Theo è cresciuto

Intervista al terzino del Milan: la crescita dei rossoneri e quella personale, lo scudetto, la voglia di ripetersi, l'importanza di diventare padre.

Io e Theo Hernández abbiamo parlato per poco tempo, tutto sommato. Siamo stati assieme, in totale, da quando siamo arrivati a Milanello a quando siamo andati via, forse un’ora o due, includendo il tempo per le foto e per i cambi di outfit. Prima impressione: lui è alto, bello, sorridente, per niente spaccone, sembra molto tranquillo e anche un po’ riservato. Dall’accento, ma anche dal mood, sembra molto più spagnolo che francese. Ha i tratti del caballero. Nelle nostre chiacchiere, ecco le parole che ha usato più spesso: crescere (9 volte), lavorare (8 volte), squadra (7 volte). Gli ho chiesto, a un certo punto, se giocare la Champions League aiuta a crescere. Mi ha risposto, «No, io cresco qui, in allenamento, tutti i giorni, lavorando, facendo quello che dice il Mister. Ho quasi 25 anni e devo continuare a lavorare, perché voglio crescere e migliorare ancora. Sono molto felice, la gente qui mi aiuta e mi ama, la squadra è forte e lavoriamo bene. E anche questo è importantissimo». Seconda impressione: è umile, o meglio, non direi umile, perché mi sembra anche molto consapevole della sua forza. Direi, piuttosto: centrato.

Theo Hernández, da quando è al Milan, ha giocato 131 partite, nelle quali ha segnato 21 gol e fatto 25 assist, in poco più di tre anni: parliamo di una media di 7 gol e 8 assist l’anno. Non sono sicuramente il primo a notarlo, ma questi sono numeri da ala, non da terzino. O forse sì, ma da terzino moderno, il paragone con il Gareth Bale degli inizi, il Bale difensore, si sprecano, entrambi sembrano dei running back più che dei calciatori, piazzati e potenti e veloci, con la forza nelle gambe ma anche nei fianchi e nelle spalle, corrono come dei tori con la palla lanciata sempre qualche metro avanti. Theo però, in questi anni, non è solo diventato più goleador, anzi, è anche diventato un difensore migliore. Quando glielo faccio notare, ride. «È vero, non ero bravo a difendere quando sono arrivato. Adesso sono migliorato. Ma posso ancora migliorare di più, devo migliorare, in tante cose diverse». Gli chiedo che tipo di giocatore potrebbe diventare, domani, questo terzino così moderno da sembrare del futuro. «Non lo so». Ride imbarazzato, sembra non averci davvero mai pensato. «Per adesso, voglio solo lavorare e fare le cose bene. Sono ancora giovane, c’è ancora tanto tempo».

Il concetto di Theo di futuro mi sembra un futuro molto prossimo, molto immediato. Quando gli parlo di futuro, del suo futuro, di come si vede nel futuro, sembra quasi togliersi il pensiero da davanti come se stesse scacciando una mosca. Non ci si perde in fantasticherie, o in paure, o in ansie, si rimani ancorati al prossimo obiettivo, sembra dire, come un improbabile monaco zen, concentrato sulla prassi di quello che sta facendo, in quel momento, la mente libera da distrazioni inutili. «Io non penso al futuro. Mi immagino una bella carriera? Sì. Ma non so cosa succederà, e non ci penso nemmeno. Penso solo ad ora, al presente, alla prossima partita, al prossimo allenamento, a lavorare e fare le cose nel miglior modo possibile». Allo stesso modo, non serve ripensare al passato, non serve rivivere i rimpianti, perdersi nei ricordi, celebrare i risultati ottenuti ieri. Anche alle vittorie, come il diciannovesimo scudetto del Milan, per molti tifosi, me incluso, uno dei migliori. «Quello che abbiamo fatto ieri è stato bello, abbiamo vinto, ma oggi non serve a niente. Dobbiamo stare bene, essere forti, lavorare bene, e il risultato verrà da sé. Del futuro non si sa niente». Mettere la prassi davanti al risultato, oppure no, anzi: vedere il risultato da ottenere come un semplice sottoprodotto della prassi, del lavoro. Molto sano e, di nuovo, molto orientale, come filosofia. E allo stesso tempo anche molto conducente a uno spirito di squadra forte e coraggioso, di carattere. Maturo.

