Come la tecnologia ha rivoluzionato la vita degli osservatori calcistici

Piattaforme di dati e statistiche avanzate, tools per guardare video: la fase uno dello scouting, prima di vedere un giocatore dal vivo, è sempre più veloce, multimediale, universale.

Kevin De Bruyne voleva il meglio e si è affidato ai numeri. All’ultimo grande contratto della sua carriera, il centrocampista belga ha assunto dei data analyst per valutare se estendere il suo accordo con il Manchester City o cambiare aria. Un gruppo di esperti ha studiato ogni aspetto del gioco – del giocatore, della squadra e di altre possibili destinazioni – e hanno convenuto che continuare con i Citizens fosse la soluzione migliore, quella che gli garantiva le maggiori probabilità di vittoria di titoli importanti. Alla fine De Bruyne ha accettato il rinnovo. Prima di lui aveva fatto una scelta simile Memphis Depay, che ha risollevato la sua carriera dopo il Manchester United leggendo report statistici: i numeri gli avevano suggerito il Lione, dove è esploso definitivamente. Anche Raheem Sterling e Joshua Kimmich si sono presentati al tavolo delle trattative per il rinnovo con le rispettive squadre con un mucchio di dati alla mano, per legittimare le loro richieste.

Queste storie sono l’embrione di una rivoluzione appena iniziata: i calciatori degli anni Venti del Duemila accettano di farsi guidare da informazioni scientifiche e misurabili per decidere i prossimi passi della loro carriera, se cambiare maglia o meno. Che poi vuol dire influenzare quel grande circo che è il calciomercato. È una rivoluzione perché il calcio fa sempre un po’ fatica ad appassionarsi ai numeri, per cultura, tradizione, un pizzico di conservatorismo. E perché non abbiamo ancora fatto in tempo ad abituarci all’idea che l’analisi dei dati sia già diventata indispensabile per i club. Nessuna squadra può fare a meno di uno staff incaricato di raccogliere, studiare e interpretare dati sui giocatori: lo studio delle statistiche è il nuovo motore del calciomercato. Lo sviluppo di software, piattaforme e modelli statistici ha reso lo scouting dei calciatori molto più ampio, rapido, anche più comodo e universale. Non ha trasformato il mestiere dell’osservatore in un lavoro da scrivania: ne ha moltiplicato le potenzialità spostando anche su computer e tablet quello che prima si poteva fare solamente sul campo, guardando le partite dal vivo. Si usa una componente statistica, scientifica, misurabile per corroborare una percezione aleatoria e soggettiva: la realtà aumentata dello scouting.

È nata così la nuova corsa agli armamenti tra i club di tutto il mondo, che si sfidano a chi ha il sistema migliore – in base alle proprie esigenze e risorse – per raccogliere e studiare statistiche. Anche se poi la stragrande maggioranza dei data scientist rimane anonima. Aveva fatto eccezione la nomina da parte del Manchester City di Laurie Shaw, accademica con un dottorato di ricerca in Astrofisica che aveva lavorato per il governo britannico: una new entry sufficientemente esotica da attirare l’attenzione delle cronache calcistiche. «La possibilità di accedere immediatamente a video e playlist è una delle feature più apprezzate dai club: puoi vedere ogni singolo passaggio, tiro o contrasto di un giocatore in tutte le sue partite», dice a Undici Gabriele Gnecco, Solutions Consultant di Hudl, società che ha acquisito Wyscout, la piattaforma principe nella transizione tecnologica dello scouting. «Intorno agli anni Ottanta», aggiunge «la tecnologia si è avvicinata al mondo del calcio, con i primi esempi di video analisi a supporto dello staff tecnico, ma non ancora dei dipartimenti di scouting. Oggi Wyscout ha completamente rivoluzionato i processi di osservazione consentendo a tutti l’accesso ai mercati internazionali: puoi visionare più di 550mila giocatori e avere tutte le informazioni e statistiche che li riguardano, semplicemente facendo login».

