La Francia saprà cambiare per ripetersi?

Deschamps ha la squadra più ricca di talento, ma fatica a trovare una formula efficace. Basterà affidarsi a Mbappé per vincere ancora?

In tutte le edizioni dei Mondiali c’è una squadra che corre da sola, che ha un obiettivo diverso dalle altre Nazionali. Solo i campioni in carica hanno il lusso di poter puntare un’impresa storica, un bis che nell’albo d’oro della competizione manca da sessant’anni, dai tempi del Brasile del ‘62. Prima c’era riuscita solo l’Italia di Giuseppe Meazza e Vittorio Pozzo, ma era l’epoca dei palloni con le cuciture esterne e le maglie diana, preistoria del calcio. Insomma, in Qatar la Francia cercherà un repeat che non ha precedenti nella storia recente. «Davanti a noi abbiamo una sfida speciale», ha dovuto ammettere Guy Stéphan, vice del ct Didier Deschamps. E per questa sfida speciale i Bleus hanno a disposizione una quantità di talento imbarazzante, quasi ingiusta per un solo Paese. In ogni ruolo, in ogni posizione del campo – anche considerando le possibili variabili di modulo – Deschamps ha due o tre opzioni, in un ventaglio che raccoglie una trentina dei migliori giocatori d’Europa. Se si fa male Varane le alternative in difesa si chiamano Koundé, Upamecano, Saliba e Badiashile; senza Kanté, a centrocampo giocheranno Tchouameni, Camavinga, Fofana o Guendouzi; davanti si oscilla tra Mbappé, un contorno fatto di veterani reduci dal titolo del 2018 (Griezmann, Giroud) e giocatori fortissimi al picco della carriera come Coman e Dembélé. Senza contare che la sfortuna ha cancellato Benzema e Nkunku dal roster di Deschamps.

Con una rosa che somiglia più a un All-Star che a una rappresentativa nazionale, il focus dell’attenzione va spostato su come il talento viene messo a sistema. La squadra che aveva vinto nel 2018 viveva su lampi e intuizioni dei singoli più che su un’idea tattica da realizzare. Deschamps assemblava la formazione preoccupandosi di creare solo la formula più equilibrata per far convivere il genio dei suoi migliori giocatori – a partire da Mbappé – aspettando che le cose belle si rivelassero in maniera naturale, in un gioco molto verticale e diretto. Uno spartito semplice e perfetto per una band eccezionale.

I problemi sono arrivati dopo. Dagli ultimi Europei il calcio ha ereditato una nuova verità: anche nel gioco delle Nazionali l’impianto tattico deve portare un valore aggiunto, così come accade per i club. L’allenatore non può più limitarsi a guidare il gruppo con il pilota automatico, deve amalgamare le forze per ottenere qualcosa in più della somma dei singoli talenti. È per questo che nell’estate del 2021 l’avventura della Francia si è fermata agli ottavi finale, in quell’eliminazione cupa e triste ai rigori con la Svizzera.

Negli ultimi due anni l’amministrazione di Deschamps ha deragliato. Il ct ha richiamato in Nazionale Benzema per affiancarlo a Griezmann e Mbappé; ha speculato al massimo sulle individualità, ha rinunciato a Giroud e a quell’idea di calcio verticale e ripartenze veloci vista in Russia. Convocazione dopo convocazione, Deschamps ha anche provato a inserire nomi nuovi, da Theo Hernández a Upamecano, da Koundé a Nkunku, cercando un ricambio generazionale in questi nomi dell’élite europea. Nella sua metamorfosi la squadra ha perso i pochi riferimenti tattici che aveva, ha smarrito certezze e appigli, è diventata un ensemble jazz di musicisti fenomenali. Quando vanno a tempo sono celestiali, ma non sempre suonano la stessa musica.

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Il primo e più importante interrogativo di questa squadra siede in panchina. È arrivato il momento di chiedersi se una vera trasformazione – cioè se una qualsiasi variazione sul tema rispetto al 2018 – sia nelle corde di Deschamps. Forse l’approccio minimalista visto in Russia è l’unico possibile per un allenatore che finora, quando ha sperimentato cose nuove, ha trapanato l’acqua perlopiù. Nelle ultime uscite, tra giugno e settembre in Nations League, ha alternato più soluzioni, difese a 3 e difese a 4, tensioni più verticali e ambizioni di palleggio orizzontale, con l’unica costante di fare una fatica bestiale a tenere tutto insieme: delle sei partite tra andata e ritorno con Danimarca, Croazia e Austria ne ha vinta una sola. Allora il destino della Francia in Qatar sta nelle scelte esistenziali del suo ct. Come deciderà di affrontare la sfida storica per una generazione di fenomeni che sembra non avere limiti di ambizione? Troverà ancora l’equilibrio in una formazione minimal ma in grado di attivare il potere abbagliante dei migliori giocatori, o tornerà ancora in laboratorio alla ricerca di una formula in grado di amalgamare tutto il talento a disposizione?

Sulla carta, il Gruppo D con Tunisia, Australia e Danimarca potrebbe essere un terreno sufficientemente morbido per allungare la fase di beta test e cercare nuove soluzioni. Il problema è come sempre trovare la quadra in tempo per le partite che contano di più, in un torneo in cui non basta essere fortissimi, in un format che sa essere crudele con chi non è pronto abbastanza. La Francia ha veramente tutto, ma proprio tutto, per arrivare fino in fondo. Nel miglior scenario possibile torna a giocarsi la Coppa del mondo nelle partite prima di Natale senza fare troppa fatica, in tutti gli altri toccherà inventarsi qualcosa di diverso per arrivare preparati all’appuntamento con la storia.

Da Undici n° 47