Dusan Vlahovic, o dell’impotenza

Nella gara contro il Milan, abbiamo visto l'ennesima prestazione grigia del centravanti serbo.

Nelle ore successive a Milan-Juventus 2-0, ogni discorso su Dusan Vlahovic si è concentrato principalmente su ciò che è successo in mezzo e in coda alla sua partita: al minuto 54 c’è stato il passaggio involontario che ha portato Brahim Díaz a realizzare il raddoppio del Milan; al minuto 78 è stato sostituito – da Moise Kean – e uscendo dal campo ha scagliato per terra una bottiglietta di plastica con un’espressione corrucciata, delusa, incazzata; a quel punto Allegri l’ha abbracciato, gli ha detto di stare tranquillo, poi l’ha mandato in panchina.

È inevitabile che nel calcio, uno sport a basso punteggio e quindi fortemente condizionato dagli episodi, errori come quello di Vlahovic prima del gol di Brahim abbiano un impatto pesante. Anzi, si può dire decisivo. Ma allo stesso tempo non sarebbe giusto guardare solo a quel momento. A quella che, di fatto, è stata una delle ultime scene di Vlahovic nel film di Milan-Juventus. Per un motivo semplice: quel passaggio evidentemente brutto – mal dosato, rischioso, concettualmente sbagliato – è arrivato nel corso di una gara in cui Vlahovic è stato un giocatore incapace di incidere sul contesto. Insomma, si deve necessariamente tener conto di quello che è successo prima di quel passaggio e dell’uscita dal campo di Dusan Vlahovic. Che è senza dubbio il giocatore più penalizzato dalla chiarissima crisi di gioco in cui è impantanata la Juventus.

Ci sono i numeri, che sono eloquenti: nel corso dei 78 minuti in cui è stato in campo contro il Milan, Vlahovic ha messo insieme 29 palloni giocati, di cui zero nell’area di rigore avversaria. E poi ci sono le sensazioni visive, ciò che resta del calcio riguardando la partita. Da quel punto di vista, Vlahovic è un calciatore che oggi fa tenerezza: per il lavoro che deve svolgere spalle alla porta, per i chilometri che deve percorrere per essere semplicemente servito e toccare il pallone, per la quantità di inventiva di cui avrebbe bisogno per poter essere decisivo nell’ambito di una Juve che, contro il Milan come in altre partite, ha palesato una mancanza di idee offensive piuttosto inquietante.

Vlahovic sembra frustrato da tutto questo fin dalla sua prima giocata, 56 secondi dopo il fischio d’inizio: Alex Sandro, Rabiot e Locatelli apparecchiano bene il pallone dopo un rilancio lungo di Tatarusanu e lo servono a Vlahovic, che però non ha opzioni di passaggio valide e allora cerca Milik con un colpo di tacco improbabile, lezioso, che viene ribattuto facilmente da Gabbia. Ciò che colpisce – in negativo – è il linguaggio del corpo di Vlahovic dopo aver tentato questa soluzione: guarda la palla rimbalzare via, si ferma e inizia a camminare lentamente, senza reagire; appare sconsolato, è in campo da meno di un minuto ma già sembra certo che vivrà la sua intera partita in questo modo, e allora che senso ha scattare, combattere o contrastare? Meglio aspettare il prossimo pallone da lavorare senza sbattersi troppo.

Capitolo 1 — Un bruttissimo colpo di tacco

Non che Vlahovic non possa e non sappia essere prezioso anche in un contesto tattico del genere: al suo terzo tocco di palla, al minuto numero due, un buon controllo volante e un contrasto con Bennacer danno il via a una ripartenza rapida della Juventus in situazione di parità numerica con la difesa del Milan. Solo che poi Kostic sbuccia la conclusione su cross basso di Cuadrado e alla fine l’azione sfuma. Il punto, però, è proprio questo: se Vlahovic è costretto, lo dicono i numeri, a giocare lontanissimo dalla porta, come fa a essere decisivo laddove ha dimostrato di esserlo, cioè nell’area avversaria? E se ci fosse stato lui a tentare il tiro verso la porta al posto di Kostic?

La stessa domanda un po’ retorica si potrebbe porre dopo ciò che succede al minuto 8, quando la Juventus costruisce quella che sarà la miglior occasione di tutta la sua gara: duello aereo perso da Tonali su una seconda palla, transizione veloce cinque contro tre guidata da Vlahovic e apertura sulla destra verso Cuadrado. Che tira senza guardare in area, senza guardare Vlahovic. Che, a sua volta, sarebbe solo davanti a Tatarusanu. Dusan si dispera, fa un gesto di stizza, sa che avrebbe potuto avere una grande occasione. Forse sa pure che da lì in poi la Juventus si scioglierà, come le succede da inizio anno, e che la sua partita diventerà difficilissima, noiosissima, quindi bruttissima. Un altro motivo piuttosto valido per arrabbiarsi. Per restarci male.