Per molto tempo l’Udinese è stata una pioniera in Italia. Negli anni ‘90 la sala video del centro sportivo bianconero – un muro di vecchi televisori Philips – aveva metodi di lavoro unici. «Avevamo Wyscout prima che ci fosse Wyscout», ha detto l’osservatore dell’Udinese Andrea Carnevale a The Athletic. Nello stesso articolo Pierpaolo Marino, direttore dell’area tecnica del club friulano, racconta che quel sistema ha regalato all’Udinese un grande vantaggio competitivo per molti anni. Oggi non è più così. Anche le grandi squadre si sono dotate di staff di osservatori e scout sempre aggiornati e sempre al lavoro con tutto l’arsenale possibile. Se il Manchester City ha assunto un’astrofisica, il Liverpool ha inserito nel suo staff un fisico nucleare laureato ad Harvard. Sull’uso di statistiche avanzate e video per fare mercato si sono formate, negli ultimi anni, diverse correnti di pensiero. La scuola inglese integra live scouting e modello statistico, usando i parametri come punto di partenza per l’analisi di un profilo, prima di passare alla visione dal vivo che è sempre determinante. La scuola di Olanda e Belgio adotta lo “scouting virtuale” soprattutto per quei Paesi in cui non si possono inviare osservatori, di solito per esigenze di budget, al resto ci pensa il live scouting. Poi c’è il metodo americano, che vive praticamente solo di statistiche: ci si affida a una piattaforma, si inseriscono tutti i dati, si creano i filtri più adatti, alla fine si individua una lista di giocatori più o meno corrispondenti al profilo cercato.

Nel 2012 il libro The Gold Mine Effect di Rasmus Ankersen, allora chairman del Midtjylland, ha raccontato la teoria che governa il modello manageriale del club danese. Il metodo di selezione di un calciatore sembra quasi l’opposto rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare da una squadra di calcio: indipendentemente dal talento o dal potenziale che si può percepire durante un’osservazione, un giocatore deve essere inserito in squadra sulla base degli indicatori statistici. Ankersen poi ha portato questo modello anche al Brentford, in Inghilterra, in una squadra che oggi compete nella mostruosa Premier League con un budget che è una frazione di quello delle concorrenti. E se qualcuno ha pensato a Billy Beane e ai suoi Oakland Athletics raccontati in Moneyball, vuol dire che ha seguito bene il film, o il libro: il modello Midtjylland-Brentford segue lo stesso spartito.

Il Brentford ha concluso la sua prima stagione nella moderna Premier League – l’ultima apparizione nella First Division risaliva a 74 anni fa – al 13esimo posto in classifica, con undici punti di vantaggio sulla zona retrocessione (Shaun Botterill/Getty Images)

Nello scouting e nel calciomercato le statistiche e la data science servono soprattutto a ridurre gli errori, evitare investimenti sbagliati, quindi minimizzare le perdite, che in un certo senso sono inevitabili. Perché ogni operazione di mercato, per quanto studiata e analizzata dagli osservatori, corre il rischio di perdersi nella “traduzione”: un giocatore che sembra fortissimo in un campionato, in una squadra, in un contesto tattico e tecnico di un certo tipo non è per forza in grado di replicare le stesse prestazioni altrove. Lost in translation, appunto. I nuovi software come quello di Wyscout o Sportscode aiutano a capire come può inserirsi un giocatore in un contesto diverso: «Oggi esistono modelli in grado di minimizzare i rischi associati allo scouting: si unisce il profilo di un calciatore con il sistema applicato dalla sua squadra. Le federazioni e i club più avanzati stanno utilizzando questi modelli per simulare le formazioni future e capire quali sarebbero i potenziali punti di forza di un nuovo innesto», spiega Gabriele Gnecco di Wyscout. Poi fa un esempio pratico: è possibile capire se un giocatore abituato a giocare in una squadra che ha un approccio molto diretto in fase offensiva e tende a difendere basso è adatto anche a giocare in una squadra che preferisce conservare il possesso e difendere in modo aggressivo.

