Il diluvio di gol in Champions League è colpa delle difese?

Nelle quattro partite di semifinale sono stati segnati 18 gol. Tanti, forse troppi. E se invece fosse merito degli attaccanti?

L’andamento delle quattro semifinali di Champions League è stato a dir poco scoppiettante, a tratti irreale: abbiamo ancora negli occhi la gara d’andata tra Manchester City e Real Madrid, i gol della squadra di Guardiola che sembrano meccanici e la sgasata di Vinícius che ridicolizza Fernandinho e incendia il prato verde dell’Etihad Stadium prima di trafiggere Ederson, e poi la girata perfetta e il cucchiaio soffice di Benzema, il colpo di testa di Foden, insomma un baccanale calcistico vasto e pregiato; l’altro ieri, invece, abbiamo visto il Villarreal che travolge il Liverpool nel primo tempo e poi viene travolto nella ripresa, i gol di Dia e Coquelin e poi l’ingresso spacca-partita di Luis Díaz all’intervallo, un’entrata in scena che ha permesso ai Reds di segnare tre gol e di sbagliarne almeno altrettanti in maniera clamorosa. Infine, giusto per non farci mancare niente, è arrivato il momento di Real Madrid-Manchester City: 0-1 a pochi secondi dal minuto 90′, poi è arrivata la doppietta di Rodrygo che ha portato la gara ai supplementari, infine il rigore decisivo conquistato e realizzato da Karim Benzema. Giusto per dare una dimensione numerica alla cosa: sono stati segnati 18 gol in quattro partite più mezz’ora di tempi supplementari.

Già da una settimana si discute – in Italia, soprattutto – del fatto che tutti questi gol siano indice e dimostrazione di un decadimento generalizzato del calcio inteso come sport difensivo, mentre in passato certe partite si giocavano – e si vincevano – partendo dalla solidità arretrata, dalla volontà e dalla capacità di subire il meno possibile. Chi ragiona e si esprime in questi termini, in questa direzione, sostiene che lo spettacolo a cui abbiamo assistito nelle ultime quattro partite di Champions sia frutto di una carenza strategica da parte delle squadre che sono scese in campo, con ovvio riferimento alla fase difensiva del gioco, alle marcature sugli avversari, alle coperture e ai presidi degli spazi.

Prima di approfondire e pesare questa lettura della realtà, bisogna capire se ci sono riscontri numerici, se le squadre della Champions League contemporanea incassano davvero più gol nelle fasi finali del torneo rispetto a quelle del passato. In effetti quest’anno il Liverpool e il Real Madrid sono arrivati all’ultimo atto di Parigi subendo un bel po’ di gol, rispettivamente sei e undici, nelle sei gare a eliminazione diretta. Sono numeri decisamente superiori rispetto alle due finaliste dello scorso anno, Chelsea e Manchester City: se la squadra di Guardiola incassò solamente tre gol tra ottavi, quarti e semifinali, quella di Tuchel fece addirittura meglio, con due sole reti al passivo. In realtà questo andamento è un’eccezione: per trovare un’altra squadra in grado di subire meno di cinque reti nelle tre sfide andata e ritorno del tabellone finale bisogna arrivare fino alla Juventus 2016/17, giunta all’ultimo atto di Kiev con un solo gol incassato dopo la fase a gironi – ma quella era la squadra di Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini ai loro massimi storici, all’apice delle rispettive carriere. Se torniamo indietro a dieci o quindici anni fa, i numeri restano sostanzialmente identici: il Bayern e il Chelsea conquistarono la finale di Monaco 2012 dopo aver incassato quattro e sette gol nei turni a eliminazione diretta, mentre il Barcellona di Guardiola, sia nel 2009 che nel 2011, ne incassò cinque. Esattamente come il Milan di Ancelotti, che raggiunse la finale di Atene 2007, quella della rivincita contro il Liverpool di Benítez, con i soliti cinque gol subiti in sei partite.

Villarreal-Liverpool 2-3

Tutti questi numeri dicono che il peggioramento del calcio difensivo è piuttosto tenue, o comunque circoscritto alla Champions League 2021/22. E che da molto tempo ormai, ormai, i top club si sono stabilizzati su certi standard, per cui subire un gol a partita, in certe partite, è un rischio calcolato e anche accettato, da parte degli allenatori. Questo nuovo atteggiamento si origina dai nuovi codici e regolamenti approvati negli ultimi trent’anni – il retropassaggio al portiere, i tre punti per vittoria, fino alla recente abolizione della regola del gol in trasferta nelle gare a eliminazione diretta – e poi trova riscontro nelle statistiche storiche: la media dei gol segnati è cresciuta in tutti i grandi tornei (in Serie A siamo passati dalle 2,76 reti per match della stagione 2001/02 alle 3,06 dell’ultimo campionato, mentre i 2,50 della Champions League 01/02 sono diventati 2,88 nell’edizione in corso), negli ultimi anni gli attaccanti hanno toccato vette realizzative mai raggiunte in passato, e in questo senso basta pensare ai record battuti e ribattuti da Messi, Ronaldo, Benzema, Lewandowski.

