Cristiano Ronaldo non poteva scegliere un modo peggiore per vivere il suo tramonto

L'intervista a Piers Morgan, in cui attacca tutto e tutti, è solo l'ultimo atto di un invecchiamento che CR7, semplicemente, non riesce ad accettare.

Quello che sta succedendo a Cristiano Ronaldo l’ho già visto succedere in tantissimi documentari naturalistici. Sono un appassionato di documentari naturalistici e in particolare di quelli dedicati agli animali che vivono in branco. Nella vita della maggior parte dei branchi c’è un momento che si ripete sempre e uguale sin dall’alba dei tempi: quello in cui il dominio del maschio alfa finisce. Nel Regno Animale, la sovranità inizia a finire nei dettagli: un giorno l’alfa si accorge che gli ossequi del resto del branco diventano sempre meno e meno frequenti e meno sinceri, e capisce che il momento sta arrivando. Ma per quanto la fine di ogni dominio sia naturale e inevitabile e necessaria, c’è una memoria ancestrale inscritta nei geni di ogni alfa che gli impone di resistere: nella vita della maggior parte dei branchi, la fine del dominio del maschio alfa è un momento brutale, un combattimento, una morte.

Brutale è l’aggettivo che in questi giorni mi è venuto in mente vedendo le immagini di Cristiano Ronaldo nel ritiro della Nazionale portoghese. Guardo la freddezza della stretta di mano di Bruno Fernandes, l’aggressività della reazione di Cancelo e penso ai momenti in cui tutti i maschi alfa che hanno dominato il loro branco nella storia della vita sulla Terra hanno capito che quel dominio era giunto al termine. Seguo lo sguardo confuso con cui Ronaldo si guarda attorno nello spogliatoio dopo essere stato snobbato da Fernandes, i suoi passi incerti nel campo d’allenamento dopo essersi sorbito la sfuriata di Cancelo, e penso alla confusione e all’incertezza di tutti gli altri maschi alfa di fronte alle prime, minuscole, insignificanti sfide alla loro predominanza.

Invecchiare è terribile come tutte le cose che altri decidono per noi senza consultarci. La natura o Dio hanno deciso che a un certo punto, che lo vogliamo o no, il processo di rigenerazione delle nostre cellule rallenterà e che le nostre funzioni metaboliche si appesantiranno, che invecchieremo e ingrasseremo con o senza il nostro consenso, e che alla diminuzione del vigore del nostro corpo seguirà una proporzionale diminuzione della nostra importanza in società. Il meglio che possiamo aspettarci è ascendere al ruolo di saggi, di esempi, di consiglieri, riveriti ma non davvero rilevanti. Le decisioni, quindi il futuro, appartengono alla gioventù. Invecchiare è terribile, non a caso l’arte ha raccontato di uomini ossessionati da se stessi al punto tale da stringere patti con il demonio pur di rimanere sempre uguali a se stessi. Di certo Ronaldo firmerebbe un contratto con il diavolo pur di rimanere sempre Ronaldo. Ma purtroppo per lui, non esiste alcun quadro da nascondere in soffitta che possa salvarlo dal tempo che passa, nessun demonio che gli metta davanti un contratto da firmare: sta invecchiando, deve invecchiare, invecchierà pure lui. E lo sta facendo malissimo. Ieri è stata trasmessa la prima parte – la seconda la vedremo questa sera – di un’intervista di CR7 al giornalista inglese Piers Morgan. Già nei giorni precedenti alla trasmissione, nel mondo del pallone non si è fatto altro che parlare delle parole di Ronaldo: contro Ten Hag, contro il Manchester United, contro i Glazer, contro i giovani, contro il mondo intero.

Ieri notte, guardando l’intervista. ho pensato che anche Ronaldo sta invecchiando, nonostante i regimi alimentari pensati per la vita eterna e i programmi d’allenamento decisi a fini di invulnerabilità. Sta invecchiando anche Ronaldo, e come tutti quelli che invecchiano le sue parole si incattiviscono e le sue ossessioni si approfondiscono. Gli essere umani sono poco più che animali e le micro-società che costruiscono poco più che branchi: vale anche per una squadra di calcio. Privato del suo dominio dall’ineludibile scorrere del tempo, Ronaldo ha rifiutato il ruolo di saggio, di esempio, di consigliere che l’uomo ha inventato per risparmiare ai propri alfa la fine cruenta che aspetta quelli del Regno Animale. Ronaldo non riesce ad abbandonare il suo posto nella Rupe dei Re, quindi sfida il mondo nella maniera più stanca – quindi vecchia – che ci sia: con un’intervista dai toni rancorosi e dai contenuti reazionari.