Per molti club il reclutamento ancora non può prescindere dalla visione in diretta, dal vivo, dei propri osservatori. È un elemento chiave per comprendere tutto il resto, quello che non si può vedere nei numeri. «Il talent scout deve aver ben presenti quali sono le esigenze del club e allo stesso tempo deve riuscire a immaginare il calciatore dentro l’ambiente in cui si deve inserire», spiega a Undici il direttore sportivo dell’Empoli, Pietro Accardi. «Bisogna saper curare i rapporti umani: intuire le abilità tecniche, tattiche e atletiche di un calciatore non basta, un osservatore non può prescindere da un set di abilità critiche e analitiche, capacità di giudizio ma anche di immaginazione». Vale soprattutto per quei club che fanno grande affidamento sullo scouting di giovani promesse nella speranza di riuscire, con poche risorse, a creare un valore superiore alla somma delle singole parti. «Lavorare con i giovani significa cercare profili che con ogni probabilità devono ancora formarsi o comunque devono completare un percorso di crescita. Quindi si fa un ragionamento sulla prospettiva più che sul giocatore attuale», dice Accardi. «Prima ancora che giocatori, sono ragazzi ancora in formazione, quindi valutiamo la possibilità di incidere lavorando con il nostro staff su tutti i livelli».

I grandi club europei hanno a disposizione risorse pressoché illimitate per formare i loro staff di scouting e di scienziati dei dati. È per questo che Manchester City, Liverpool e altri giganti cercano sul mercato i migliori esperti, a costo di strapparli ai governi o alle università americane, dai dipartimenti di Astrofisica o di Fisica nucleare. Possono permettersi team grandi e sofisticati, con know-how di tutti i tipi, ogni genere di strumento a disposizione. E nella peggiore delle ipotesi possono scommettere su un giocatore, investire qualche milione di euro e scoprire di aver fatto una scelta sbagliata: poco male, andrà meglio la prossima.

Per le società minori è decisamente diverso. Anche nei grandi campionati europei, le squadre della colonna di destra, quelle di centro classifica o della sfida salvezza, non possono permettersi di sprecare risorse, e quando fallisce un investimento da qualche milione di euro è un bel problema. Esigenze quasi opposte a quelle dei top club hanno trovato una risposta in Thomas Randolph, ex collaboratore dell’Huddersfield Town ai tempi della promozione e poi della salvezza in Premier League, tra il 2017 e il 2019. L’anno scorso Randolph ha creato una piattaforma di scouting destinata agli scout e ai direttori sportivi di club di dimensioni medie e piccole. L’idea alla base di Delphlyx è proprio la riduzione degli sprechi, come in tutti i progetti di sostenibilità: attraverso il database, l’algoritmo e i tools, si possono compilare facilmente liste di atleti con le caratteristiche fisiche, tecniche ed esperienziali ricercate, così da velocizzare e rendere più economica la parte iniziale dei lavori.

«In Italia c’è ancora un po’ di diffidenza verso questo approccio», dice Guido Boldoni, account executive di Delphlyx, «e nella maggior parte dei casi è dovuta all’età degli addetti ai lavori e alla difficoltà di poter rivoluzionare il metodo di approccio al lavoro. Ma il vento sta cambiando e dalla Serie D alla Serie A diversi giovani stanno iniziando a integrare il live scouting con un “filtro” di tipo statistico: studiano i dati a disposizione e poi concentrano le risorse verso quei calciatori che possono essere un possibile target per il club. La principale differenza con il passato è proprio qui: anziché andare a vedere 100 partite, si usa la statistica come “guida” per velocizzare le operazioni». In questo modo anche le squadre più piccole possono stare al passo dell’evoluzione dello scouting. La rivoluzione dei numeri è già arrivata. Tutti sono costretti ad aggiornarsi per non perdere terreno.

Da Undici n° 44