Il gol del 2-0 del Napoli contro l’Udinese, arrivato al termine di un’azione che sembra scorrere come i treni a levitazione magnetica, quelli velocissimi e potentissimi e avveniristici che si trovano in Giappone, in realtà inizia molto prima dell’assist di Lozano e del tiro a giro di Zielinski. Basta allungare all’indietro di qualche secondo il replay per rendersene conto: la difesa di Spalletti risputa fuori un pallone crossato dalla destra, Zielinski lo addomestica, lo fa rimbalzare e continua a controllarlo senza toccarlo. A quel punto alza un attimo la testa per guardare in avanti. Per cercare Osimhen. Dopo averlo visto, si coordina per dargli il pallone col sinistro – per lui tra destro e sinistro non c’è alcuna differenza – e serve un passaggio diagonale, da sinistra verso destra, che in partenza sembra teso ma che poi rimbalza tre volte sull’erba dello stadio Maradona fu San Paolo. È da qui, da questa decisione, da questa giocata, che prende il via un contropiede perfetto.
Quando si accende, o quando viene acceso, Victor Osimhen non si può contenere. È un dato di fatto, soprattutto in quest’ultimo scorcio di stagione prima dei Mondiali. Pochi minuti prima dell’azione che porterà al 2-0, infatti, il centravanti nigeriano aveva già sovrastato Bijol con un salto maestoso, eseguito con tempi perfetti. In questa occasione, invece, Osimhen mostra un’altra possibilità del suo menu tecnico e fisico: accorcia il campo all’indietro e chiama fuori ancora Bijol, il povero difensore che Sottil ha scelto per marcarlo, per provare ad anticiparlo, e ancora una volta Bijol viene letteralmente brutalizzato dal suo avversario. Perché Osimhen è troppo più veloce, troppo più prestante, troppo più scaltro rispetto alla maggioranza dei difensori del campionato di Serie A – tra cui Bijol. E quindi è in grado di farsi dare quel pallone e di farlo scorrere sull’erba, ed è così che ha attirato Bijol verso di sé e l’ha evitato senza neanche farsi toccare, aprendosi il campo verso la fascia destra.
Un attimo dopo, la regia della Serie A fa un errore che però si rivela virtuoso: cambia inquadratura, stringe su Osimhen, che è stato raggiunto da Ebosse e ingaggia l’ennesimo duello spalla a spalla della sua partita. Sembra che in questo modo si perda la prospettiva del campo, ma è così che assistiamo a un’altra sfida vinta in partenza da Osimhen, perché Ebosse non è per niente un uomo gracile eppure sembra che non riesca nemmeno ad avvicinarsi all’attaccante nigeriano del Napoli: l’immagine stretta mostra chiaramente che il difensore dell’Udinese gli rimbalza addosso, prova a usare le spalle ma viene tenuto a distanza con una facilità disarmante, alla fine tenta disperatamente di aggrapparsi a lui con entrambe le mani ma il pallone è già scomparso, e in ogni caso Osimhen non sarebbe mai, mai, mai, andato giù.
Victor Osimhen viene accusato spesso di essere un giocatore tecnicamente elementare, ma quella che abbiamo appena descritto è una gran giocata. Certo, il colpo di tacco che libera il pallone e pure Lozano non sarà proprio elegantissimo, ma il modo con cui il centravanti nigeriano gioca – letteralmente – con i difensori dell’Udinese è una testimonianza di pura supremazia fisica che diventa tattica e poi anche tecnica: in fondo un attaccante che attira su di sé due avversari e fa progredire l’azione è un attaccante che fa esattamente quel che serve. D’altronde che cos’è la tecnica calcistica, se non la capacità di essere efficaci con la palla tra i piedi?
Anche Hirving Lozano viene spesso inserito nella lista dei giocatori forti ma non belli da vedere, ma anche lui in questo caso compone ed esegue inno all’efficacia che diventa estetica: a prima vista potrebbe lanciare Zielinski solo davanti a Silvestri, ma in realtà ha poco angolo per l’assist in profondità, anche perché ci sono due difensori dell’Udinese che stanno scappando nel modo giusto all’indietro. E allora la scelta di servire il compagno sui piedi non sarà la più scenografica, ma di certo è la più sensata. A quel punto, però, ci pensa Piotr Zielinski ad alzare al massimo il livello puramente tecnico dell’azione. Come la regia di Serie A, un leggero errore – un primo controllo appena difettoso – diventa virtuoso in pochi millesimi di secondo: il centrocampista polacco allunga la gamba destra all’indietro e poi tocca il pallone quel tanto che basta per toglierlo dal radar di Walace; meno di un istante dopo si è già inarcato per una conclusione che risulterebbe impossibile al 97% della popolazione mondiale, e anche al 65% circa dei giocatori di Serie A, visto che la palla gli è rimasta sotto, come si suol dire, cioè qualche centimetro più indietro rispetto al punto ideale di impatto.
Solo che, come detto, Zielinski ha deciso – d’altronde ha tutto ciò che serve per farlo – di far schizzare alle stelle il tasso di purezza e bellezza dell’azione, e allora colpisce la palla di collo interno e questa prende a volteggiare in aria con una traiettoria a giro sul secondo palo, di quelle che fanno impazzire tifosi, analisti, allenatori, i giocatori stessi. Nel replay si vede che Slvestri ha fatto qualche passo in avanti per provare a chiudere lo specchio della porta. Non sa – o meglio: non può immaginare – che si tratta di una scelta concettualmente giusta fatta nel momento sbagliato, contro l’avversario sbagliato: la conclusione di Zielinski lo supera con un dolcissimo e beffardo effetto-palombella, e si deposita nel punto in cui si congiungono il lato lungo e il lato corto della rete.
Straripante Osimhen
Diciassette secondi: è il tempo trascorso tra il colpo di testa a liberare l’area di Juan Jesus e l’esultanza di Zielinski, del Napoli, di tutto lo stadio Maradona. È qui, in questo dato, che si nasconde il segreto del meraviglioso avvio di campionato di Spalletti e della sua squadra: fino a qualche mese fa, il Napoli era una squadra solo potenzialmente in grado di segnare un gol del genere, ma ora sembra una squadra programmata per farlo. Perché è fondata sulla forza straripante del suo centravanti e anche di Kvaratskhelia e Lozano, perché i calciatori-simbolo del ciclo precedente erano molto bravi e quindi più propensi a fare altro, ad attaccare in un modo diverso, e quindi era come se il Napoli dovesse giocare e segnare rispettando un certo stile, sempre lo stesso, da anni e per sempre. In questo contropiede impressionante ma anche vellutato, in fondo, c’è l’essenza di una squadra che parla una lingua diversa, che grazie a questa sua nuova veste ha impresso il suo marchio sul campionato italiano e anche sulla Champions League, si è presa le copertine, diverte e si diverte, vince ed esalta dei talenti giovani eppure già accecanti, manifestando uno strapotere e una carica innovativa che non si vedevano da anni, in Serie A. E che andavano celebrati, prima dell’arrivederci all’anno nuovo.