Scrivere “modello Udinese” su Google significa aprire una finestra su un passato molto più lontano di quello che saremmo normalmente portati a pensare. Perché sono passati dieci-quindici anni dagli ultimi grandi risultati della squadra friulana, e dieci-quindici anni equivalgono ad almeno due ere geologiche, nel calcio di oggi. Esplorare quelle pagine web è anche un modo per rendersi conto di quanto sia vera la massima di Grace Murray Hopper per cui «la frase più pericolosa in assoluto è: “abbiamo sempre fatto così”». Tra le decine di articoli che celebravano il record di plusvalenze fissate nell’era Pozzo – 775 milioni fino a gennaio 2020 – e la costruzione del nuovo stadio, ce ne sono alcuni che raccontano cose che oggi sembrano normali per non dire banali, e invece erano visionarie nel calcio che fu. Per esempio la stanza delle tv, lo strumento sul quale, stando alle parole del responsabile scouting Andrea Carnevale, l’Udinese aveva edificato la sostenibilità di un progetto sportivo di alto livello, cambiando radicalmente il concetto stesso di player trading fin dalla seconda metà degli anni Novanta. «Con quella sala», ha spiegato Carnevale, «avevamo anticipato tutti, seguivamo i campionati di ogni nazione, anche quelli giovanili». Oggi quella sala non esiste più, come rivelato dallo stesso Carnevale in un’intervista a Tuttomercatoweb. Ed è quasi una resa all’ineluttabilità del tempo che passa: «L’abbiamo mandata in pensione dieci anni fa, ma in molti hanno preso spunto da noi. Registravamo tutte le competizioni, anche di notte. Siamo partiti con le cassette, a dirla tutta: i cd sono arrivati dopo. Oggi grazie a piattaforme come Wyscout tutti i professionisti hanno accesso ai filmati che all’epoca vedevamo solo noi».
Passano gli anni, cambiano i mezzi a disposizione, aumenta la concorrenza dei grandi club che hanno scoperto i vantaggi – economici oltre che tecnici – dello scouting e del player development. Ma resta ferma la necessità di esserci, di allargare e rimodulare capillarmente la propria rete sulla base di ciò che significa, oggi, cercare e valorizzare il talento: «Prima uscivamo con gli osservatori in tutti i territori e si è creato un modello», ha detto nel dicembre 2021 Vincenzo Cardillo, consulente di mercato della famiglia Pozzo. «Ora questo scouting è fatto da tutti, anche e soprattutto da chi ha osservatori ovunque. Questo porta a un abbassamento dell’età nei giocatori che vai a seguire».
Si tratta della chiave di lettura fondamentale per comprendere quel bug di sistema che, nelle ultime dieci stagioni, ha portato l’Udinese a calare dal terzo al dodicesimo posto in classifica, con il picco negativo registrato a cavallo tra il 2015 e il 2017, quando la squadra friulana si tenne poco sopra la linea di galleggiamento necessaria per rimanere in Serie A. C’entra la parziale dispersione delle risorse a seguito dell’espansione dei Pozzo in Spagna – Granada, dal 2009 al 2016 – e Inghilterra – Watford, dal 2012. Ma c’entra soprattutto la difficoltà nel confrontarsi su un terreno ritenuto giustamente congeniale, solo con modi e tempi completamente diversi rispetto al passato. È come se il tempo avesse costretto l’Udinese a un gioco che non era più in grado di giocare alla sua maniera, o comunque con la stessa efficacia e lungimiranza di prima. E allora il vecchio modello si è trasformato in un accumulo seriale di giocatori senza alcun costrutto, con i pochi profili validi che sono finiti confinati in contesti che hanno normalizzato le loro qualità invece di esaltarle – andando, quindi, a incidere anche sulla necessità di massimizzare la cifra ricavata dalla futura rivendita. Stando alle cifre di Transfermarkt, per dire, calciatori come Barak, Jankto, Zielinski, Bruno Fernandes, Pereyra, Cuadrado e Benatia, tutti passati da Udine prima di esplodere altrove, hanno fruttato solo 83 milioni di euro complessivi spalmati su nove stagioni.
Alle difficoltà di questo processo di aggiornamento, tale per cui è diventato persino difficile distinguere tra causa e conseguenza, si è aggiunta anche la discontinuità nella guida tecnica. Una condizione che ha reso pressoché impossibile la creazione di un pattern di riferimento nell’allestimento della rosa. Basti pensare che dal 2014, l’anno dell’addio di Francesco Guidolin, l’Udinese ha cambiato 12 allenatori. Lo zenit dell’assurdo, se vogliamo, è stato raggiunto nell’ultima stagione: il 7 dicembre 2021 viene esonerato Luca Gotti, ex vice di Igor Tudor subentrato dopo il suo esonero nel novembre di due anni prima; al posto di Gotti viene promosso il suo secondo Gabriele Cioffi, che poi ha deciso di dimettersi a maggio a causa di un’offerta di rinnovo – contratto annuale, con opzione di rinnovo a poco meno di 400mila euro a stagione – ritenuta poco convincente, soprattutto a fronte di una seconda parte di stagione che aveva portato l’Udinese a raggiungere il miglior piazzamento dal 2013/2014. Proprio dall’addio di Guidolin.
