È difficile che il Mondiale 2030 possa giocarsi davvero in Uruguay e in Sudamerica

La candidatura CONMEBOL è la più forte a livello storico ed emotivo, ma è la più debole per tutti gli altri aspetti.

L’ultimo consiglio Fifa ha deliberato che il processo di assegnazione del Mondiale 2030 terminerà ufficialmente nel terzo bimestre del 2024, quindi a meno di sei anni dal torneo vero e proprio. Non è una buona notizia per la candidatura del Sudamerica, quella composta da Uruguay, Argentina, Cile e Paraguay: il lasso di tempo tra l’annuncio della proposta vincitrice e il calcio d’inizio della fase finale è considerato troppo breve per poter far fronte ai tanti problemi – logistici, organizzativi, anche economici e politici – che riguarderebbero i Paesi della parte meridionale del Sub-Continente. In relazione a questo aspetto, Espn scrive che la CONMEBOL – la confederazione calcistica sudamericana – auspicava che la decisione definitiva venisse presa addirittura due anni fa, nel 2021, e che solo in questo modo i Paesi e le istituzioni sportive locali sarebbero riuscite a gestire bene l’enorme macchina organizzativa che sta dietro un’edizione della Coppa del Mondo. Come detto, il processo di hosting ha avuto una durata completamente diversa. Ed è ancora in corso. Il fatto che manchi ancora un anno e mezzo alla decisione finale, poi, rischia di rendere ancora più difficile che la fase finale venga effettivamente assegnata a Uruguay, Argentina, Cile e Paraguay.

Pochi giorni fa, quando la candidatura CONMEBOL è stata ufficialmente presentata dopo anni di lavoro preparatorio, Alejandro Dominguez – presidente della confederazione sudamericana – ha detto che «il Mondiale del 2030 merita una celebrazione del centenario. Siamo fermamente convinti che la Fifa debba onorare la memoria di chi è arrivato prima di noi e ha reso possibile l’organizzazione della prima Coppa». È una visione molto romantica e anche condivisibile, se analizzata da alcuni punti di vista: l’idea di celebrare i cento anni della Coppa del Mondo laddove tutto ha avuto inizio è certamente suggestiva. Oltre a quello del tempo, però, ci sono molti altri ostacoli da superare. E non è detto che sia possibile superarli, anche perché alcuni dei problemi sono interni ai Paesi coinvolti nella candidatura e alla stessa confederazione. Pochi giorni fa, per esempio, proprio Alejandro Dominguez ha annunciato che la Copa América del prossimo anno si disputerà negli Stati Uniti e non in Ecuador, come inizialmente previsto, a causa del difficile momento socio-politico attraversato dal Paese: non proprio la miglior pubblicità possibile per la candidatura della CONMEBOL a ospitare un’edizione della Coppa del Mondo. Soprattutto se pensiamo che tutto questo è avvenuto solamente un anno prima dell’assegnazione della Fifa, e che si tratta di un replay: nel 2021, infatti, la Copa América era stata inizialmente assegnata ad Argentina e Colombia, ma poi entrambi i Paesi si sono ritirati. E il torneo, alla fine, si è svolto in Brasile.

Un altro aspetto piuttosto importante – ma in negativo – per la candidatura sudamericana riguarda la posizione di Lionel Messi. Che, a partire dallo scorso anno, è diventato uno dei volti che promuovono nel mondo il turismo in Arabia Saudita, e quindi il brand stesso di Riyad e del Regno. I dettagli dell’accordo sono stati raccontati da The Athletic in questo articolo, ma non c’è bisogno di approfondire più di tanto il tema per intuire che il contratto sottoscritto da Messi sia un volano per promuovere la candidatura saudita per il Mondiale 2030 – esattamente come la presenza di Cristiano Ronaldo nel campionato locale, dopo la firma con l’Al-Nassr. E infatti un altro ostacolo piuttosto complicato da superare per la CONMEBOL, l’Uruguay e tutti gli altri Paesi sta proprio nelle proposte concorrenti: quella saudita, appunto, in uno strano patto tripartito con Egitto e Grecia; quella un po’ più classica inviata singolarmente dal Marocco; e infine quella presentata da Spagna, Portogallo e Ucraina. Si tratta di Paesi decisamente più ricchi e/o più stabili e/o con infrastrutture migliori per organizzare una manifestazione complessa come la fase finale di una Coppa del Mondo. E poi, sempre tornando all’Arabia Saudita, ci sono da mettere sulla bilancia anche i nuovi equilibri di geopolitica calcistica: dopo la Supercoppa Italiana e quella spagnola, il Regno si è assicurato anche il Mondiale per Club del prossimo anno; l’acquisto del Newcastle da parte del fondo sovrano PIF, quindi, è stato solo l’inizio di una vera e propria manovra a tenaglia del governo di Riyad per impossessarsi del calcio, o comunque per diventarne protagonista. Come detto Leo Messi è già parte attiva di questo processo. pur restando il simbolo dell’Argentina nel mondo.

Insomma, ci sono davvero tutti gli elementi per pensare che la candidatura emotivamente più forte risulterà essere quella più debole dal punto di vista economico, politico, istituzionale. Anche perché ci sarebbero (ancora) altri problemi piuttosto importanti da risolvere: il primo riguarda l’alternanza dei continenti, visto che i Mondiali del 2014 e del 2026 sono stati organizzati da Paesi americani; e poi l’ultimo precedente in loco, quello di Brasile 2014, viene ricordato in modo negativo dai vertici Fifa: in occasione della Confederations Cup che si svolse un anno prima, inatti, diversi movimenti locali organizzarono delle proteste anche piuttosto violente in molte città del Paese. Nel mirino dei manifestanti finirono il caro biglietti sui trasporti pubblici, la carenza di infrastrutture sanitarie e anche la brutalità della polizia. In alcune località comparvero anche degli striscioni in cui si invitava la Fifa a “pagare il conto”. Una pubblicità non proprio gradita dalla Confederazione calcistica internazionale.

Direttamente da Brasile 2014, uno striscione che la Fifa non avrebbe piacere di rivedere (Yasuoshy Chiba/AFP via Getty Images)

Da qui a un anno e mezzo, come se non bastasse, tutte queste situazioni difficili potrebbero anche peggiorare. Perché i Paesi coinvolti nella candidatura vivono – in parte o totalmente – gli stessi problemi dei loro vicini, dell’Ecuador, della Colombia, del Brasile, soprattutto dal punto di vista economico. E allora i cittadini potrebbero pensare, anche giustamente, che investire tantissimi soldi in una manifestazione sportiva non possa e non debba essere vista come una priorità.

Ovviamente anche i dirigenti della CONMEBOL sono a conoscenza di tutte queste problematiche, e quindi sono coscienti che organizzare il Mondiale in Uruguay, Argentina, Cile e Perù sarà molto difficile. Per non dire impossibile. In questo senso, Espn scrive addirittura che «il vero obiettivo di alcuni operatori della candidatura sudamericana sia quello di accumulare un po’ di voti e di consenso per poi farli valere in seguito, come un’utile merce di scambio per i negoziati futuri». Non sarà un obiettivo romantico, ma sembra essere quello più realistico, almeno in questo momento storico.