«Io non credo che esista un modello Italia, e non credo neanche che abbiamo copiato da qualcuno. Secondo me ogni sistema è legato alla realtà del movimento. Il sistema che c’è in Italia, per esempio, è diverso dal sistema che c’è in America, che comunque produce eccome, perché in America ci sono i college, ci sono delle situazioni diverse». Cesare Butini è il direttore tecnico della nazionale italiana di nuoto che agli Europei di Roma ha vinto il medagliere delle gare in corsia con il record di ori (13) e di podi totali (35), e questa è la storia di una delle federazioni che lavora meglio nel nostro paese.
Tutto è cominciato tanto tempo fa, con i primi ori olimpici alle Olimpiadi di Sydney 2000 e con l’era di Federica Pellegrini: trionfo dopo trionfo molti bambini e molte bambine hanno cominciato a sognare di diventare i nuovi Rosolino o le nuove Pellegrini. La base da cui pescare nuovi talenti si è allargata, i tesserati della Federazione italiana nuoto erano 47.428 nel 1997, sono diventati 91.005 nel 2007 e adesso sono 157.100: il triplo rispetto a vent’anni fa. Thomas Ceccon, il primatista mondiale dei 100 dorso che agli Europei di Roma ha vinto sei medaglie, quattro ori e due argenti, ha dichiarato dopo la sua ultima gara: «Ricevo molte lettere, e come me penso anche altri miei compagni, di ragazzi che dopo avermi visto gareggiare vogliono tornare in piscina. Ecco, questa è una cosa che per me non ha prezzo». Si tratta di aneddotica, naturalmente, ma la sensazione è che i successi di Paltrinieri, Ceccon, Pilato, Martinenghi, Quadarella, Panziera e Razzetti si trasformeranno presto in decine di migliaia di nuovi iscritti.
«Adesso nuota davvero tutta Italia. Il fenomeno più eclatante è la Puglia, che ultimamente ha tirato fuori dei grandi talenti che sono anche in nazionale assoluta», conferma Cesare Butini. Il direttore tecnico italiano definisce il suo lavoro come la «valorizzazione delle individualità eccezionali» che oggi germogliano nell’intero Paese. E la strada per valorizzare queste individualità passa attraverso un aspetto fondamentale: gli allenatori. «Questa secondo me è la nostra forza», spiega Butini, «negli ultimi 10-15 anni c’è stato un grande investimento della federazione sui tecnici. È avvenuto un riavvicinamento tra il settore di istruzione tecnica, cioè quello deputato alla formazione degli allenatori e al loro costante aggiornamento, e il settore squadre nazionali. Questa comunanza di interessi ha fatto sì che i tecnici siano migliorati a livello professionale. Anche perché il tecnico rimane, l’atleta passa, e quindi se io ho investito sul tecnico, il tecnico sarà in grado di poter riprodurre o ritrovare un altro atleta di alto livello».
I centri federali sono il passo successivo. Ne esistono sette in tutta Italia e il primo è stato aperto a Verona nel 2000. I centri federali hanno un doppio scopo: da un lato accolgono quei nuotatori e quelle nuotatrici che non hanno strutture all’altezza nelle proprie città d’origine o che hanno l’ambizione di trasferirsi per cercare altrove nuovi stimoli, dall’altro permettono di organizzare raduni funzionali alla preparazione di qualche grande evento anche per chi, di norma, si allena nella piscina in cui è cresciuto. In entrambi i casi ci si ritrova tutti insieme per quella che Butini indica come «la parte fondamentale del nuotare»: il confronto quotidiano tra i migliori atleti di una specialità. Se inizio a battere Tizio, che magari è arrivato in finale olimpica, vuol dire che sto diventando più forte di lui. Un altro vantaggio dei centri federali è la foresteria in cui poter dormire, con il risultato, per esempio, di azzerare lo stress del traffico e concentrarsi solo sul nuoto.
