Cattivissimo Mancini

Il difensore della Roma è un vero artista del fallo, della rissa, della provocazione.

Gianluca Mancini è un giocatore benedetto da un talento naturale che gli permette di trovarsi sempre al posto giusto e al momento giusto. Solo che per lui, spesso e volentieri, il posto giusto è la rissa e il momento giusto è quello in cui scoppia la rissa. Prima di cominciare la mia discettazione sull’etica e l’estetica della rissa secondo Gianluca Mancini, una premessa necessaria che spero mi valga il perdono e l’assoluzione dei tifosi romanisti: sono da sempre e per sempre un fan dei giocatori rissaioli, degli specialisti della zuffa, dei talenti del calcio giocato anche con le mani. Sono fermamente convinto che la baruffa, il litigio, la zuffa, la rissa, le botte, usate la definizione che vi torna più comoda e vi è più familiare, siano parte integrante del gioco, un’eventualità della partita in cui è importante saper stabilire la propria supremazia proprio come in qualsiasi altra eventualità della partita. È per questo che credo che giocatori come Mancini siano importanti, se non fondamentali, a prescindere da quello che sono capaci di realizzare con i piedi.

Tutte le grandi squadre che hanno lasciato una traccia nella mia memoria, tra l’altro, avevano in rosa almeno uno specialista di questo tipo: la Juventus di Lippi aveva Montero (e non solo), il Milan di Ancelotti seguiva il capobranco Gattuso, nell’Inter di Mourinho c’era Walter Samuel, nell’ultimo, leggendario ciclo del Real Madrid uno dei protagonisti è stato Pepe. Insomma, tutto per dire che considero questo fondamentale, e il giocatore specializzato in questo fondamentale, una necessità per qualsiasi squadra con aspirazioni di dominio e sogni di grandezza. Ma veniamo a Gianluca Mancini, ultimo – e per ora ancora minore – esponente di questa dinastia di duri, ruvidi, irascibili del calcio. 

Nelle ultime settimane il difensore della Roma ha certamente fatto il salto di qualità, tra la partita con la Cremonese e lo scazzo con Dessers e la sfida con la Juve e la mezza scenata che ha portato all’espulsione di Kean. Che Mancini fosse uno piuttosto irascibile è cosa nota già da tempo e attorno a questo tratto del suo carattere negli anni romanisti si è creato un piccolo culto. Sui social ci sono diversi video più o meno lunghi che raccolgono le migliori prove del suo talento nella nobile arte del fallo, che Mancini padroneggia come un sensei, in ogni sua declinazione a variante: il fallo tattico e quello non tattico, e poi quello giusto e quello ingiusto, quello cattivo e quello involontario, quello quando la palla ce l’hanno gli altri e quello quando la palla ce l’ha lui, quello a gioco attivo e a gioco fermo, quello ai danni di un veterano e quello contro un novellino (tra le sue imbruttite che preferisco: quella contro un poco più che adolescente Mason Greenwood del Manchester United, talmente brutta da vedere da aver costretto Edinson Cavani a intervenire per evitare il peggio) quello commesso con le parole e quello con le opere e quello con le omissioni. Tra le numerose testimonianze audiovideo che girano sui social, la mia preferita è un collage lungo circa tre minuti dall’esilarante titolo “3 minuti di Gianluca Mancini che viene ammonito (ed espulso)”. «Eh, Mancini ha un’ammonizione a partita», si sente dire a un telecronista che non riesco a riconoscere all’inizio del video. Fa ridere perché è vero. Nella descrizione, l’autore di questo mirabile bignami del fallo calcistico scrive che Mancini è «un giocatore particolarmente aggressivo che perde la testa molto facilmente, caratteristica che lo ha portato ad essere il calciatore più ammonito in Europa questa stagione!», stagione di riferimento quella 2021/2022. Anche in questo caso, fa ridere perché è vero.  

Che Mancini fosse un giocatore «particolarmente aggressivo», però, è cosa nota da tempo. Ma, come detto, nelle ultime settimane il difensore ha fatto un ulteriore salto di qualità, ha aggiunto mosse al suo repertorio e allargato il suo arsenale. Dalla peculiare doppietta messa a segno da Mancini negli ultimi turni di campionato – doppio scazzo, prima con Dessers della Cremonese e poi con Kean della Juventus – ho scoperto che Mancini è un ragazzo dall’ottima memoria. È così che si spiega l’incazzatura contro Dessers: stando alle ricostruzioni giornalistiche, il problema non è stato tanto l’esultanza del giocatore della Cremonese – quando in Italia aboliremo l’uso di definizioni come “esultanza polemica” sarà sempre troppo tardi – quanto alcuni vecchi peccati per i quali quest’ultimo non ha mai chiesto perdono né fatto penitenza. Mancini, infatti, non aveva preso bene le dichiarazioni fatte da Dessers dopo la finale di Conference League dello scorso anno: sconfitto con il suo Feyenoord, l’attaccante si era sfogato nel post partita accusando i giocatori della Roma di scorrettezze varie ed eventuali perpetrate nel corso della partita. «A palla lontana avevo i loro gomiti addosso, tutto era lecito», aveva detto Dessers, facendo a Mancini due gravi torti: innanzitutto quello di non citarlo con nome e cognome, privandolo così del giusto riconoscimento; poi quello di aver parlato solo dei gomiti, riducendo il repertorio del difensore della Roma a una parte del corpo tutto sommato marginale nell’economia di una partita. Persino nell’economia di una partita di Mancini. Si capisce che il difensore, ritrovatosi di fronte Dessers, abbia fatto fatica a contenere la rabbia: ogni artista pretende e necessita il riconoscimento della firma che appone sulle sue opere.  

