Erling Haaland è la più grande sfida tattica nella carriera di Guardiola

Non sarà facile inserire l'attaccante norvegese nel gioco armonico e cadenzato del Manchester City.

Subito dopo l’annuncio del passaggio di Erling Braut Haaland al Manchester City a partire dal primo luglio 2022, in tanti hanno riesumato e agitato un fantasma del passato di Pep Guardiola: la sua fallimentare esperienza a Barcellona con Zlatan Ibrahimovic, che allora – nell’estate del 2009 – era un centravanti puro arrivato nella sua squadra per renderla invincibile, un atleta dall’enorme appeal eppure ancora alla ricerca della legittimazione definitiva su scala globale, un attaccante dal fisico statuario e che accentrava naturalmente il gioco dei suoi compagni su di sé, e anche il prodotto più pregiato della costosa vetrina di Mino Raiola. Il paragone era ed è inevitabile, visto che tutti questi punti coincidono in maniera quasi sinistra. Il problema è che l’esito di quell’incastro, è che il rapporto di Ibra con Pep risultava già compromesso quando era passato solo un anno dal loro incontro, visto che – secondo il racconto fatto nella sua autobiografia – Zlatan era arrivato ben oltre la saturazione, al punto di dire al suo allenatore di non avere le palle, che si era cagato sotto davanti a Mourinho; qualche anno dopo, Ibra e Raiola avrebbero rincarato la dose, e infatti per l’agente italo-olandese Pep era «un codardo, un cane, un uomo che vale zero». Questa esplosione di Ibra contro Pep, arrivata nella primavera del 2010, era stata coltivata nel corso dell’anno perché tra i due c’era un’enorme distanza di vedute tecnico-tattiche che era diventata distanza emotiva: Guardiola aveva deciso – anche in base a com’era andata nella stagione precedente, quella del Triplete – che l’attaccante centrale del suo Barcellona dovesse essere Lionel Messi, aveva già rinunciato a Eto’o e aveva deciso di rinunciare pure a Ibra per attuare questo programma. E quando Pep rinuncia a qualcuno è come se quel qualcuno, per lui, smettesse di esistere.

Effettivamente si tratta di un precedente inquietante per i tifosi del Manchester City, per i fan di Guardiola e forse anche per gli attuali datori di lavoro del tecnico catalano. Al punto che non sono bastati due anni meravigliosi vissuti con Lewandowski, al Bayern Monaco, perché qualcuno staccassa dal suo curriculum virtuale l’etichetta di allenatore allergico a un certo tipo di attaccanti. D’altronde pure la sua lunga avventura al Manchester City è stata caratterizzata dall’assenza di punte di quel tipo, convenzionalmente definite pesanti, oppure semplicemente classiche: Agüero era un prototipo unico al mondo, un’esplosione di tecnica e reattività compattate in un fisico non proprio imponente, anzi piuttosto comune; Gabriel Jesus era ed è un attaccante atipico, tecnicamente valido ma anche piuttosto leggero dal punto di vista atletico, non a caso è stato spesso dirottato sugli esterni, soprattutto negli ultimi anni.

Anche per questo l’ingresso di Haaland nel Manchester City di Guardiola sarà un’operazione complicata. Anzi, dal punto di vista tattico sarà ancora più difficile rispetto all’inserimento di Ibra nel Barcellona di Messi, Xavi, Iniesta, Busquets, Dani Alves e di tutti gli altri. Per un motivo molto semplice: Ibrahimovic, esattamente come Lewandowski, era un centravanti dal profilo a suo modo sovrapponibile al gioco di posizione di Pep, nel senso che aveva tutte le qualità necessarie per stare a suo agio tra le linee, in spazi stretti, e per poter dialogare con i calciatori piccoli e sguscianti che gli avrebbero passato quei palloni in quel modo, e lui avrebbe potuto restituirli, o trasformarli in una conclusione pericolosa. Dopotutto, ripensandoci bene, la caratteristica che ha reso unico Ibrahimovic era proprio il cocktail tra una devastante potenza atletica e una squisita tecnica di base: Zlatan era un androide o meglio ancora un freak mai visto prima, era un numero dieci imprigionato nel corpo di un numero nove con movenze e tendenze tutte sue, solo sue. Haaland, invece, è «un giocatore fatto tutto a spigoli vivi», come ha scritto Jonathan Wilson su Sports Illustrated, e dovrà diventare parte di in una squadra che pratica un gioco sinuoso, stordente, un gioco fatto di pause e accerchiamenti e improvvise accelerazioni, un gioco che restituisce una sensazione di circolarità, di rotondità. L’esatto contrario degli spigoli.

