Provate a fermare Bukayo Saka

L'esterno dell'Inghilterra potrebbe essere una delle grandi sorprese dei Mondiali?

Quando Giorgio Chiellini gli ha preso il dietro della maglia per buttarlo a terra mentre lo stava sorpassando a centosettanta all’ora, nella finale dell’Europeo 2020, gli è riuscito qualcosa di più difficile di un gol, di un assist, e forse qualcosa che riecheggia anche più a lungo: diventare un meme. Il meme era poi anche simbolico di come andò quella notte: Chiellini che ferma la corsa di un giocatore inglese, l’Italia che ferma la coppa dal tornare “a casa”, come speravano dopo decenni da quelle parti. Scontato dire che Bukayo Saka in realtà è molto più di un meme. Meno scontato, invece, dire che in Qatar ci va come uno dei talenti più cristallini del mondo.

Stavo leggendo della partita in cui segnò il suo primo gol, contro l’Eintracht nel 2019, e Nick Ames, il giornalista del Guardian che compila quell’articolo, scrive a proposito dell’Arsenal: «Esiste una squadra, in Inghilterra, capace di oscillare così follemente tra ottimismo e disperazione?». La stessa domanda, allargata un po’, si può applicare all’Inghilterra calcistica: se prima della finale si sentivano uno schiacciasassi capace di battere chiunque, oggi in tanti dicono che Southgate è finito, che non ci sono speranze, e così via. Oscillare tra la disperazione e l’entusiasmo è anche quello che è capitato a Saka. Il razzismo che gli si riversò addosso dopo il rigore di Wembley fu scioccante. Lui ha detto, di quel tiro sbagliato: «Ho capito subito che tipo di odio stavo per ricevere».

Saka è molto poco inglese, in come appare o come gioca. Almeno, poco inglese per come abbiamo sempre inteso l’Inghilterra che gira intorno al pallone. Intanto non ha oscillato, lui: sono io che, prima, ho scritto male. La percezione che molti avevano di lui, quella sì: l’hanno detestato, l’hanno insultato, e adesso non possono far altro che ammettere che un talento come il suo, in Inghilterra, è unico. Si è ripreso tutto, e ha alzato la posta, come si dice, raddoppiando. La nuova stagione è iniziata meglio ancora della precedente, comunque straordinaria, per lui e per l’Arsenal. Segna, passa, soprattutto salta l’uomo. Si è preso il titolo di miglior giocatore inglese dell’anno, la prima volta che capita a un Gunner. Il suo modo di giocare esprime una leggerezza e una gioia che non avevamo mai associato a un giocatore britannico, prima d’ora – fatta eccezione, forse, per certi momenti di Beckham e Owen.

Il suo viso è enigmatico: una maschera da cui sembra filtrare lucidità, intelligenza e serenità. In un’intervista alla versione britannica di GQ, nell’aprile 2022, ha detto: «Non mi piace pensare troppo alle cose. Se pensi troppo alle situazioni positive, finisce che quelle negative si infilano nella tua testa, poi diventi nervoso e cose così». Ancora, ospite a un podcast di The Ringer, ha detto: «Penso a quello che deve ancora succedere in un modo positivo, invece di pensare che succede se non gioco bene, penso invece che segnerò o farò un assist, e cerco di prendere un po’ di eccitazione da lì. Alla fine è una partita di calcio, se ci penso troppo diventa qualcosa fuori dal mio controllo».

Provate a fermarlo

Per come si muove ricorda un’altra ala straordinaria e quasi coetanea, che gioca però dall’altra parte del campo: Rafael Leão. Entrambi caracollano con il pallone incollato al piede, entrambi hanno la capacità di tenere la sfera sotto il loro totale dominio anche quando sembra appena troppo distante, o non perfettamente a terra. Entrambi hanno il pensiero estremamente rapido, così veloce che è impossibile da seguire. La cosa che affascina di più, nel guardare Saka, è constatare come non ha nella singola accelerazione il suo punto di forza, ma nella complessità del dribbling: e cioè nell’accelerazione e insieme nella frenata, che prelude spesso a un’accelerazione ulteriore, ma non si sa se a destra o a sinistra. Palla appiccicata al velcro del piede, il mancino di Saka farebbe temere il difensore per il lato interno del campo, e invece è un attimo: lui butta la palla verso il fondo e approfitta di quell’intuizione per superare il marcatore e guadagnare un metro, da lì potrebbe crossare, è tutto pronto, e invece frena, di colpo. Il difensore gli è di nuovo davanti, ma mentalmente è sempre più debole: sa, adesso, che può essere superato da ogni parte. E quasi sempre, con una certa regolarità, è proprio quello che succederà.

Ecco, il dribbling di Saka sembra essere funzionale alla distruzione psicologica dell’avversario, oltre che – ovviamente – a portare alla squadra un gol o un assist. Può un gioco così entusiasmante da vedere, così felice, gioioso, essere allo stesso tempo un incubo per gli avversari? Essere una gioia per gli occhi e una tortura da infliggere sul fisico e sulla mente del difensore di turno? E, allo stesso tempo, può un ragazzino di nemmeno vent’anni trovare la forza di rialzarsi dopo essere stato fatto a pezzi, e diventare ancora il più forte di tutti? Le risposte ci sono già, dicono tutte: sì, se è Bukayo Saka.

Da Undici n°47