I Mondiali in Qatar avranno un enorme problema ambientale legato all’acqua

Nell'emirato c'è pochissima acqua dolce, e la desalinizzazione del mare è un processo altamente inquinante.
di Redazione Undici

Era difficile, anzi impossibile, organizzare una Coppa del Mondo che sollevasse più problematiche – e quindi polemiche – rispetto a quanto successo con quella del Qatar. Il fatto che la prima partita sia ormai vicinissima – la Nazionale padrona di casa affronterà l’Ecuador il prossimo 20 novembre – ha portato alla ribalta un’altra criticità piuttosto importante e controversa: quella dell’impatto ambientale legato alla scarsità e quindi alla necessità di acqua dolce. Secondo quanto riportato dal Guardian in questo reportage, il Qatar avrà bisogno di almeno 10mila litri d’acqua ogni giorno per ciascuno dei suoi stadi. Ricordiamo che le 64 partite del torneo si svolgeranno in otto impianti diversi, quindi basta fare una semplice moltiplicazione per capire che ci sarà bisogno di un’enorme quantità d’acqua. Il che rappresenta un problema per un Paese immerso in una regione geografica che, praticamente, non ha accesso a fonti d’acqua dolce.

È inevitabile che le autorità qatariote abbiano puntato e punteranno molto sulla desalinizzazione, ovvero il processo che permette all’acqua marina di diventare potabile. Il problema è che questa soluzione comporta enormi costi ambientali, sia in termini di combustibili fossili utilizzati nelle macchine depuratrici che per quanto riguarda l’impatto sull’ecosistema marino. Come detto, è un problema che riguarda l’intero Golfo Persico: secondo i dati, nei Paesi dell’area GCC (acronimo di Gulf Cooperation Council) si trova il 43% della capacità di desalinizzazione su scala globale. Ed è francamente inevitabile, considerando che le temperature e le abitudini sociali, economiche e culturali di chi abita in quelle nazioni fanno impennare i consumi: le ultime statistiche hanno rilevato che ogni abitante degli Emirati Arabi ha bisogno di circa 500 litri di acqua al giorno, circa il 50% in più rispetto alla media globale.

Nell’area GCC ci sono circa 300 impianti di desalinizzazione, concentrati soprattutto in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Bahrain. Solo in Arabia Saudita, per dire, vengono consumati 300mila barili di greggio al giorno per alimentarli. Sono stati ideati e costruiti degli stabilimenti più moderni e meno nocivi per il pianeta, ma resta il fatto che per sostenere un sistema così vasto occorre moltissima energia. Una condizione che, naturalmente, peggiorerà con l’inizio della Coppa del Mondo: gli stadi e i campi d’allenamento dovranno essere irrigati, e moltissimi turisti/tifosi dovranno bere. L’impatto ambientale sarà devastante, e come detto le emissioni carboniche sono solo una parte del problema: la desalinizzazione è uno dei peggiori fattori di inquinamento delle acque salate, visto che lo scarto del processo – un fluido a enorme concentrazione salina – viene smaltito di nuovo in mare e finisce per renderlo più salato, più caldo e anche più tossico, considerando che in queste acque reflue ci sono sostanze chimiche come cloro, metalli pesanti e agenti antischiuma utilizzati in precedenza. Tutto questo finisce per danneggiare le barriere coralline e tutti i micro-organismi acquatici, alterando equilibri già piuttosto delicati e fortemente sollecitati. Sono allo studio delle nuove tecnologie più green, ma i Mondiali sono imminenti, e quindi sarà impossibile agire diversamente in tempi così rapidi. Insomma, dopo le critiche infinite per le questioni relative ai diritti umani dei lavoratori, alla libertà delle donne e degli omosessuali, che si sono aggiunte a quelle primordiali per le modalità oscure che hanno portato l’assegnazione dei Mondiali al Qatar, ora anche gli ambientalisti hanno un motivo per scagliarsi contro l’emirato. Un motivo piuttosto valido e condivisibile, tra l’altro.

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