Carlo Ancelotti, il Real Madrid e la normalità della vittoria

Il trionfo in Champions, e il modo in cui è stato festeggiato, racconta la superiorità assoluta di un gruppo di giocatori e di un allenatore con pochi eguali nella storia.

Quando l’arbitro Turpin ha fischiato la fine della finale di Champions League, le telecamere della regia internazionale sono andate a pescare le facce dei giocatori del Real Madrid. Erano facce ovviamente felici ma non sfigurate dalla gioia, esprimevano era una soddisfazione misurata, tranquilla, normale. Anche durante il rito della premiazione non ci sono stati grossi picchi, a un certo punto si è visto Carlo Ancelotti parlare con alcuni dei suoi giocatori come se stessero seduti al tavolino di un bar. Gli unici momenti un po’ sopra le righe li ha offerti Marcelo, ormai capitano non giocatore come quelli di Coppa Davis, che prima ha mimato un inchino a Benzema mentre Karim stava abbracciando Florentino Pérez, poi ha fatto finta di voler rubare la coppa e di portarsela via. Dopo che il terzino brasiliano l’ha sollevata al cielo, la regia ha pizzicato Karim Benzema che andava chissà dove e lo faceva senza sorridere, il suo volto e il suo sguardo erano ancora concentrati, come se la sua stagione non fosse finita in gloria. E invece aveva appena vinto la Champions League.

La finale di Parigi, al netto delle bruttissime immagini relative ai disordini fuori dallo Stade de France, è andata esattamente allo stesso modo della premiazione: il Real Madrid ha affrontato e vinto la partita in maniera semplice, lineare, normale. Come fanno le grandi squadre, si potrebbe scrivere, se non fosse un’espressione banale ed evidentemente preconfezionata. Ma attenzione: non è mai facile essere una grande squadra, non è facile sentirsi e comportarsi come tale. Il Madrid visto a Parigi ci è riuscito perché ha studiato l’avversario e il contesto, è come se avesse interiorizzato il trend degli ultimi anni – siamo al terzo 1-0 consecutivo in finale di Champions dopo quelli di Bayern-Psg e di Chelsea-Manchester City – e poi si fosse messo a giocare per appropriarsene: il Liverpool avrebbe iniziato fortissimo e perciò andava assorbito nei primi minuti, poi la sua spinta sarebbe scemata e a quel punto il miglior modo per controllare la gara – e per poterla vincere – era tenere i ritmi bassi, muovere il pallone in attesa di una falla, di un errore, di un momento di distrazione, un evento inevitabile quando sei il Liverpool di Klopp, vale a dire una squadra che col tempo ha imparato a controllare il gioco, ma che per vincere – soprattutto contro certi avversari – deve alzare i ritmi, deve shakerare le partite, e contro il Real Madrid non è riuscita a farlo se non per pochi minuti nella parte iniziale del match, forse i Reds erano troppo stanchi o troppo tesi, chissà.

Carlo Ancelotti, in tutto questo, c’entra tantissimo. Era ed è ancora un allenatore perfetto per preparare questo tipo di partite, per fare esattamente quello che si deve fare, senza astruserie, con la calma di chi possederebbe tutti gli strumenti per inventarsi chissà quale diavoleria tattica e invece mette i suoi calciatori davanti a tutto, gli dà una struttura e gli fornisce delle istruzioni per valorizzare al massimo il loro talento. E anche per bloccare gli avversari, per difendersi bene: a conti fatti, la conclusione di Mané deviata sul palo resta l’unica occasione costruita dal Liverpool al termine di un’azione lunga, manovrata, mentre tutti gli altri tiri contenuti o deviati da Courtois – sono stati tanti: il portiere belga ha chiuso la gara con nove parate all’attivo – hanno avuto origine da spunti personali o azioni improvvise, da lanci lunghi o combinazioni velocissime. Tutte situazioni che non si possono controllare ma solo contenere, soprattutto contro il Liverpool. Il Real Madrid ha difeso benissimo in ogni istante della partita, l’ha fatto accettando di dover concedere delle occasioni ma seguendo un piano per limitarne l’entità, l’ha detto proprio Ancelotti nel postpartita: «Il nostro obiettivo era non concedere spazio dietro la difesa, e ci siamo riusciti. In questo, i nostri difensori sono stati fantastici». E poi i giocatori in maglia bianca sono stati spietati quando hanno avuto l’occasione di fare gol: una volta ha segnato Benzema, ma la rete è stata annullata, e poi è arrivato il tocco sotto porta di Vinícius su tirocross di Valverde.