Capitolo 2 — Una buona azione

In realtà c’è un ultimo scatto della squadra bianconera prima che il Milan prenda possesso della partita. E Vlahovic ci mette la firma con una non-giocata, cioè con un velo intelligentissimo a liberare Milik al tiro. Tra Milik e Vlahovic sembra esserci sintonia, si tratta di due attaccanti che possono e sanno trovarsi bene, che riescono a scambiarsi posizioni e attribuzioni con una certa naturalezza, e queste sono tutte cose buone. Ma alla Fiorentina – e anche in alcune gare alla Juve – Vlahovic ha dimostrato di poter essere devastante con compiti da terminale unico della manovra, da punta pura col supporto di esterni e centrocampisti. E allora perché la Juventus è stata costruita affiancandogli un’altra prima punta? Perché chiedere a Vlahovic di essere quello che non è mai stato, di fare quello che non ha mai fatto?

Capitolo 3 — Una buona idea

Da qui in poi la partita di Vlahovic e della Juve diventa uno strazio: il Milan si appropria del campo e del pallone, l’attaccante serbo viene cercato ancora più raramente e in maniera confusionaria dai suoi compagni. Quando il pallone gli arriva, Dusan viene sistematicamente contrastato e anticipato da Gabbia o da Tomori, così tra il minuto 17 e l’intervallo tocca nove palloni in totale; tra questi, c’è quello deviato col braccio – attaccato al corpo – in area difensiva che fa chiedere il rigore al Milan. Dopo l’inizio discreto della Juve, è l’unico momento della partita in cui viene coinvolto in maniera significativa – almeno fino all’errore sul gol di Brahim Díaz. Per il resto rimane ben nascosto, è irraggiungibile, dopotutto i compagni sembrano avere zero idee su come trovarlo, lanciarlo, armarlo. E allora lui si adegua. Diventa invisibile.

La ripresa, se possibile, è ancora più drammatica: prima dell’orrendo passaggio del minuto 54 a cui stiamo lentamente arrivando, Vlahovic tocca solo quattro palloni. Tutti al di qua della linea immaginaria della trequarti campo. Poi arriva il momento in cui Dusan, tallonato come al solito da uno dei centrali del Milan (in questo caso Tomori), deve retrocedere per poter anche solo vedere una linea di passaggio. C’è Milik in una stranissima posizione da centrocampista centrale, e anche questo dovrebbe far riflettere Allegri e tutto l’ambiente-Juventus. Il tocco di Vlahovic è completamente fuori misura, ma è soprattutto arretrato e orizzontale: è un passaggio che tutti i maestri di scuola calcio del mondo dicono di non fare mai, solo che Vlahovic lo fa. E così consegna il pallone a Brahim Díaz, che supera Bonucci di slancio, attacca la voragine di campo rimasta sguarnita e va a segnare il 2-0.

Capitolo 4 — Tutto molto brutto

In questo caso, almeno, Vlahovic ha un linguaggio del corpo vivo: reagisce al suo errore girando su se stesso, e agitando le braccia. È evidentemente deluso da ciò che ha fatto, dell’errore grave che ha commesso. Ma, come detto all’inizio, dobbiamo tener conto anche del contesto. Del fatto che tutte le sue azioni e le sue giocate finiscono per perdersi, per risultare inutili, non pervenute, nella cronaca di una partita. Non proprio la sensazione/condizione migliore perché un attaccante, un giocatore teoricamente e potenzialmente in grado di risolvere le partite, possa esprimersi in maniera serena. Vlahovic si sta scoprendo e riscoprendo inconsistente, completamente depotenziato. In questo senso, il fatto che a San Siro sia stato in campo per altri 25 minuti senza essere mai incisivo, con appena cinque palloni toccati, il tutto nonostante la sua squadra fosse sotto di due gol, è il segnale più allarmante, per la Juventus. Per Massimiliano Allegri. Forse anche per lo stesso Vlahovic.

Riguardando Dusan Vlahovic in Milan-Juventus, non si avverte nessuna sensazione di talento sprecato: quella esiste – anzi, brucia – in tutti noi perché abbiamo visto cos’è in grado di fare Vlahovic se messo nelle condizioni giuste. È proprio questa la grande sconfitta della Juventus e di Allegri nei confronti del loro centravanti: l’hanno trasformato in un calciatore che non ricorda neanche lontanamente la sua versione migliore, che esce incazzato al minuto 78 di una grande partita senza aver dato mai l’impressione di essere decisivo, utile alla squadra o semplicemente forte. Di averla potuta decidere o comunque condizionare, quella grande partita. È qualcosa di più di una prestazione anonima: è essere impotente, quindi inesistente. Ed è una percezione che si ripete da tempo, ormai. Ora la domanda è fino a quando la Juventus, Allegri e lo stesso Vlahovic potranno accettare tutto questo?