Che il calcio sia uno degli aggregatori sociali più forti che siano mai esistiti, se non il più forte, è un fatto assodato. La sua natura è cross-culturale, cross-generazionale, trascende i confini, e ha nei decenni creato infinite opportunità di interazione, legami, supporto. In tutto il mondo. È economico e facile: un linguaggio internazionale capace di abbattere ogni barriera. Il calcio è ispirazione. Non esistono sport con la stessa forza di attrazione, per la lucentezza di cui brillano le sue stelle o la forza emozionale che riesce a donare ai tifosi. Per tutti questi motivi, il calcio è anche uno strumento prezioso per l’educazione, per l’integrazione, e per l’uguaglianza di genere.
Nel corso degli ultimi vent’anni sono spuntati in giro per il mondo nugoli di organizzazioni non-profit che orbitano intorno al calcio, diventando un punto di riferimento per le rispettive comunità e cambiando la natura stessa del gioco. Succede soprattutto nei Paesi in cui la maggior parte della popolazione vive in condizioni di povertà, nei distretti in cui mancano i servizi più basilari: qui il calcio viene usato, per esempio, come uno strumento per tenere bambini e ragazzini lontani dalla strada. Mentre le Academy dei grandi club si concentrano sulla coltivazione del talento con l’obiettivo di produrre i prossimi Messi, mosse dal potenziale guadagno che questo tipo di scoperte porterebbero con sé, le associazioni tipo charity lavorano a programmi strategici per l’educazione e la crescita di bambini e non soltanto, attività extra-curricolari, supporto psicologico.
Nel caso del South Bronx United – una non-profit che opera nel più povero dei borough di New York, in cui la mag- gior parte degli abitanti ha un passato violento, storie complicate e difficoltà ad avere un lavoro stabile – ai partecipanti viene anche offerto un aiuto nelle procedure di ottenimento della cittadinanza, e un supporto scolastico che arriva fino al college. Il South Bronx United è stato fondato nel 2009 da Andrew So, un insegnante di matematica e di sostegno del quartiere Morrisania, nel Bronx, come reazione alla mancanza di opportunità ricreative. La squadra si mantiene grazie alle donazioni, e utilizza il calcio come uno strumento sociale, «con l’obiettivo di formare personalità, spirito di squadra e leadership». Sono otto i programmi offerti dal SBU, riguardanti diversi aspetti dell’educazione e dello sport e che abbracciano giovani dalle scuole materne fino al college. L’academy del South Bronx offre un percorso che va dalle middle school alle high school proseguendo per il college e il mondo del lavoro, dedicato a bambini del quartiere, soprattutto migranti o di seconda generazione.
La Global Youth League offre a circa 150 ragazzi e ragazze in età da liceo l’opportunità di giocare in un campionato, accesso a servizi per l’immigrazione, supporto in lavori socialmente utili e un aiuto alla preparazione per il college. Il Recreational Soccer Program è aperto a tutti i bambini, qualsiasi sia la loro esperienza. Le sessioni si tengono il sabato in tre parchi del Bronx. I partecipanti, dai 4 ai 15 anni, possono anche ricevere ripetizioni scolastiche e partecipare a eventi come l’Annual Health and Wellness Day Fair e l’Annual Literacy Day. Infine, il College Success Program serve a garantire un titolo a tutti gli studenti-atleti della South Bronx United Academy, mentre il progetto Community School collabora con diverse scuole elementari e medie per organizzare partite di calcio pomeridiane con in aggiunta una componente di insegnamento su temi come la salute alimentare o lo sviluppo della leadership femminile.
Attraverso la Pre-Academy, i bambini tra i 3 e i 5 anni possono giocare e allenarsi due volte alla settimana, e anche partecipare a workshop per intere famiglie. Attualmente il South Bronx United si occupa di circa 1400 giovani ogni anno, ma non è sempre stato così. Quando iniziò, un giorno freddo di febbraio nel 2009, aveva soltanto due squadre maschili cucite insieme da due diverse scuole del vicinato. «Aveva piovuto il giorno prima del nostro prima allenamento, quindi la parte del diamante di baseball che avevamo scelto per la sessione era ridotta a una piscina di fango ingiocabile», racconta Andrew So. Eppure, nonostante le difficoltà dell’inizio, la fame di poter giocare a calcio in un ambiente sicuro era così forte che il percorso di espansione sarà poi chiaro e rapido.
