Sono passati 25 anni da QUELLA conferenza stampa di Giovanni Trapattoni

Un momento di culto per il calcio tedesco, e non solo tedesco, e per la storia della comunicazione sportiva.

Quando si presentò in conferenza stampa con una felpa di rappresentanza del Bayern Monaco e un’espressione – a dir poco – contrariata appiccicata sul volto, Giovanni Trapattoni era già nella storia del calcio. Non fosse altro, che per i suoi trionfi da giocatore e poi da allenatore: a 59 anni ancora da compiere, aveva già vinto tutto quello che c’era da vincere più e più volte, compresa la Bundesliga dell’anno precedente con la squadra bavarese. Eppure quello che sarebbe successo nei tre minuti e mezzo di confronto – anche se in realtà si trattò di una specie di monologo, nessuno osò porgli delle domande – con i giornalisti tedeschi l’avrebbe proiettato ancor di più nella leggenda. Era il 10 marzo 1998, esattamente 25 anni fa, ed è per questo che ce ne ricordiamo proprio oggi.

Ricostruiamo velocemente il contesto: il Bayern non viveva un grande momento – tre sconfitte consecutive in Bundes contro Hertha Berlino, Colonia e Schalke 04, più il pareggio a reti bianche nell’andata dei quarti di Champions contro il Borussia Dortmund – e Trapattoni era sotto attacco. Per diversi motivi: il gioco del Bayern era considerato troppo speculativo dalla stampa; alcuni giocatori della rosa si erano lamentati pubblicamente dello scarso minutaggio concessogli dal tecnico italiano. Trapattoni esplose, letteralmente, in un atto unico che in qualche modo voleva rispondere a questo fuoco incrociato. Questa è la traduzione sommaria di quello che disse, sotto trovate il video: «Non leggo molto i giornali, ma ho sentito tante storie sul fatto che il Bayern non gioca in maniera offensiva. In Germania non c’è nessuna squadra che giochi più all’attacco dei Bayern! Nell’ultimo match avevamo tre punte in campo: Elber, Jancker e Zicker. Zickler è una punta e in più c’erano Mehmet Scholl e Mario Basler. Proprio a Scholl e Basler ho detto che forse hanno bisogno di una pausa. L’allenatore non è un idiota, è lì per vedere cosa succede in campo. In queste partite ci sono stati due, tre o quattro giocatori che erano deboli come una bottiglia vuota. Avete visto mercoledì quale squadra ha giocato? Ha giocato Mehmet, ha giocato Basler o ha giocato Trapattoni? Questi giocatori pensano più a lagnarsi che a giocare! Sapete perché le squadre in Italia non comprano questi giocatori? Dicono che non sono adatti, che non sono dei campioni. Strunz è qui da due anni, ha giocato dieci partite ed è sempre infortunato. Cosa permettiamo a Strunz?! L’anno scorso sono diventato campione con Hamann, Nerlinger. Strunz è sempre infortunato! Ha giocato 25 partite in questa squadra, in questo club. Deve rispettare gli altri colleghi. Ora questi giocatori devono dimostrare a me e ai tifosi di poter vincere la partita da soli. Devono vincere la partita da soli. Io sono stanco di aspettarli, li difendo sempre».

Indimenticabile

Questa invettiva divenne virale – 25 anni fa non si diceva così, non c’erano ancora i social, ma il senso è lo stesso – in poche ore. Intanto, per il tedesco preciso ma anche piuttosto maccheronico di Trapattoni: non a caso il monologo termina con la frase «Ich habe fertig», che in realtà significherebbe “io sono finito” in italiano, quando invece il tecnico del Bayern intendeva dire “io ho finito”. In Italia, poi, le parole di Trapattoni ebbero un’eco ancora più ampia, anche perché nella nostra lingua il nome di Thomas Strunz richiama una parola non proprio edificante. E infatti la Gialappa’s Band, a Mai dire Gol, ne approfittò subito.

Oggi, però, quello sfogo viene ricordato soprattutto in Germania. Ne scrivono in tanti: la Süddeutsche Zeitung, in un articolo pubblicato sul suo sito, ha scritto che «mescolando emozione, pathos e una leggera confusione linguistica, Trapattoni ha creato qualcosa di speciale: ha contribuito a plasmare il linguaggio. In seguito avrebbe modestamente detto che non poteva essere orgoglioso di uno scatto d’ira in cui aveva commesso un mucchio di errori grammaticali, ma non è questo il punto: ancora oggi il suo discorso è usato ancora oggi nei manuali di lingua tedesca della nota casa editrice Klett come esempio eccezionale di “varietà di transizione” della lingua parlata. A Monaco, Giovanni Trapattoni è riuscito in qualcosa che Gabriele D’Annunzio (“Memento audere semper!”), Cesare (“Veni, vidi, vici”) o Orazio (“Carpe diem!”) rappresentano allo stesso modo: creare dei nuovi modi di dire». La Zeit, a sua volta, ha ricordato quella conferenza stampa celebrando Trapattoni come «un Maestro che manca più che mai, visto che oggi allenatori e giocatori leggono semplicemente dai loro appunti interiori, mentre lui ha arricchito la lingua ma ha anche detto frasi piene di sostanza». Non occorre aggiungere altro.