Continua Butini: «Il mio predecessore Alberto Castagnetti (storico allenatore di Federica Pellegrini, morto nel 2009 a 66 anni, nda) già nel 1997 sosteneva: “La differenza rispetto a prima è che ora, se nasce un bravo nuotatore a Bolzano o a Messina, non me lo lascio sfuggire”. Oggi se l’individualità nasce a Bolzano, e a Bolzano ci sono le condizioni ottimali per poter crescere, rimane lì, salvo partecipare ai raduni in montagna o al mare con i compagni di nazionale in cui avviene quel confronto di cui parlavo prima. Invece Paltrinieri nel 2011 si è dovuto trasferire a Ostia perché aveva bisogno di alcune cose che Carpi non gli poteva più dare. E a Ostia, per anni, si è allenato tutti i giorni spalla a spalla con Gabriele Detti. Ma ci tengo a sottolineare che Paltrinieri è rimasto legato a Carpi. Noi non vogliamo tagliare il cordone ombelicale con la società che l’ha creato, perché è quella che rimane il riferimento, non vogliamo che le società non si impegnino più nel trovare campioni. Qui ritorna l’importanza del lavoro sugli allenatori, perché alla fine l’allenatore rimane nella società».
Uno degli aspetti che è cambiato di più negli ultimi anni del nuoto italiano è l’affiatamento della nazionale. In un’intervista con il Corriere della Sera, Federica Pellegrini ha ammesso: «Questa squadra è sicuramente più unita della nostra, noi eravamo di meno ed era più facile che si creassero rivalità, tutti volevamo essere la prima donna. Loro sono riusciti a entrare in un meccanismo molto americano, dove il mio risultato porta al miglioramento del risultato di un altro». Almeno questo, confessa Cesare Butini, è stato un po’ mutuato da alcune nazioni come l’Australia e il Giappone. Dagli Europei di Glasgow 2018, ogni sera, alla fine di ogni giornata di gare, la federazione organizza una riunione con gli atleti e gli allenatori: «E quando gli atleti vedono che gli allenatori vanno d’accordo, che si esce con un’idea unica anche se qualcuno può avere qualche visione diversa, poi a loro si affidano».
I risultati e le metodologie di lavoro del nuoto italiano da qualche tempo sono studiati anche dalle altre nazioni. Cristina Chiuso, ex atleta e commentatrice tecnica degli Europei per Sky Sport, ha detto qualche giorno fa in tv: «Una volta eravamo noi andare all’estero, adesso sono loro a venire in Italia: rivoluzionario». Nel 2017 l’ucraino Mychajlo Romančuk ha trascorso un periodo d’allenamento a Ostia con Gregorio Paltrinieri, e dall’anno successivo si è trasformato da atleta in grado di lottare al massimo per una medaglia a campione capace di battere lo stesso Paltrinieri. Nei mesi scorsi si è unito al gruppo di Stefano Morini il francese Damien Joly, che a Roma ha vinto il bronzo nei 1500 stile libero. Secondo Butini è la prova che l’intuizione del confronto quotidiano con i migliori atleti di una certa specialità — in questo caso il mezzofondo — funziona.
Ma come si può mantenere, o addirittura migliorare, tutto ciò? Ancora una volta lo sguardo di Cesare Butini si posa sugli allenatori: «Il grande gap che dobbiamo cercare di colmare riguarda alcuni colleghi che, come per esempio Vito D’Onghia, tecnico di Benedetta Pilato che lavora all’Asl di Taranto, ma anche Fabrizio Bastelli e Paolo Palchetti, devono fare anche un altro mestiere per sostenersi economicamente. Questo vuol dire che non sono pagati abbastanza. Poi dobbiamo riprendere il progetto dei raduni di settore con i tecnici degli atleti che nuotano le stesse specialità, interrotto a causa del Covid. Infine non dobbiamo pensare di essere arrivati, dobbiamo continuare a lavorare con serietà e umiltà. Più si arriva in alto e più bisogna coprirsi bene: lo ripeteva sempre Alberto Castagnetti».