Come succede sempre nel calcio, questa incompatibilità presunta è una questione di spazi e di tempi che non combaciano e non si incastrano: Haaland è un mezzo cingolato con un motore potentissimo, le sue leve lunghe, le spalle larghe e prestanti, la sua postura di corsa tozza e ingobbita, sono tutte caratteristiche che lo rendono incontenibile quando può attaccare la porta sul lungo e in verticale, quando può sprintare e incenerire i suoi avversari sullo scatto. Insomma, Haaland si esalta proprio in quelle situazioni che Guardiola cerca di limitare il più possibile, innamorato com’è dell’idea di poter controllare ogni partita attraverso il possesso, di risalire il campo in maniera armonica e con molti uomini pure a costo che la manovra della sua squadra non sia rapidissima, di poter penetrare qualsiasi difesa, anche se schierata, attraverso azioni sofisticate, fondate sulla tecnica, sulla capacità di eludere o ingannare gli avversari facendo passare la palla in spazi ridottissimi, quasi inesistenti. Va pure aggiunto che, fin dalla prima gara post-pandemia, il Manchester City ha accentuato questa tendenza al ragionamento, alla gestione dei ritmi: per assecondare il calendario super-ingolfato delle ultime due stagioni, Guardiola ha diminuito le fasi di pressing esasperato e di possesso ad alta intensità, ha lavorato sulla capacità di far male agli avversari con un numero più basso di fiammate offensive, è come se avesse accettato di attaccare meno per attaccare meglio, così da evitare la dilatazione delle distanze tra i reparti, che il campo si allunghi più del dovuto. In pratica, ha ridotto le possibilità che si manifesti la situazione di gioco preferita da Haaland.

Un po’ di azioni di Haaland in campo aperto

In virtù di tutto questo, si potrebbe pensare che la squadra mercato del City abbia ideato e concluso quest’operazione anche – o solo – perché quella di Haaland era una figura da conquistare subito, non appena possibile, perché la squadra e anche la società avevano bisogno di un simbolo con un certo peso anche fuori dal campo, di un calciatore che possa pensare, in un giorno lontano, di avvicinarsi a Guardiola in quanto a prestigio e riconoscibilità. È certamente così, ma questo aspetto della vicenda merita un approfondimento ulteriore, proprio perché ha un’enorme importanza. Tornando al discorso tattico, di campo, la verità è che questo acquisto così strano, per un allenatore come Pep Guardiola, è tutt’altro che improvvisato. Lo racconta The Athletic in questa ricostruzione: il Manchester City e il suo tecnico pianificavano l’assalto a Haaland da tantissimo tempo, fin da quando non si sono concretizzati gli arrivi di Messi, nell’estate 2020, e poi di Harry Kane, poco meno di un anno fa. Dunque Guardiola ha avuto modo e tempo per iniziare a pensare a come rivoluzionare ancora il suo calcio, che già da tempo si discosta da quello praticato ai tempi di Barcellona e di Monaco di Baviera, ma che al City non aveva dovuto ancora fare i conti con una rivoluzione di questa portata. Con un giocatore capace di riscrivere gli equilibri e il progetto già prima di arrivare fisicamente a Manchester.

Per dirla brutalmente: Pep Guardiola si trova davanti alla missione tattica più difficile della sua carriera. Se volessimo fare un paragone culinario, l’acquisto di Haaland costringerà il manager del Manchester City a trasformarsi in uno chef stellato contemporaneo, per esempio Ferran Adrià, un altro grande innovatore nato in Catalogna: per chi non lo conoscesse, si tratta di un uomo che ha rivoluzionato il mondo della ristorazione proprio perché non ha avuto paura di fare abbinamenti azzardati, di inventarsi nuove tecniche di preparazione e impiattamento e servizio, di inserire ingredienti dolci in un piatto salato o viceversa, di inventare letteralmente la cucina molecolare e quindi di pensare al proprio lavoro come una missione di ricerca, di sperimentazione. Insomma, è uno che rompe e allarga continuamente i confini della propria comfort zone. Quest’ultimo aspetto è quello più significativo, come sottolineato anche da Barney Ronay sul Guardian: proprio perché si tratta di una sfida difficile, proprio perché lo costringerà a rivedere e rielaborare il suo – ormai lunghissimo – progetto al Manchester City, Guardiola potrebbe trovare nuovi stimoli nell’arrivo di Haaland. Anzi, forse li ha già trovati e non aspetta altro che l’occasione per metterli in pratica. Magari stiamo per assistere alla detonazione di un nuovo paradigma tattico che permetterà di conciliare – o comunque di avvicinare un po’ di più – il calcio di possesso e quello verticale, le due grandi tendenze tattiche della nostra era. O magari tutto si schianterà al suolo tra equivoci e dolori e rancori, come ai tempi di Ibra al Barcellona. In ogni caso, visto i soggetti coinvolti, è difficile pensare che non ci divertiremo.