Luka Modric è uno dei nove giocatori del Real Madrid che hanno vinto la quinta Champions League in carriera, gli altri sono Bale, Nacho, Casemiro, Carvajal, Benzema, Kroos, Isco e Marcelo; il record assoluto appartiene a Francisco Gento, vincitore di sei edizioni della Coppa dei Campioni a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta (Shaun Botterill/Getty Images)

Certo, un approccio di questo tipo è rischioso. Soprattutto contro squadre che hanno grande qualità e pure un sistema di gioco strutturato. L’abbiamo visto in finale, e in questo senso il fatto che Courtois sia stato il migliore in campo ha certamente un significato. L’abbiamo visto anche nei turni precedenti, ché il Real Madrid era praticamente fuori contro tutte le – fortissime – avversarie che ha incontrato, il Paris Saint-Germain, il Chelsea, il Manchester City. Quelle partite non sono state vinte in modo lineare, normale, sono serviti dei momenti magici e/o dei veri e propri miracoli, e sì che in quelle notti abbiamo visto le esultanze sfrenate che ci saremmo aspettati di vedere dopo la finale, era giusto e inevitabile che fosse così. Anche in quei momenti così assurdi ma non casuali, visto che si sono ripetuti una, due, tre volte, Carlo Ancelotti è rimasto quasi sempre impassibile. Di certo non è mai andato tanto sopra le righe. Lui è così, è sempre stato così, ha vinto tutto e ha perso tantissimo eppure lo ricorderete sorseggiare una tazza di tè o di caffè, chi lo sa, dopo che il suo Everton aveva segnato un gol incredibile all’ultimissimo minuto di recupero di una partita contro il Tottenham finita 5-4. Questa calma è la sua forza, per lui vincere è diventata la normalità. E allora prova a farlo con la normalità. L’ha fatto ancora, l’ha fatto di nuovo, in finale l’ha fatto con un piano partita più indovinato, con il consueto pizzico di fortuna, e con Valverde schierato al posto di un esterno più offensivo che fa l’assist decisivo per Vinícius Júnior: una mossa che ha già fatto e che nessuno ricordava, che forse nessuno ricorderà in futuro, ma che a conti fatti è valsa la vittoria in Champions League. La quarta di una carriera luccicante, che ormai è trascesa ben oltre la soglia della leggenda.

Proprio in virtù di tutto questo, Carlo Ancelotti era ed è l’allenatore perfetto per il Real Madrid. Per una squadra composta da giocatori come Benzema, Carvajal, Modric. Da uomini che, come ha raccontato Dani Ceballos, il pomeriggio della finale «erano calmissimi, infatti stavano giocando a carte mentre io non riuscivo neanche a riposare». Nel corso di questa Champions League si è parlato della mistica del Bernabéu, di rimonte e cose che succedono solo al Real Madrid. In effetti era davvero difficile parlare di tattica o di tecnica dopo gare come Real Madrid-Psg, Real Madrid-Chelsea e (soprattutto) Real Madrid-Manchester City, bisognava scomodare per forza concetti immateriali, eterei. Ma la realtà è che la superiorità mentale di Benzema, Modric, Kroos, Carvajal, Courtois, Alaba e Casemiro deriva dal fatto che sono grandissimi campioni se non addirittura fuoriclasse generazionali, che ancora oggi sono praticamente i migliori al mondo nei rispettivi ruoli, e che intorno a loro sta crescendo una nuova generazione di calciatori fortissimi: Vinícius, ovviamente, ma anche Eder Militão, Mendy, Camavinga, Rodrygo. È evidente che questo Real Madrid sia meno forte e meno dominante rispetto a quello degli anni a cavallo tra il 2014 e il 2018, non a caso il mancato arrivo di Mbappé è un rammarico enorme, una ferita ancora aperta, ma resta il fatto che al mondo ci sono pochissimi giocatori e pochissime squadre che hanno dei campioni così grandi, per cui vincere è una cosa naturale, esattamente come per il loro allenatore. L’hanno dimostrato ancora una volta a Parigi, battendo il Liverpool probabilmente più forte di sempre, e festeggiando questo successo in maniera misurata, tranquilla, come se vincere la Champions League fosse la normalità, e per loro è proprio così, quando invece è un’impresa leggendaria.