Al posto di Cioffi è arrivato Andrea Sottil, reduce da una proficua esperienza all’Ascoli e annunciato con un comunicato incentrato sull’idea del “made in Udine”, del «cerchio che si chiude», del «passato e presente che si intrecciano per continuare la grande storia bianconera». E invece proprio il suo arrivo pare aver cambiato il volto dell’ennesima ricostruzione avviata dai Pozzo, con una continuità, anzi una coerenza, tra scouting, campagne acquisti e progetto tecnico che non si vedeva da un po’. E che si è tradotta in un inizio di campionato da quattro vittorie nelle prime sei giornate, compreso il clamoroso 4-0 alla Roma di Mourinho il 4 settembre.
Una delle vittorie più belle e più nette in questa primissima fase di campionato
Proprio questa partita, al di là delle proporzioni del punteggio, rappresenta ciò che è l’Udinese oggi in termini di diretta proporzionalità tra i giocatori che sono stati scelti e il modo in cui vengono fatti rendere sul campo, assecondandone la natura di freak atletici. In questo senso Sottil è stato bravo a costruire un sistema fisico e ipercinetico, a trovare una sintesi tra il 3-5-2 – un sistema di gioco che gli anni di Guidolin hanno praticamente impresso sullo statuto dell’Udinese – e il 4-3-1-2 che aveva fatto la fortuna del suo Ascoli, trascinato in poco meno di un anno e mezzo dalla zona retrocessione ai playoff di Serie B. «Ho sempre detto che questa squadra ha nel suo DNA grandissima fisicità ma anche una buona tecnica, possiamo pressare alti e non subire le altre squadre. Quando recuperiamo palla siamo devastanti. Deve essere una costante giocare questo tipo di calcio», aveva detto Sottil dopo la vittoria contro la Fiorentina del 31 agosto, quando la squadra di Italiano era stata annichilita sotto il profilo fisico prima ancora che tattico. Non era stata solo una questione di capacità di fare densità o di occupare preventivamente spazi e linee di passaggio: a un certo punto la sensazione visiva era che i giocatori viola non fossero all’altezza – nel senso letterale del termine – di quelli dell’Udinese, che non riuscissero a correre alla loro stessa velocità, che non avessero nessuna possibilità di vincere un contrasto aereo o sul terreno di gioco, di arrivare prima sulle seconde palle
In fase di possesso l’ago della bilancia è Roberto Pereyra, il giocatore impiegato da finto esterno destro a tutta fascia con licenza di entrare dentro il campo per associarsi con Deulofeu o Samardzic e creare superiorità nell’ultimo terzo di campo, sovraccaricando la zona centrale e liberando gli spazi per gli inserimenti senza palla di Udogie dal lato debole. Si tratta di una giocata codificata, ma anche dell’espressione di quella supremazia fisica fuori scala che caratterizza oggi l’Udinese. Affrontare la squadra di Sottil, oggi, significa avere a che fare con giocatori forti, grossi e cattivi, dei veri e propri Monstars che travolgono tutto ciò che si trovano davanti. Assecondati da un allenatore che, in ossequio al concetto di motricità a lui tanto caro, ha costruito un 3-5-2 fuori misura per giocatori fuori misura: difensori aggressivi come Nehuén Pérez e Jaka Bijol accanto a Rodrigo Becão che ha ereditato da Nuytinck il ruolo di Mahatma del reparto arretrato nonostante abbia appena 26 anni; il cervello Walace in mediana, sostenuto dai vari Makengo, Arslan e Lovric; in attacco, infine, tutto sembra ruotare attorno alla figura di Beto, diventato ormai un giocatore di culto per il modo in riesce a bilanciare pregi – la straripante fisicità in campo aperto e nel gioco aereo – e difetti – la scarsa associatività spalle alla porta e le difficoltà nel primo controllo – in maniera a volte buffa ma sempre efficace. In questa stagione Sottil lo sta utilizzando prettamente come super-sub (appena due le presenze da titolare per 228 minuti di gioco complessivi) così da agevolare il suo recupero dopo il grave infortunio che lo ha tenuto fuori per la seconda parte dello scorso campionato; nonostante questo approccio, il tecnico dell’Udinese si è ritrovato per le mani un centravanti in grado di avere un impatto devastante sugli avversari: contro il Sassuolo il portoghese è entrato a 22 minuti dalla fine e ne ha impiegati appena cinque per ribaltare l’inerzia emozionale di una partita che appariva già indirizzata.
È decisamente presto per ipotizzare la nascita o il ritorno di un nuovo modello Udinese, tanto più in una stagione compressa, in cui i valori in campo potrebbero risultare alterati da un calendario che fino da ottobre a metà novembre non concederà soste o tregue. Eppure l’impressione è che si sia ritornati a quella perfetta sovrapponibilità tra sistema di reclutamento e sistema tattico che aveva portato la squadra friulana a un passo – anzi: a un rigore battuto a cucchiaio da Maicosuel – da una clamorosa qualificazione alla fase a gironi di Champions League. Da quel momento, che viene considerato come l’inizio della fine, sono passati dieci anni: tanto è servito all’Udinese per capire i cambiamenti e le nuove regole di un gioco inventato proprio dall’Udinese. Ora è tornato il tempo degli acquisti coerenti e sorprendenti, del talento scovato e importato in abbondanza, solo valorizzato in maniera diversa: con un calcio fisico e aggressivo, ma anche moderno e a tratti spettacolare. Un calcio che sta terremotando la Serie A con la sua intensità, e che ha margini di crescita ancora tutti da scoprire.