In virtù di tutto questo, è chiaro che le partite cui stiamo assistendo in questi anni sono il frutto di un cambiamento in atto da tempo, ci raccontano come il calcio stia progredendo inesorabilmente – e inevitabilmente –  in una direzione chiara: quella della spettacolarizzazione in chiave offensiva, per cui gli allenatori contemporanei teorizzano principi e attuano strategie che puntano a prevalere sull’avversario di turno, prima che controllarlo e limitarlo. Ma in realtà basterebbe riavvolgere il nastro delle partite incriminate di questa edizione per capire che la valanga di gol che ci ha investito nelle ultime due settimane nasce da ciò che si è visto nel gioco d’attacco, più che dalle crepe e/o dagli errori commessi dai difensori: durante Manchester City-Real Madrid, l’anticipo tentato e sbagliato da Fernandinho – quello che ha portato al gol di Vinícius – è identico a quello riuscito pochi minuti prima, sempre al centrocampista/terzino brasiliano, e che ha determinato la rete di Foden. Lo stesso discorso vale per il posizionamento di Eder Militão e/o Alaba sulle reti del City: il Real Madrid gioca una fase di contenimento molto meno ambiziosa e rischiosa rispetto ai Citizens, eppure il possesso palla insistito della squadra di Guardiola ha manipolato ripetutamente le linee basse predisposte da Ancelotti, e così De Bruyne e Gabriel Jesus hanno potuto concludere facilmente fronte porta. Nel match di ieri sera al Bernabéu, il City ha concesso pochissimo fino all’ultimo minuto di partita, poi però il Madrid si è riversato in massa nell’area avversaria e ha trovato due gol in due minuti con due cross dalla destra, uno coperto male da Cancelo e l’altro sfiorato da Asensio prima del colpo di testa decisivo di Rodrygo. Lo stesso Rodrygo che, nel return match dei quarti di finale, aveva trasformato in gol un assist imperiale, visionario, di Luka Modric. E che dire del Villarreal? Probabilmente la squadra di Emery è quella che difende in maniera più tradizionale e compatta, anche perché i suoi valori sono più bassi rispetto a quelli dei top club, eppure non è riuscita a contenere il Liverpool ogni qual volta che i giocatori di Klopp sono riusciti ad alzare il ritmo delle proprie azioni collettive, delle proprie giocate individuali.

Real Madrid-Manchester City 3-1

Per dirla brutalmente: il calcio d’attacco, in quest’era e a certi livelli, è troppo veloce e troppo sofisticato tatticamente per poter essere arginato. Quella tra attaccanti e difensori, non importa se schierati bassi o alti in campo, se proattivi o speculativi, è una sfida impari. Anche perché è scientificamente provato che coordinare il proprio corpo in reazione a uno stimolo esterno non direttamente controllabile, come per esempio l’anticipo di una punta su un cross ben eseguito o un movimento a tempo su un assist in profondità, è molto più difficile che creare o gestire un’azione palla al piede. Questo tipo di talento, nel calcio di oggi, viene anche esaltato da modelli tattici sempre più offensivi, sempre più ambiziosi e ricercati, un po’ come quando dai la macchina più veloce e più affidabile al pilota più bravo, e allora non c’è modo di fermarlo.

Probabilmente una delle visioni più interessanti e centrate sulla questione è quella di Gary Neville, ex difensore-simbolo del Manchester United e poi allenatore di scarsa fortuna: in un suo articolo e pubblicato dal Telegraph nel 2014, Neville scrisse che: «non è colpa dei calciatori se un certo tipo di marcatura o di contenimento non fanno più parte del loro modo di giocare. Il punto è che oggi la velocità è molto più alta, il livello tecnico è fantastico, è tutto così elettrizzante. Stiamo andando incontro a un’era di calcio audace, come negli anni Quaranta e Cinquanta del XX secolo. Evidentemente, il gioco è andato in letargo dagli anni Settanta agli anni Novanta, quando prevalevano organizzazione e struttura difensiva. Oggi stiamo rivedendo il calcio per com’era stato pensato e previsto, forse». In quest’ultima frase, per quanto dubitativa, c’è quello che abbiamo visto in queste semifinali di Champions League: gare aperte, spettacolari, in cui i difensori sono riusciti a contenere il talento degli attaccanti, e le loro combinazioni, solo fino a un certo punto. Forse perché fermarli davvero, e per tutta la partita, è diventato semplicemente impossibile.