Nella notte tra giovedì e venerdì della settimana scorsa si è giocata la prima partita di NFL visibile esclusivamente in streaming. Era la prima volta nella storia, l’ha trasmessa Amazon e non è sembrata la rivoluzione copernicana che qualcuno si aspettava. C’erano il pre-partita e il post-partita, i commenti dell’intervallo e tutto il resto. E c’erano ovviamente le pubblicità, che presentavano Gli anelli del potere, The Boys, Samaritan e altri contenuti visibili su Prime Video. Non tutti gli spettatori di Kansas City Chiefs-Los Angeles Chargers hanno un abbonamento per vedere anche film e serie tv sulla piattaforma di Amazon – che, in cambio di 1,2 miliardi all’anno per i prossimi 10 anni, ha acquistato il diritto di trasmettere in esclusiva il Thursday Night Football. È qui che si intravede il primo cambiamento nel mondo delle trasmissioni sportive: per almeno due decenni le tv – via cavo o satellitari – hanno monopolizzato i diritti di trasmissione delle partite e delle gare, spendendo cifre enormi, ricompensate dalla monetizzazione degli spazi pubblicitari. Adesso in corsa c’è anche Big Tech e quindi lo schema cambia: le piattaforme streaming vogliono usare gli eventi sportivi per fidelizzare i clienti e portarli sugli altri contenuti video che offrono.
Amazon compete con Netflix, Apple TV, Disney+ e altri grandi player nel ramo di film e serie tv. Nessuna previsione, nemmeno la più ottimistica, fa immaginare che il numero di abbonati per ognuna di loro possa crescere all’infinito, vista l’alta concorrenza. Prima o poi verrà una flessione in questo mercato, e il caso di Netflix potrebbe essere un segnale. Allora Amazon, per assicurarsi nuove iscrizioni, prova a usare l’enorme bacino di spettatori dello sport come testa di ponte: le prospettive dicono che il mercato della trasmissione degli eventi sportivi potrebbe crescere ancora parecchio, ancora per molti anni. Si possono unire i diversi pacchetti di contenuti e semplificare la vita agli abbonati, che non devono saltare da una piattaforma all’altra. «Grazie all’enorme liquidità a disposizione», scriveva il New York Times a luglio, «le Big Tech si sono lanciate in trattative ricchissime per la NFL, la MLB, la MLS, le corse di Formula 1 e le partite di college».
Dopotutto gli eventi sportivi continuano a essere l’attrazione più potente della televisione: 95 dei 100 programmi più visti nel 2021 negli Stati Uniti erano sportivi, ma solo il 56% degli spettatori li ha visti in tv via cavo o satellite. In generale, il numero di abbonamenti e iscrizioni alle piattaforme streaming è in aumento in tutto il mondo: in ogni casa, in ogni famiglia, si cercano servizi in grado di offrire semplicità, accessibilità, personalizzazione di un prodotto che deve essere on demand in ogni dettaglio per rispettare le esigenze e le preferenze di ognuno.
A giugno Apple ha firmato una partnership decennale con la Major League Soccer, in un accordo «innovativo e rivoluzionario», per usare due aggettivi che mi aveva regalato Sam Carp di Sports Pro Media in una telefonata il giorno dopo l’annuncio ufficiale. L’azienda di Cupertino ha anche accordi per alcuni diritti di trasmissione della Major League Baseball e altre leghe americane. Ha già sborsato diversi miliardi di dollari e presto potrebbe iniziare a investire anche in Europa come ha già fatto Amazon. L’azienda di Jeff Bezos ha comprato pacchetti di diritti di Premier League, Ligue 1 e Ligue 2. E poi la Champions League, che al momento trasmette solo in Italia e Germania, poche partite l’anno, ma dal 2024 arriverà nel Regno Unito grazie a una spesa di 1,8 miliardi di dollari l’anno. Ci sta provando anche Disney, che ha perso moltissimo con la sua emittente Espn in termini di potere, visibilità e posizionamento sul mercato. Il numero uno dell’azienda, Bob Chapek, a febbraio aveva detto che il suo piano prevede di innovare la propria offerta di contenuti partendo dallo sport: «Disney aggiungerà una programmazione alternativa per gli eventi UFC, golf e football universitario nel corso dei prossimi tre anni». In Italia la rivoluzione è già arrivata e non è ancora finita. DAZN ha strappato a Sky l’esclusiva su sette delle dieci partite di Serie A per ogni turno, oltre a trasmettere Liga spagnola, Serie B, FA Cup, Carabao Cup, Mls e Coppa Libertadores. Discovery invece ha trasmesso i Giochi Olimpici estivi di Tokyo 2020 e quelli invernali di Pechino 2022.