Tra tutti i passaggi rilevanti di questa intervista ce n’è uno irrilevante che dice molto dello stato delle cose di Ronaldo: quello in cui il giocatore più social del mondo se la prende con i ragazzini della nuova generazione perché sono troppo distratti dai social. È il segno di un avvenuto cortocircuito nella mente di Ronaldo, di un distacco definitivo persino dalla cosa che più ha coltivato, protetto, curato nel corso di tutta la carriera: la sua immagine. È troppo smaliziato, Ronaldo, per non sapere che un’intervista come questa – in cui ha detto di non rispettare Ten Hag, in cui ha a stento degnato di menzioni i compagni di squadra, in cui ha umiliato il Manchester United parlando di strutture vetuste in cui da vent’anni si usano le stesse Jacuzzi, gli stessi attrezzi in palestra, gli stessi cuochi in cucina – lo avrebbe esposto al pubblico ludibrio e all’ostracismo dei compagni (una squadra di calcio è poco più di un branco, appunto). Ma non gli importa e si capisce chiaramente. Ronaldo è ormai da anni consumato dalla stessa ossessività che lo ha fatto prima il più forte calciatore del mondo e poi il primo giocatore di uno sport di squadra a giocare quello sport come fosse una competizione individuale.

Da quando è tornato al Manchester United, nell’estate 2021, Cristiano Ronaldo ha accumulato 54 presenze e 27 gol in tutte le competizioni (Oscar Del Pozo/AFP via Getty Images)

Nell’intervista con Piers Morgan, l’unico momento in cui la continuità robotica della voce di Ronaldo viene interrotta da un’umana emozione è quello in cui Morgan gli cita uno dei suoi record più recenti e più irrilevanti: quando è tornato al Manchester United, la sua maglietta è diventata la più venduta in un solo giorno nella storia del calcio, battendo un record precedentemente stabilito da Lionel Messi. «Non sono io che seguo i record, sono loro che seguono me», risponde Ronaldo, come fosse nella fase della sua carriera in cui i record sono ancora futuro e non già testimonianza.

L’ossessione di Ronaldo probabilmente è Messi, la balena bianca per il suo capitano Achab. È possibile, come sostengono quasi tutti, che Ronaldo resti sveglio la notte angustiato dal pensiero di tutte le insignificanti e irrilevanti classifiche nelle quali l’argentino gli sta davanti. È possibile ma, forse, la vera ossessione di Ronaldo è Ronaldo stesso, quell’immagine di splendore, perfezione e onnipotenza che è stata l’immagine del calcio tutto per quasi vent’anni. Ronaldo non accetta sfide a quell’immagine, da nessuno, di nessun tipo, per nessun motivo: sempre nell’intervista a Morgan ha detto di aver capito che Rangnick non era davvero un allenatore quando lo prese da parte e gli disse che non pressava abbastanza. «Non sono d’accordo», fu la sua risposta. Una cosa simile è successa con Ten Hag quando quest’ultimo gli ha chiesto di adattarsi al nuovo ruolo di saggio, di esempio, di consigliere che l’età ormai gli impone: «Se tu non rispetti me, io non potrò mai rispettare te», la sua risposta.

Nei gesti, nelle parole, nelle espressioni di Ronaldo, nel modo insistente con cui sottolinea il perfetto stato di conservazione del suo corpo e nella ripetizione mantrica dei suoi record, si capisce che CR7 vive lo stesso identico presente eterno che vivono tutti gli alfa, convinti che nessuno dovrebbe e potrebbe mai prendere il loro posto sulla Rupe dei Re. Ma per lasciare un’eredità, per diventare leggenda, per ascendere a mito – che è ciò che Ronaldo desidera davvero, pur nella fuorviante convinzione che tutto questo sia ottenibile con tabelle e classifiche – c’è un passaggio ineludibile, inevitabile: accettare il passato. E di farne ormai parte.