I narcos stanno bloccando il campionato colombiano

Lo "sciopero armato" dei cartelli è arrivato fino al calcio. Stanno tornando i tempi del Narcofútbol?

Allo stadio Jaraguay di Còrdoba, domenica 8 maggio, era in programma la partita tra i padroni di casa del Jaguares e l’Independiente Medellin. In campo si è vista una sola squadra, e il problema è che questa frase non è una metafora utile per descrivere il dominio nel gioco e/o nel risultato di una delle due contendenti: gli ospiti, infatti, non si sono presentati, in pratica hanno deciso di perdere la partita a tavolino. E il motivo non ha niente a che fare con il calcio, con qualche evento imponderabile o con una protesta: è una conseguenza di quello che sta succedendo in queste settimane in Colombia.

Tutto è iniziato il 23 ottobre scorso, quando Dario Antonio Úsuga, meglio conosciuto come Otoniel, è stato arrestato. Si tratta del più importante e ricercato narcotrafficante della Colombia, a capo del “Clan del Golfo”, gruppo di narcos attivo nei dipartimenti di Córdoba, Antioquia e Chocò, nel Nord-Ovest del Paese. Per arrestare Úsuga sono stati impiegati più di 500 uomini delle forze armate colombiane tra esercito, polizia, aeronautica, intelligence, e fino a 22 elicotteri. Una maxi operazione portata a termine anche grazie alla sinergia con la Drug Enforcement Administration (DEA), l’agenzia federale antidroga statunitense che aveva messo una taglia di cinque milioni di dollari su Otoniel. A cinque mesi di distanza, una settimana fa, il presidente colombiano Ivan Duque ha annunciato che Úsuga sarebbe stato estradato negli Stati Uniti. In risposta a questo provvedimento, il “Clan del Golfo” ha proclamato uno “sciopero armato” vale a dire una serie di attentati e blocchi «di tutte le attività sociali, economiche, educative e culturali» in alcune zone della Colombia. In quattro giorni ci sono stati diversi atti violenti in ogni parte del Paese, con oltre 180 veicoli attaccati e sei morti.

Il dipartimento di Còrdoba, in particolare, è una delle zone più a rischio dell’intera Colombia. Motivo per cui l’Independiente ha deciso di non presentarsi nella partita contro i Jaguares: in un comunicato ufficiale, il club ha scritto che «El Equipo del Pueblo informa che, dopo aver valutato la situazione sociale e dell’ordine pubblico nel dipartimento di Córdoba, ha preso la decisione istituzionale di non recarsi nella città di Montería. Purtroppo, la situazione che il Paese sta vivendo è di dominio pubblico e soprattutto nelle aree in cui dovremmo andare a giocare. Abbiamo comunicato con i responsabili delle questioni logistiche che questi viaggi richiedono e non può essere garantita la sicurezza della delegazione. Le compagnie di trasporto hanno cessato le attività in quanto hanno subito gravi attacchi ai loro veicoli. Capiamo e siamo solidali con il Paese, in particolare con gli abitanti di Córdoba e Montería per la situazione che stanno vivendo. La vita e l’integrità delle persone saranno sempre più importanti di una partita di calcio».

La situazione nel Paese mette in pericolo il futuro prossimo dello stesso campionato colombiano. Il rischio è quello di tornare ai tempi del Narcofútbol a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, quando il calcio era diventato un campo di battaglia per i cartelli della droga che, in pratica, gestivano il Paese, e che ovviamente si facevano la guerra tra loro. Uno degli episodi più emblematici è avvenuto nel 1989, all’apice dello scontro tra Pablo Escobar e i trafficanti di Cali: l’arbitro Alvaro Ortega fu ucciso dai sicari di Escobar per aver annullato un gol al novantesimo all’Independiente Medellin, impegnato in una partita contro l’America Cali. Jesus Dìaz, amico personale dell’arbitro, raccontò così cosa avvenne quel giorno: «Io e Alvaro stavamo andando a piedi al ristorante dopo la partita quando sentimmo un forte stridore di pneumatici, guardammo verso la macchina e vedemmo le pistole. Ortega aveva già capito e aveva cominciato a correre ma fu colpito a una gamba. Il sicario scese tranquillamente dall’auto e gli sparò altri nove colpi».