«I grandi campionati sportivi hanno due missioni, a volte contrastanti. Vogliono più soldi possibile e vogliono un numero enorme di spettatori. Le aziende tecnologiche possono offrire il primo ma non necessariamente il secondo. Al momento le TV hanno molti più spettatori di internet, sullo sport: quando la stessa partita della NFL va in onda contemporaneamente su Fox e sul servizio di streaming di Amazon Prime, il pubblico su Fox è molte volte maggiore», racconta la newsletter On Tech del New York Times. Leghe e campionati e altre manifestazioni sportive sarebbero molto interessate agli investimenti delle piattaforme streaming, ma temono che se si affidassero esclusivamente a loro perderebbero grosse quote di pubblico. E questo distruggerebbe l’appeal di campionati, squadre e atleti. È l’ultima cosa che vogliono.
In termini di user experience dovrebbe cambiare relativamente poco tra streaming e satellite. Come si è visto in NFL, i contenuti dovrebbero essere molto simili a quelli a cui ci siamo abituati in questi anni. La grande incognita riguarda le infrastrutture e la qualità del servizio: in alcune zone geografiche, quindi per una buona fetta di spettatori, la connessione di casa non è sufficiente per mandare in live streaming una partita con milioni di spettatori. Lo abbiamo visto bene in Italia con DAZN e le immagini sgranate che arrivano sulle smart tv e le app dei tablet. Ovviamente non è solo il caso dell’Italia dei piccoli centri, delle comunità montane e geograficamente complessa. L’anno scorso l’amministrazione Biden ha ricordato che 30 milioni di americani – il 9% della nazione – vive in luoghi «le cui infrastrutture per la banda larga sono inaccettabili».
In teoria l’arrivo di nuovi attori sul mercato porterà una pulviscolarizzazione del servizio di cui potrebbero beneficiare gli sport minori, che più facilmente troverebbero qualcuno disposto a investire per trasmetterli. In questo senso l’esperienza italiana di Discovery con le Olimpiadi è un buon punto di partenza.
È chiaro ormai che anche il futuro dello sport è nei servizi disponibili ovunque e su tutti i dispositivi, come quelli di Amazon, DAZN, Apple, Discovery, magari Disney e tanti altri. La speranza è che questo segmento di mercato riesca a regolarsi e adeguare la spesa pro capite degli abbonati alla qualità, all’affidabilità, alla completezza del servizio. La promessa dello streaming, quando si è presentato al mondo, è che avrebbe reso la vita più facile, meno costosa, con contenuti sempre accessibili. Se il mondo dello spettacolo, tra serie tv e film, ha complessivamente mantenuto la parola data, lo sport deve fare ancora un passo in più. «Anche quando la tua squadra vince, finisci per perdere», scriveva un Alex Krishner furioso su The Atlantic a fine agosto.
Nello sport entrano in gioco emozioni diverse rispetto ai film e alle serie tv, c’è un coinvolgimento viscerale, incontrollabile, quasi una dipendenza su cui la corsa all’oro dello streaming sembra poter costruire. Il rischio è che senza una forma di controllo e di cartello si arrivi solo a un aumento delle spese a fronte di un servizio di qualità inferiore rispetto al passato: la somma di tutti gli abbonamenti potrebbe raggiungere cifre non accessibili per molti appassionati. L’evoluzione del mercato non può e non deve penalizzare chi quel mercato lo crea e lo alimenta.