In più, questi ragazzini erano immersi in diverse sfide, in tutti i campi della loro vita, dai risultati scolastici alle ammissioni ai college fino a questioni riguardanti il loro permesso di soggiorno. Così Andrew, sua moglie – che è anche co-fondatrice – e un gruppo di allenatori si concentrarono sulla creazione di opportunità e sul coinvolgimento di realtà locali nell’organizzazione. Joshua Guerra, il Communication and Community Outreach Manager, sottolinea che il South Bronx United vive di calcio e respira calcio, anche se chiunque ne fa parte è anche completamente coinvolto nella crescita personale degli studenti, e nell’obiettivo di dare un futuro migliore a loro e alle loro famiglie. È curioso ma non strano pensare che una missione del genere abbia scelto il calcio, e non il basket, storicamente più diffuso in una città come New York: il legame tra il South Bronx United e l’ambiente in cui opera è basato su un’analisi accurata dei quartieri e della popolazione che li abita: soprattutto famiglie che vengono dal Sud del mondo e altre aree in cui il calcio è estremamente popolare, mentre il basket no. Ma mentre lo sport è la calamita per attrarre ragazzini da diversi background culturali, il successo scolastico è per il South Bronx una priorità: ed è grazie alle straordinarie percentuali di successo dei giovani che hanno partecipato ai suoi programmi (il 100 per cento dei suoi atleti hanno finito il liceo, e il 94 per cento sono entrati in un college) che nel 2020, a Berlino, l’Academy ha vinto il premio Laureus Sport for Good. «È stata una gioia incredibile vedere il SBU riconosciuto da Laureus.
E vedere i ragazzi su un palco insieme ai giocatori che avevamo visto solo su FIFA», ha raccontato Guerra dal palco della premiazione. Ma sono le vittorie quotidiane, in un lavoro del genere, quelle che contano di più. Riuscire a condurre ragazzi e ragazze attraverso l’adolescenza e fornir loro gli strumenti per diventare adulti consapevoli pur venendo da contesti così difficili – è questo che rende il South Bronx United diverso da tutte le altre squadre. Di anno in anno continuano a crescere e ad espandersi per accogliere più membri: un risultato straordinario ma anche una nuova sfida per quanto riguarda la capacità delle strutture e degli spazi di allenamento. Andrew So e il suo team non si sono fatti scoraggiare: nel 2022 tutta l’organizzazione si sposterà nella sua prima vera e propria casa, uno spazio di 900 metri quadri distante un solo isolato dallo Yankee Stadium. L’edificio ospiterà anche un’area per il gioco indoor e un’aula per i compiti e per preparare gli esami di ammissione al college, con l’obiettivo di espandersi ulteriormente.
La storia del South Bronx United è soltanto una in un oceano di organizzazioni non-profit che lavorano per garantire un futuro luminoso a giovani cresciuti in Paesi o comunità prive di servizi. Soltanto negli Stati Uniti sono un milione e mezzo le associazioni registrate che offrono simili tipi di supporto, ma ce ne sono molte altre non ufficiali, auto-organizzate, spinte dalla semplice volontà di fare qualcosa per il proprio quartiere. Un esempio: la Urban Football League è stata fondata a Chicago nel 2020 da Maxwell Murray per essere una piattaforma con cui cambiare la narrazione del calcio in America, uno sport storicamente soltanto per bianchi. L’obiettivo è creare un luogo sicuro per giocare e de-stigmatizzare il gioco nella comunità afro-americana, con campionati aperti a tutti economicamente da giocarsi nei quartieri più poveri di Chicago. Anche in Italia ci sono diverse organizzazioni che cavalcano il calcio per usarlo come uno strumento per creare integrazione e avere un impatto sociale. A Padova l’associazione anti-razzista Quadrato Meticcio lavora sull’integrazione dei migranti dell’Africa Sub-Sahariana, aiutandoli tramite il calcio ad adattarsi a un nuovo continente e crearsi una comunità aperta senza barriere di sesso, età o etnia.
Più a sud, l’organizzazione Mediterraneo Antirazzista è da anni attiva a Palermo per promuovere una visione interculturale della società e lottare contro il razzismo in una municipalità in cui è grandissima la presenza di migranti, povertà e disoccupazione. Mediterraneo Antirazzista ha anche voluto laciare un segno nello spazio urbano ristrutturando un luogo molto frequentato in città: il “Campo di bocce”, un campetto pubblico di Ballarò, famoso per le sue intense partite sia diurne che notturne.
Organizzazioni come queste giocano un ruolo fondamentale nella crescita delle comunità con cui lavorano, nel rivendicare spazi per i bambini, nell’unire gioco, divertimento e disciplina. In Italia questo tipo di iniziative hanno anche contribuito a formare alcune attuali e future stelle del campionato come Moustapha Cissé dell’Atalanta. A dimostrazione, ancora una volta, che il calcio ha il potere di cambiare le vite.