Al Milan c’è un gruppo molto speciale, un gruppo di calciatori costruito con una visione chiara: giovani di belle speranze puntellati da giocatori espertissimi, con uno zoccolo duro di nuovi leader tecnici, calciatori moderni, quasi “da Bundesliga”, si potrebbe dire, giocatori con una grande fisicità mista alla tecnica, un team messo insieme con spirito di programmazione che unisce risultato sportivo al risultato economico, una squadra sostenibile, bella, giovane, attuale. Una squadra alla Theo. Questo si vede in campo, ma anche fuori. E si vede anche nell’approccio alla direzione tecnica della squadra: Mister Pioli forse entrerà nella storia del calcio non solo come uno degli allenatori più tecnicamente sottovalutati ad aver mai vinto uno scudetto, ma anche come uno dei suoi grandi team leader naturali. Si vede quando il Milan sta in campo, ma anche quando non lo sono: qui a Milanello c’è un’energia speciale.

Chiedo a Theo l’importanza di questa alchimia. «È molto importante, importantissimo. Noi abbiamo una squadra incredibile, con giocatori fortissimi, e veri amici. Come l’anno scorso: abbiamo lavorato bene tutti assieme, e sì, siamo giovani ma non giovanissimi, stiamo crescendo e maturando molto, come singoli e come gruppo, e per questo abbiamo vinto lo scudetto. Perché abbiamo lavorato bene, assieme, e il mister ci ha aiutato. Siamo una squadra affiatata, che si diverte, siamo pieni di energia e vogliamo scrivere altre pagine importanti della storia del Milan: abbiamo cominciato bene la stagione e vogliamo continuare così. E ci hanno aiutato anche i nostri tifosi, che sono un vero plus di questo club».

Forse non tutti si rendono conto di quanto sia giovane il Milan di Pioli. Ma i nuovi acquisti di quest’anno, ad esempio, dicono molto: al netto del 27enne parametro zero Divock Origi, gli altri sei nuovi arrivi hanno tutti tra 19 e 23 anni. Il che rende Theo – arrivato al Milan come giovane promessa solo tre anni fa – un giocatore nel pieno della maturità e nel mezzo del gruppo, anche se di anni ne ha solo 24. L’anno scorso, il Milan è stata la seconda squadra più giovane di tutta la Champions League. Sempre sul tema della crescita, Theo non fa distinzioni fra la sua crescita calcistica e quella umana, tra quella del singolo e quella del gruppo. «Da quando sono arrivato qua sono cresciuto tantissimo. Dal primo giorno, sia dal punto di vista calcistico che come persona, tutte e due. Quando sono arrivato qua non ero quello che sono ora: sono cresciuto tanto grazie al Mister, ai compagni, e a Paolo. Ma voglio continuare a crescere, e a lavorare. Crescere come uomo e come sportivo, secondo me sono la stessa cosa. Oggi mi sento un uomo più maturo, e anche in campo mi sento così. Certo, il nostro gruppo è molto giovane, ma secondo me giochiamo come una squadra matura, consapevole, una squadra che vuole vincere sempre. Ma abbiamo comunque una bella energia, siamo come una famiglia. Quando sono arrivato io, dal primo giorno Samu, Musacchio e i ragazzi spagnoli mi hanno aiutato tanto. Che è la stessa cosa che stiamo facendo noi, con i più giovani che sono arrivati adesso. Sono arrivati nuovi giocatori, ma dal primo giorno che sono arrivati qui, li abbiamo fatti sentire come una famiglia». Famiglia: un concetto importante per Theo. «Sì, adesso sono papà, che è la cosa più bella del mondo».