Se il litigio con Dessers può essere dunque spiegato con questioni, per così dire, di copyright – almeno dillo che i gomiti che ti stavano addosso quando la palla era lontana erano i miei – lo scazzo con Kean nella partita contro la Juventus rappresenta forse il magnum opus manciniano, l’equivalente in scorrettezza calcistica di quello che la “Pala di San Zeno” di Mantegna rappresenta per l’arte sacra. Nello scontro con Kean c’è una perfetta tripartizione del gioco sporco. Prima, Mancini contrasta Kean con un intervento che forse è fallo o forse non lo è, ma che certamente dà ai nervi solo a guardarlo. Poi, Mancini trascina l’avversario sul prato dell’Olimpico, con entrambe le mani saldamente strette attorno alle scapole di Kean. Infine, senza nessun motivo, Mancini comincia a sbracciare e a protestare, a quel punto Kean perde la pazienza, gli rifila un calcio sugli stinchi e il difensore della Roma crolla su se stesso, evidentemente schiacciato dal peso della cattiveria del mondo, che immediatamente si assicura l’arbitro stia arrivano a sanzionare con un sacrosanto rosso. Un capolavoro. 

Certo, pur riconoscendo alla “Pala di Kean” tutto il suo sacrosanto valore artistico, c’è un episodio della vita calcistica di Mancini che supera il perimetro del campo e anche i limiti dell’arte, finendo nel dibattito geopolitico internazionale e influenzando i rapporti del Paese con i suoi partner esteri. Ovviamente, si tratta dell’ormai lunghissimo scazzo con Felix Afena-Gyan, ex compagno di squadra con il quale Mancini sembra aver cominciato una vera e propria faida di sangue (forse risolvibile solo tornando al diritto germanico medievale e alla risoluzione dei conflitti per mezzo del duello di Dio). Comincia tutto durante i festeggiamenti per la vittoria della Conference League della stagione scorsa, segno che forse Mancini è una di quelle persone che vivono male le feste (aveva reagito piuttosto male anche all’abbraccio di Cristante dopo il fischio finale, ma ci sta che una persona non apprezzi il contatto fisico: certo, per un calciatore è strano, ma anche i calciatori sono persone). Per qualche ragione, un apparentemente innocente Afena-Gyan, all’epoca ancora compagno di squadra, gli si fa accanto durante i festeggiamenti e, con una escalation che le immagini non riescono tuttora a spiegare, Mancini passa da un buffetto affettuoso a un cazzotto rabbioso nell’arco di pochissimi secondi.

Un video che, a distanza di mesi, resta affascinante quanto inspiegabile

Qualsiasi cosa sia successa, tra i due o nella mente del difensore, deve essere stata della massima gravità: l’odio di Mancini si intuisce chiaramente nella maniera con cui carica e poi scarica il pugno sul malcapitato compagno. Deve essere stata della massima gravità anche perché la cosa si è poi ripetuta quando i due si sono ritrovati contro in Coppa Italia: Afena-Gyan, probabilmente costretto al trasferimento alla Cremonese per proteggere la sua incolumità fisica, in una sorta di programma protezione testimoni pensato per la Serie A, anche questa volta si trova dall’altra parte delle mani di Mancini, vittima – fortunatamente – di un “pugnetto” non paragonabile per intensità e malizia al precedente cazzotto. Certo, due indizi fanno una prova. Deve averlo pensato anche il console del Ghana in Italia – che è pure tifoso della Roma – intervenuto sull’accaduto per condannare il comportamento del difensore della Roma, definito «oltraggioso». Quanti giocatori nella loro carriera possono dire di essere stati al centro di un incidente internazionale?  

Per curiosità, ho fatto con Mancini quello che faccio ormai con tutti i calciatori che stuzzichino il mio interesse. Sono andato a studiare il suo profilo Instagram, per vedere se stile di gioco e immagine pubblica corrispondono. Come spesso capita, ho constatato una distanza tra le due che sfiora l’opposizione. Dal profilo Instagram di Mancini mi aspettavo immagini di gladiatori romani e guerrieri spartani, frasi motivazionali con dietro immagini di leoni smarmellati e fantasie di lupi coi denti digrignati, in sovrimpressione parole che ricordavano al pubblico come la vita avesse gettato Mancini tra le bestie e lui ne fosse uscito capobranco. Niente di tutto questo. Foto di campo, di famiglia, del matrimonio, delle vacanze, un piattezza che non mi aspetterei nemmeno dai social di Daniele Rugani. Per completezza, sono andato a dare un’occhiata anche al profilo Instagram della Roma, alla ricerca di un’immagine simbolo che mi aiutasse quantomeno a dare degna conclusione a questo pezzo. Mancini non compare spesso nella comunicazione pubblica della Roma, forse perché con tutte quelle ammonizioni ed espulsioni le partite che salta sono troppe e le occasioni fotografiche non sono poi tantissime, chissà.

Ce n’è una, però, che mi ha aiutato a capire l’evoluzione di questo giocatore e a trovare un legame di correlazione – chissà, forse di causazione – tra le prodezze disciplinari che gli ho visto fare in campo e l’arrivo di Mourinho sulla panchina della Roma. A gennaio del 2021, durante una partita casalinga contro l’Udinese, Mancini rimedia un brutto taglio sullo zigomo sinistro: perde molto sangue, ma continua a giocare come quasi gli piacesse il sapore ferroso che gli cola in bocca. L’immagine del suo volto insanguinato finisce sul profilo Instagram giallorosso, descritto con le emoji che indicano un contenuto vietato ai minori e un omino che, credo, si tocca la guancia. Tra i commenti, ce n’è uno esplicativo del ruolo e dell’importanza di Mancini per la Roma: «Grande», lo definiva nell’occasione José Mourinho.