà ben contento di smentirlo alzando, prima del suo ritiro, non una bensì altre due volte la coppa della Champions League.
Prima di scendere in campo c’è ancora una polemica che infiamma i giornali. Per la qualificazione alla semifinale, i calciatori dell’Inter hanno già ricevuto 130mila euro a testa di premio, e se vinceranno la coppa arriveranno a 250mila euro. La politica del Milan, invece, è quella di premiare solo a fine stagione, a risultato raggiunto. E la cifra di cui si parla è molto più bassa: 80mila euro a testa. In realtà a Maldini e compagni spetta già qualcosa per aver superato il preliminare contro lo Slovan Liberec, ma si tratta di buoni da 15mila euro da spendere – pensate un po’ – in un negozio di elettrodomestici e hi-fi.
Si gioca. «Nevica polline», scrive Gaia Piccardi sul Corriere della Sera, e pur essendo solo inizio maggio ci sono 30 gradi. L’insolito caldo annebbia anche le menti più brillanti, e quando a cinque minuti dalla fine Cúper sostituisce Coco con Pasquale, terzo cambio dell’Inter, Materazzi corre verso la panchina urlando che è il quarto. «Ero confuso», dirà. La partita finisce 0-0, Recoba si divora un gol solo davanti a Dida, Inzaghi finisce otto volte in fuorigioco (il guardalinee Gennady Krasyuk «è un robot se non addirittura uno sbandieratore del Palio di Siena», secondo il Corriere) e il Daily Mail titola: «San Zero».
Milan-Inter 0-0
Arrivati a questo punto, non aver ancora citato Silvio Berlusconi è quasi un affronto. Il presidente del Consiglio in carica non ha nessuna intenzione di rinunciare alla ribalta in una settimana in cui Milano è al centro d’Europa. E così, dopo i primi 90 minuti, ecco finalmente un po’ di titoli anche per lui. Pare che, nel corso dell’intervallo della gara d’andata il presidente del Milan sia sceso negli spogliatoi urlando: «Non si può giocare così, deve entrare subito Serginho!». È andata così almeno secondo Repubblica, e qui i maliziosi potrebbero avere da ridire, solo che Ancelotti ha inserito il laterale brasiliano a un quarto d’ora dalla fine. Alla fine, Berlusconi avrebbe lasciato lo stadio scuro in volto più per il mezzo ammutinamento del suo allenatore che per il punteggio.
Il giorno dopo il Milan smentisce, ma alla vigilia del ritorno a Milanello il clima è molto meno sereno. Conferenza stampa di Clarence Seedorf. Domanda: «Non le sembra che adesso l’Inter sia più serena e voi invece più tesi?». Risposta: «No». Altra domanda: «Il Milan non segna più come prima?». Altra risposta: «Perché, all’Ajax non abbiamo fatto tre gol?». Adesso per Ancelotti e Cúper sembra davvero l’ultima spiaggia, perché nel fine settimana tra le due partite la Juventus ha festeggiato lo scudetto e anche la Gazzetta dello Sport titola «Chi non vince licenziato è». Ci sono persino già i nomi dei sostituti. Per l’Inter Roberto Mancini o Fabio Capello, per il Milan Luigi Delneri, che qualche giorno prima ha ricevuto nientepopodimeno che l’endorsement di Berlusconi: «Posso dire soltanto che, per lo spirito che ha saputo comunicare alla sua squadra, ho apprezzato particolarmente l’allenatore del Chievo».
C’è poi qualcun altro il cui sonno non dev’essere leggerissimo prima del ritorno del 13 maggio. È Andriy Shevchenko, l’attaccante ucraino che proprio un anno prima, il 13 maggio 2002, ha ricevuto la triste notizia della morte improvvisa del suo mentore alla Dinamo Kiev, Valeriy Lobanovsky. All’andata Shevchenko ha vinto il ballottaggio con Rivaldo, ma nel secondo tempo, invece di calciare verso la porta di Toldo da ottima posizione, ha cercato un assist per Inzaghi vanificando una grande opportunità. Arrivato al Milan nel 1999, è sempre andato in doppia cifra di gol ma non ha ancora vinto nulla, e a ottobre si è addirittura presentato da Galliani per chiedergli di essere ceduto. L’infortunio al menisco di inizio stagione, la concorrenza con Inzaghi nel nuovo modulo di Ancelotti che spesso prevede una punta sola e il dolore per Lobanovsky: quanto peso da sopportare per un bravo ragazzo come lui. La mattina della partita, Repubblica lo definisce «re decaduto». Beato Inzaghi che non ha questi problemi: Pippo ha passato l’antivigilia a casa sua, ha abbassato le tapparelle, si è steso sul divano e ha guardato in televisione Lucchese-Spal, spareggio salvezza del girone A della Serie C1.
Ed eccoci ai 90 minuti decisivi. Se l’arbitro dell’andata, il russo Valentin Ivanov, era soprannominato “il professore” perché insegnante di educazione fisica, al ritorno tocca al francese Gilles Veissière, chiamato “vigile urbano” per la sua propensione a gesticolare molto. Ironia della sorte, quel giorno a Milano la polizia municipale lavora a ranghi ridotti a causa di uno sciopero indetto dal sindacato Sin-Cobas e dei vigili urbani in più farebbero molto comodo in città: alle 20, su 24 incidenti stradali, 13 risultano assistiti da una pattuglia, mentre 11 restano in attesa. Mediamente in una serata normale i ritardi non sono più di due o tre. Ma questa non è una serata normale, per i ghisa e per la storia del calcio: Shevchenko segna dribblando Córdoba e tutti i dubbi sul suo futuro, Martins pareggia, poi Abbiati (in campo al posto di Dida infortunato) salva su Kallon e, dopo soltanto due minuti di recupero, i calciatori vestiti di rossonero corrono – non soltanto metaforicamente – verso la gloria. Galliani, che prima della gara aveva detto: «Faccio una promessa. Non eccederò nell’esultanza in caso di vittoria del Milan né mi lascerò prendere dallo scoramento in cado di sua sconfitta», ha seguito gli istanti finali sul lettino dell’infermeria dello spogliatoio, imbottito di tranquillanti.
Inter-Milan 1-1
Il giorno dopo è tutto uno sfottò. A Palazzo Marino, il Comune di Milano, viene presentata una mozione che recita: «Considerate le soddisfazioni derivanti dalle prestazioni nerazzurre e il patrimonio che l’Inter rappresenta per la città (e per i milanisti); ritenendo che nessuno debba interrompere questo cammino di sistematiche sconfitte, il consiglio comunale impegna Sindaco e Giunta a farsi parte attiva perché l’Inter possa contare per i prossimi dieci anni sul terzetto Moratti, Cúper, Recoba». Il firmatario ha 30 anni, è il capogruppo della Lega Nord e si farà presto strada nella politica nazionale: Matteo Salvini. Natalia Estrada, all’epoca fidanzata con Paolo Berlusconi, ricorda che aveva sconsigliato a Moratti di prendere Cúper. Ma le ultime parole di questa settimana all’apparenza irripetibile – e invece tra due anni saremo ancora qui… – sono di Enrico Mentana, che al Corriere della Sera dice: «Se c’è un equivoco ingombrante è da attribuire a Recoba, il giocatore più pagato al mondo. Altro che Tangentopoli».