Milan-Atalanta. Si gioca a San Siro, il 15 Maggio 2022, l’ultima in casa dei rossoneri. Partita in quel momento cruciale per la corsa scudetto, se si vince, basterebbe un pareg- gio a Sassuolo. Non se ne parla, ma è nella mente di tutti. Nel pre-partita, un giornalista chiede a Pioli, «Mister, qual è stata la parola chiave del tuo discorso alla squadra in questi giorni?» E Pioli risponde, con gli occhi lucidi, «120%». Dopo 45 minuti di tensione, con le due squadre che sembrano paralizzate dall’ansia, a inizio secondo tempo Leão segna un goal semplice e bellissimo, e San Siro esplode. Al trentesimo, poi, con un tempismo perfetto Krunic ruba la palla in scivolata a Boga, davanti all’area del Milan, e questa finisce tra i piedi di Theo. Lui fa un piccolo salto come a ingranare la marcia giusta, si butta la palla avanti e inizia a correre.

A falcate immense se la allunga di interno sinistro verso il centro del campo, superando due attaccanti della Dea, Theo corre e insegue la palla, con l’interno destro se la tira davanti dritta, e corre, e ora è quasi alla linea di centrocampo, con tre tocchi di esterno sinistro si porta a trenta metri dalla porta dell’Atalanta in diagonale verso destra, poi si riallarga a sinistra con altri tre tocchi ravvicinati di esterno mentre salta un difensore della Dea e proprio mentre altri due difensori nerazzurri franano uno contro l’altro, Theo si trova da solo in area, tra Rebic e Leão, e tira di sinistro incrociato mentre cade avvitandosi su se stesso, e la palla quasi inevitabilmente si accascia nella rete dietro a Musso, e Rebic salta come un pazzo e Leão si mette entrambe le mani nei capelli, e San Siro esplode davvero, ed è lì che il Milan vince lo scudetto. Era impossibile non vincere la domenica seguente, a Sassuolo, fomentati da un goal del genere. Un gol che ricorda il coast-to-coast contro il Verona di George Weah, un gol da fuoriclasse vero. Un gol da giocatore completo, maturo. Un gol che è stato premiato come più bello del campionato di Serie A 2021/22 nell’ambito del Gran Galà del Calcio, l’evento in cui vengono premiati i migliori giocatori del campionato di calcio italiano maschile e femminile, organizzato dall’Associazione Italiana Calciatori in collaborazione con l’agenzia di sport marketing ed eventi Demetrio Albertini SRL.

Si dice che diventare padre sia proprio inspiegabile a parole, una cosa che ti cambia, ma in realtà ti mette in pace con il mondo, ti dà un ruolo chiaro, semplice, pulito. Ti rende maturo, forse? Una responsabilità atavica, biologica, antica, un mandato chiaro e semplice. E una nuova lente tramite la quale guardare il mondo che verrà. «Un figlio ti fa pensare al futuro? Sì. Mi piacerebbe tanto che diventasse anche lui sportivo, calciatore, magari. Ma Theo Jr. è troppo piccolo ancora! Ha solo cinque mesi. Ed è la cosa più bella che c’è al mondo. Essere padre ti mette in pace con l’universo. È così: la mia vità è semplice, io gioco a calcio, e poi dopo sto con lui. Certo, quando giochi male stai male, e non è che il calcio smetta di essere importante, ma quando vedi il tuo bambino, ti mette una felicità incredibile dentro, che non si può spiegare. Non hai bisogno di nient’altro». Ma, estendendo la similitudine tra questa squadra e una grande famiglia, oggi, al Milan, chi sono i padri? Faccio questa domanda a Theo Hernández, aspettando una risposta ovvia: Pioli, Maldini, Ibrahimovic, Kjaer… E invece: «Siamo tutti papà di questa famiglia. Tutti noi».

Da Undici n° 46
Foto di Leonardo Scotti